Il 31 marzo scorso a partire dalle ore 19, la gran parte dei turchi era dinnanzi alla televisione con un bicchierino di tè a seguire lo spoglio delle elezioni locali. Come solito è stata una campagna elettorale infuocata, dove i due poli della politica turca si sono scontrati accusandosi a vicenda di diverse malefatte.
La polarizzazione nella politica turca è una costante. Nella Kulturkampf (la battaglia culturale), come alcuni accademici l’hanno definita, c’è un polo laico e urbano da sempre vicino alle posizioni del partito Kemalista (CHP) e la galassia dei movimenti di sinistra. L’altro polo è rappresentato dalla popolazione conservatrice, di estrazione rurale e, a partire dagli anni ’90, composta dalle nuove élite della media impresa. Questo secondo polo è da sempre schierato con i partiti di centrodestra, i nazionalisti e i partiti musulmani. L’AK Parti, dalla sua fondazione fino a poco tempo fa, è riuscito a monopolizzare gran parte del voto conservatore, che ammonta all’incirca al 60% dell’intero elettorato.
Negli ultimi tempi, però, più che seguire le polemiche politiche, gli elettori sembravano più preoccupati dall’andamento dell’economia. La lira turca negli ultimi mesi ha subito una svalutazione rispetto all’euro di quasi il 30% e l’inflazione su base annua ha superato il 20%. I turchi hanno visto anche schizzare i prezzi di frutta e verdura al di sopra dell’inflazione, nonostante la Turchia sia un paese con un enorme potenziale agricolo. Tanto per fare un esempio dell’aumento dei prezzi, al mercato ortofrutticolo generale di Istanbul, l’ultimo giorno prima delle elezioni, le patate erano vendute ad un prezzo che oscillava dalle 4 alle 6,50 lire al chilogrammo. Lo stesso giorno dell’anno precedente il prezzo delle patate oscillava da 1,50 a 2 lire al chilogrammo.
Dai primi risultati presentati dall’agenzia stampa Anadolu (AA) apparve subito chiaro che le opposizioni, che finalmente avevano collaborato insieme e formato coalizioni a livello locale, avevano vinto la capitale Ankara e avevano mantenuto Izmir. Appariva anche chiaro che il partito socialista e nazionalista curdo HDP aveva diminuito il proprio consenso sia nei grandi centri urbani occidentali che nelle province curde, ma rimaneva al potere a Diyarbakır, principale centro urbano del sudest Anatolia.
L’AK Parti e il partito nazionalista MHP, membro della coalizione al governo, hanno ottenuto un’ampia maggioranza nel centro Anatolia e nelle province che affacciano sul Mar Nero. A Konya, città nota per il misticismo sufi, per esempio, l’AK Parti ha mantenuto la sua posizione dominante ottenendo il 70% delle preferenze. A Rize, invece, provincia che diede i natali ad Erdoğan, il partito ha ottenuto il 72% dei voti. A livello nazionale l’AK Parti ha ottenuto il 44% dei voti mentre il MHP ha ottenuto il 7,5%.
Fin qui nulla di strano. Eppure, lo shock è arrivato alle 21, quando nella grande municipalità di Istanbul, la differenza tra il candidato dell’AK Parti, Binali Yıldırım, e il candidato del CHP, Ekrem İmamoğlu, si assottigliò. A questo punto i dati dell’Agenzia Anadolu misteriosamente non vennero più aggiornati fino alle 13 del giorno dopo, quando İmamoğlu vinse con pochi voti di vantaggio. Secondo i primi dati ufficiali il vantaggio era di ventitremila voti rispetto a Yıldırım su circa 8,5 milioni di voti validi.
A questo punto l’AK Parti ha iniziato a contestare i risultati e ad insinuare brogli. In ogni democrazia, quando il vantaggio è così stretto, è normale che i partiti cerchino in tutti i modi di cambiare il risultato. Eppure, in questo caso, per decine di giorni si è effettuato il riconteggio delle schede nulle. Il riconteggioha ridotto la differenza tra i due candidati da ventitremila a tredicimila; ma il vantaggio è rimasto.
L’AK Parti però ha continuato a denunciare brogli, e ha annunciato che migliaia di voti di Büyükçekmece, uno dei 39 comuni della grande municipalità di Istanbul passato dall’AK Parti al CHP, appartenevano a elettori non residenti in quel comune e questi avevano permesso la vittoria di İmamoğlu alla grande municipalità. Per giorni la polizia su ordine della procura è andata casa per casa per verificare i residenti e le accuse senza successo però.
A questo punto l’AK Parti ha chiesto l’annullamento delle elezioni nella grande municipalità di Istanbul perché dei 31124 seggi di Istanbul 225 sono stati presieduti, non da impiegati dello Stato, come prevede la legge, ma da lavoratori di aziende parastatali. Lo YSK, l’autorità costituzionale responsabile delle elezioni, il 6 maggio scorso, a più di un mese dalle elezioni, ha accolto la richiesta del partito e, smentendo le sue decisioni precedenti, senza dimostrare come gli “illegittimi” presidenti dei seggi abbiano influenzato il voto, ha annunciato nuove elezioni solo per la grande municipalità di Istanbul per il 23 giugno prossimo.
Questa non è stata l’unica decisione che ha fatto aggrottare le sopracciglia dei giuristi. Pochi giorni dopo le elezioni lo YSK aveva deciso di annullare le elezioni di otto sindaci eletti nelle file dello HDP. La motivazione è che i sindaci eletti erano stati allontanati dai pubblici uffici per presunti legami con movimenti terroristici con decreto governativo durante il periodo di stato di emergenza—che seguì il fallito colpo di stato del 15 luglio 2016. Eppure, lo stesso YSK ne aveva accettato la candidatura e, invece di chiedere una nuova elezione o di demandare la nomina di un nuovo sindaco al consiglio comunale (così come si fa in caso di dimissioni o malattia), ha dichiarato sindaco il candidato del secondo partito, l’AK Parti in tutti i suddetti comuni.
L’AK Parti seppur di malavoglia ha accettato la sconfitta nella grande municipalità di Ankara. Il sindaco precedente, Melih Gökçek, fu eletto sindaco per la prima volta nelle fila del partito musulmano Refah nel 1994 e, dopo essere passato all’AK Parti nel 2003, rimase in carica fino al 2017. Eppure, era diventato impopolare per le sue stravaganze e manie di protagonismo. Malvoluto anche dal partito, fu costretto da Erdoğan alle dimissioni e fu sostituito con una staffetta fino alle recenti elezioni locali. Il nuovo candidato dell’AK Parti, Mehmet Özhaseki, era già stato dal 1998 al 2015 sindaco di Kayseri, un’altra grande municipalità, ma estraneo al contesto di Ankara. Dai primi giorni di campagna elettorale, Özhaseki sembrava in largo svantaggio rispetto a Mansur Yavaş, un nazionalista molto popolare, che dal 1999 al 2004 fu sindaco di uno dei comuni di Ankara. Come candidato del MHP, nel 2009 e 2014, fu sconfitto proprio da Gökçek. Yavaş perse le elezioni del 2014 per una manciata di voti, ma questa volta si è presentato e ha vinto con una larga coalizione con il CHP e l’İyi Parti, una formazione emersa dalla frattura del partito nazionalista.
Accettare la sconfitta ad Istanbul però non è cosa da poco. Istanbul equivale al 31% dell’intera economia e accoglie il 19% della popolazione del paese. La città è anche la sede di grandissima parte dei media, i cui magnati hanno grandi interessi economici, in particolare, nell’edilizia. Sono propensi, quindi, sempre ad allinearsi e finanziare generosamente chi concede licenze e appalti. La città ha anche un budget che fa gola ed è utile a finanziare assistenza sociale, gruppi religiosi e fondazioni che, a loro volta, sostengono politicamente il partito. Senza parlare, poi, del numero di lavoratori che assume con le sue istituzioni e le aziende controllate—cosa che fa bene al clientelismo.
Bisogna ricordare, infine, che Recep Tayyip Erdoğan acquisì esperienza e popolarità a livello nazionale quando dal 1994 al 1998 fu sindaco della grande municipalità di Istanbul. Da allora la città ha conosciuto un grande sviluppo grazie a moderne infrastrutture e servizi efficaci. Ed è per questo che, da allora, la città è controllata da persone a lui vicine. Anche in queste ultime elezioni il partito ha vinto gran parte dei comuni della provincia e, di conseguenza, anche la maggioranza nel consiglio della grande municipalità, dei 39 comuni della grande municipalità di Istanbul solo 14 sono stati conquistati dallo CHP, mentre l’AK Parti ha mantenuto 25 comuni e il comune di Silivri è andato all’alleato MHP.
Il CHP si è, comunque, affermato per la prima volta nei comuni più popolosi della città come Esenyurt (891.120 abitanti) e Küçükçekmece (770.317 abitanti) e ha mantenuto il suo monopolio nelle zone bene di Beşiktaş, dove ha ottenuto il 73% delle preferenze, e Kadıköy, dove si è affermato con il 66% dei voti. Nonostante ciò, visto che il consiglio della grande municipalità è composto dai rappresentanti dei diversi comuni, l’AK Parti manteneva la maggioranza in consiglio e avrebbe potuto comunque influenzare il governo cittadino di İmamoğlu.
Le elezioni a sindaco di quest’anno il partito è stato penalizzato dalla forte crisi economica e da una campagna sbagliata. Invece che mettere in primo piano il candidato moderato Yıldırım, già Primo Ministro e Presidente del Parlamento, e il suo programma, Erdoğan ha scelto di primeggiare nella campagna elettorale con il tema della “sopravvivenza” (beka). In altre parole, il tema principale è stata la sopravvivenza del paese e gli elettori avrebbero dovuto votare la coalizione AK Parti-MHP per difendere la Turchia dai “nemici” interni ed esterni. Il tema e i toni sono ispirati dal partito nazionalista che ha investito poche forze nelle elezioni ma ne ha tratto grandissimi vantaggi: grande influenza sul discorso politico, una grande municipalità, 10 capoluoghi di provincia e 134 comuni.
Questa campagna dura che intendeva rinforzare il Kulturkampf è stata sicuramente influente sulle province del centro Anatolia e Mar Nero. Sull’elettorato moderato di Istanbul, però, aveva poca opportunità di cambiarne le dinamiche politiche. Già nel referendum costituzionale del 2017 il 51% dell’elettorato di Istanbul (ma anche quello di Ankara) aveva votato contro la proposta che conferiva più poteri al Presidente della Repubblica. Questo voto ha rappresentato l’inizio del decadimento del partito nelle megalopoli.
Riuscirà l’AK Parti ha vincere nelle nuove elezioni ad Istanbul nonostante il trend negativo? Proprio a causa del Kulturkampf nessuno si aspetta cambiamenti consistenti nella scelta di voto. Il candidato delle opposizioni, İmamoğlu, è un politico con un’identità conservatrice che cerca di acquisire simpatie anche tra gli elettori dell’AK Parti. Uno studio sulle elezioni del 31 marzo, però, dimostra che è riuscito ad ottenere ben pochi voti dai vecchi elettori dell’AK Parti.
La vera battaglia, allora, sarà nel convincere i due milioni di elettori che non si sono recati alle urne nella megalopoli. In modo particolare i trecentomila elettori che in passato avevano votato AK Parti e i 230.000 che avevano votato per lo HDP. Questi ultimi sono in genere il voto curdo che si è visto tradito dallo HDP che, nonostante le sue apertura democratica e politica inclusiva, non è riuscita a tranciare i propri legami con il PKK ed è stato connivente nelle violenze nelle strade di numerose città del sudest Anatolia tra l’agosto 2015 e la metà del 2016. Erdoğan, subito dopo le elezioni, sembrava voler aprire con toni più concilianti verso i curdi e riprendere gli argomenti del processo di pace del 2013. Il partito nazionalista MHP, però, ha stoppato immediatamente il Presidente che è stato costretto a un dietrofront.
Gli elettori dell’AK Parti, che non si sono recati alle urne, lo hanno fatto perché si sentono traditi dal partito che li aveva emozionati con le sue riforme democratiche e modernizzatrici. Oggi il partito non attrae più il voto moderato e non è riuscito a rinnovarsi negli anni. La polemica, poi, su chi ha “rubato” o meno i voti di Istanbul—che dominerà probabilmente la campagna elettorale—difficilmente riuscirà a convincere questi elettori a recarsi alle urne. C’è, addirittura, il rischio che il numero di astenuti possa aumentare visto che ci sono ben pochi miglioramenti sul fronte economico. La vera campagna, poi, sarà limitata ai dieci giorni tra la Festa di Ramadan (Id al-Fitr) e le elezioni, quando alcune famiglie già saranno in vacanza.
Se è vero quello che molti dicono “perdere Istanbul significa perdere la Turchia”, l’AK Parti senza dubbio ha fatto e farà di tutto per non perdere la grande municipalità. Allo stesso tempo, bisogna riconosce che l’AK Parti è, in questo momento, nelle prossimità del nadir della sua forza per quattro motivi. Per prima cosa è costretto ad una alleanza con il partito nazionalista MHP che gli garantisce una maggioranza in parlamento e gli mette a disposizione i propri quadri nella burocrazia. Eppure, il MHP gli impedisce di sviluppare politiche più inclusive e, con molta probabilità, lo costringerà presto a disastrose elezioni politiche anticipate, considerato il fatto che dalle elezioni locali ne è uscito fortificato e che, senza coalizione, potrebbe ottenere fino al 18% dei consensi.
Come abbiamo visto la situazione economica è difficile, ma il governo, a cause di posizioni ideologiche contro i tassi d’interesse e l’inefficacia del Ministro dell’Economia (e allo stesso tempo genero del Presidente Erdoğan), si è impantanato e non riesce ad adottare azioni decisive. Crisi internazionali, poi, fanno ulteriormente soffrire l’export turco e ne aumentano il rischio geopolitico: il tam-tam di guerra di Trump contro l’Iran, le guerre commerciali contro la Cina e la palude del conflitto siriano.
Per un lungo periodo il partito ha dominato i media e l’opinione pubblica. Oggi, però, i canali di informazione in Turchia si sono velocemente trasformati. Le penne più rinomate sono passate su nuove piattaforme elettroniche senza dipendere dai grossi capitali. Le opposizioni hanno fatto ottimo uso dei social e dibattiti trasmessi su internet hanno molti più ascolti di quelli televisivi. Anche i canali e quotidiani stranieri in lingua turca sono diventati molto popolari e più affidabili grazie al fatto che accolgono giornalisti importanti.
Dopo la BBC, la Deutsche Wellee Sputnik sono arrivati più recentemente le edizioni turche di al-Sharq al-Awsat e lo Independent questi ultimi con giornalisti in passato vicini all’AK Parti.
Infine, alcune personalità di spicco del partito—l’ex Presidente della Repubblica Abdullah Gül, l’ex Primo Ministro Ahmet Davutoğlu e l’ex Ministro dell’Economia Ali Babacan—sembrano da tempo impegnate con la creazione di nuove formazioni politiche che divideranno il fronte conservatore. Il ritorno alle urne, secondo alcuni commentatori sarebbe stato voluto proprio per ritardare la formazione di un nuovo fronte ma che, prima o poi, si farà avanti e romperà il monopolio dell’AK Parti.
Erdoğan, però, si è sempre dimostrato abile nel manovrare a suo favore la macchina elettorale e—anche se lo dubito questa volta—non dovremmo stupirci se riuscisse ad invertire il trend negativo.
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