Anche nelle strade di Istanbul si sono viste marcie di giovani che aderivano allo sciopero globale per il clima. Il comune di Kadıköy, uno dei comuni della grande municipalità di Istanbul sul lato asiatico della megalopoli, ha anche dedicato un grande murales alla eroina della nuova ondata di proteste verdi, Greta Thunberg . Così come i media internazionali, anche i media e i social turchi hanno dedicato molto spazio a Greta e alla sua presenza alla settantaquattresima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. E anche qui non sono mancate le polemiche.
Tra i diversi capi di stato e di governo, invece, ha partecipato anche il Presidente della Repubblica turca Recep Tayyip Erdoğan mostrando una cartina storica della Palestina e dell’espansione israeliana a partire dal 1947 ha chiesto all’Assemblea, quali debbano essere i confini di Israele, visto anche che la politica di costruire insediamenti continua e alcuni paesi hanno riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele, nonostante le posizioni dell’ONU. Il Presidente turco chiede dunque: quali confini la comunità internazionale vuole riconoscere? La Turchia è stato il primo paese musulmano ad aver riconosciuto lo Stato di Israele e i primi governi dell’AK Parti—il partito di Erdoğan—avevano data grande importanza alle relazioni con Tel Aviv. Eppure, con l’era Netanyahu e le numerose crisi che quest’ultimo ha creato, le relazioni politiche tra Israele e Turchia si sono fatte molto tese. Nel frattempo, i confini israeliani si sono allargati e continuano ad allargarsi a discapito dei territori palestinesi. Eppure le Nazioni Unite, anche in questa occasione, non sono state capaci di far rispettare il diritto internazionale. La Turchia, da parte sua, continua a riconoscere Israele nei suoi confini del 1967 e uno stato palestinese con Gerusalemme orientale come sua capitale e continuerà, con i suoi aiuti umanitari, a sostenere il popolo palestinese.
Visto il contesto internazionale con un Presidente americano mai così sfacciatamente pro-israeliano e numerosi paesi arabi che hanno iniziano a intessere relazioni con Tel Aviv, sembra difficile che le parole di Erdoğan possano avere un effetto concreto. Ma sono servite a non far dimenticare. I media internazionali non hanno dato rilievo ad Erdoğan ma non è mancata la risposta di Netanyahu, che in un Tweet ha invitato il Presidente turco a smetterla con le “bugie” ed ad occuparsi delle proprie crisi con le minoranze curde ed armene.
La presenza di Erdogan a New York aveva sostanzialmente tre obiettivi: quello di normalizzare le relazioni economiche con gli Stati Uniti, dopo che questi hanno assicurato che non saranno approvate sanzioni economiche, dopo l’acquisto del sistema missilistico russo S400 da parte di Ankara. Il secondo obiettivo era quello di cercare di convincere le autorità americane a rivedere la strategia in Siria, in modo particolare di rivedere l’appoggio delle Forze Democratiche Siriane (SDF), una formazione con legami con il PKK, il gruppo terroristico curdo. Sicuramente ha raggiunto il suo primo obiettivo ma non c’è stato nessuno sviluppo nel raggiungere il secondo obiettivo anche se una cooperazione con gli americani per il pattugliamento del confine turco-siriano continua.
Il terzo obiettivo era quello di riconfermarsi come un leader del mondo musulmano, attraendo l’attenzione su questioni che gli altri vorrebbero dimenticare. Per raggiungere questo obiettivo era centrale il suo discorso dinnanzi all’Assemblea generale delle Nazioni che, a differenza di Greta, non ha attratto molta l’attenzione dei media internazionali, ma era sicuramente importante.
La prima cosa che il Presidente ha sottolineato sono le profonde inuguaglianze che esistono nel mondo. Ad esempio, mentre in alcuni paesi si studiano soluzioni al problema dell’obesità, in altri paesi, invece, si lotta ancora contro la malnutrizione. Simili inuguaglianze continuano ad esistere nella distribuzione delle ricchezze e risorse e in questa occasione il Presidente è tornato a ripetere uno dei suoi slogan più famosi, applaudito dall’Assemblea: “il mondo è più grande di cinque”. Nel senso che, nonostante esistano così tanti paesi e crisi del mondo, le Nazioni Unite sono controllate dai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza che, in realtà, hanno ben pochi interessi a risolvere queste crisi. Da anni Erdoğan chiede una riforma delle Nazioni Unite che rappresenti tutta la comunità internazionale e sia basata sulla giustizia morale e sulla coscienza. La Turchia spera anche in un ruolo più importante, tanto che alla fine del suo discorso ha invitato i delegati a dare più spazio alla Turchia all’interno dell’ONU con l’elezione di Volkan Bozkır—parlamentare ed ex ministro degli Affari europei—alla presidenza dell’Assemblea Generale, e di scegliere Istanbul come sede delle istituzioni delle Nazioni Unite. Cose che difficilmente otterrà, visto che Erdoğan è sicuramente popolare tra le popolazioni del Medio Oriente ma apprezzato da ben pochi dei governi dell’area.
La prima di queste crisi, che l’ONU non riesce ha risolvere, è proprio quella dell’ambiente. Un’altra crisi che i cinque membri del Consiglio di Sicurezza non sono stati capaci di risolvere è quella della Siria, che ha influenzato la Turchia non solo con i profughi ma anche con il terrorismo del Daesh e quello curdo. Inoltre la Turchia è il paese che spende di più in aiuti umanitari, sia in territorio turco e che in quello siriano. La Turchia negli ultimi anni ha dimostrato di essere un paese di grande generosità ma è stato lasciato solo e gli altri paesi (in particolare l’Unione Europea) hanno presto dimenticato Aylan, il bimbo siriano annegato nel 2015 nell’Egeo e il cui corpo fu ritrovato esanime sulla spiaggia di Bodrum. Erdoğan ha voluto mostrare nuovamente all’Assemblea la straziante fotografia del corpicino di Aylan. La foto fece velocemente il giro del mondo, ma ben pochi furono i tentativi di risolve la questione siriana.
Inoltre solo nel territorio adesso sotto la protezione delle Forze Armate Turche (TSK) è stato permesso il ritorno dei civili cosa che, invece, non è accaduta nelle zone controllate dal regime o dallo SDF. Ancora, grazie al processo di Astana, condotto insieme alla Federazione Russa e l’Iran, la Turchia è riuscita a prevenire un massacro nella provincia di Idlib e l’inizio di un processo di pace con la redazione di una nuova costituzione che possa assicurare l’unità del paese. La presenza del SDF, sostenuto da numerosi paesi occidentali e, soprattutto, dagli Stati Uniti, che controlla un quarto della Siria, costituisce, invece, una seria minaccia all’unità del paese. Allo stesso tempo, il SDF, a causa dei suoi legami organici con il PKK, rappresenta un rischio concreto alla sicurezza della Turchia.
A questo proposito la Turchia ha chiesto aiuto della comunità internazionale per la creazione di una fascia di sicurezza lungo tutto il confine settentrionale della Siria che possa garantire la sicurezza dei confini turchi e ospitare anche i rifugiati che vogliano tornare in Siria e senza i militanti del SDF.
L’Agenzia dell’ONU per i rifugiati (UNHCR ) stima che la Turchia nel 2018 ha ospitato quattro milioni di rifugiati, 3,6 milioni dei quali sono siriani. Se il popolo turco ha agito sempre con grande generosità, i rifugiati siriani rappresentano un serio problema politico per il paese. Nelle scorse elezioni amministrative il problema dei rifugiati era stato uno dei temi centrali delle campagne elettorali dei diversi partiti e tutti si auspicano un loro rapido rientro in Siria. Ma le Nazioni Unite difficilmente potranno aiutare. La Russia ha tutta l’intenzione di far riprendere al regime il controllo di tutto il territorio siriano, mentre gli USA vorrebbero mantenere una presenza nell’area in funzione anti-iraniana e, per fare ciò, il sostegno dello SDF è fondamentale.
Il Presidente turco ha voluto inoltre, seppur in breve, ricordare nel suo discorso anche altre crisi internazionali: Cipro, la Libia, il brutale assassinio del giornalista Khashoggi, la repressione in Egitto e la morte di Mohammad Morsi, lo Yemen, il Karabag, il Kashmir, la tragedia dei Rohinga e l’Afghanistan.
Non ha mancato, infine, di sottolineare il problema dell’ islamofobia, che è decisamente in crescita nel mondo, ricordando la tragedia di Christchurch, ha voluto condannare il terrorismo contro i musulmani ma anche il terrorismo contro tutte le altre fedi e luoghi di culto. Erdogan ha, infine, chiesto alle Nazioni Unite di istituire il 15 marzo come la giornata mondiale contro la Islamofobia.
Greta ha certamente ricevuto tutta l’attenzione in occasione della Assemblea generale dell’ONU, anche perché ha sollevato una problematica importantissima. Eppure, come Erdoğan ha sottolineato, ci sono numerose crisi internazionali che il mondo preferisce ignorare.
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