Le oscure origini del Genere
Una delle frasi più celebri di Simone de Beauvoir, riconosciuta da molti come la madre degli studi del genere, fu “non si nasce, ma si diventa donna.” Il contesto di questa frase fu quello della metà XX secolo. La vivacità di questo periodo fu data – per ovvi motivi storici – da molti eventi, ed in particolare una parte rilevante di questa vivacità fu data dal filone di studi che sarebbe culminato con i cosiddetti gender studies. La frase di Beauvoir è vista come simbolo e fondamento di quell’ideologia che propone la distinzione fra sesso biologico e genere come costrutto socioculturale e che fu dibattuto più o meno ardentemente fino agli esperimenti di John Money negli anni Sessanta.
Money è il celebre psicologo e sessuologo neozelandese dietro gli esperimenti di riassegnazione di genere di David Reimer. Reimer fu vittima di un incidente nella sua infanzia durante un’operazione di circoncisione, pratica molto comune negli Stati Uniti. L’incidente danneggiò irreparabilmente il suo apparato genitale e Money ebbe l’idea di “usare” David e suo fratello gemello per i suoi esperimenti. L’ esperimento prevedeva che Money plasmasse i due gemelli al fine di crescere David come una femmina e suo fratello come maschio. L’allucinante esperimento prevedeva anche simulazioni di azioni erotiche fra i due fratelli in cui David simulava il ruolo della donna. Oggi la metodologia di Money è molto criticata per gli elementi di pedofilia, pedopornografia (è riportato che Money conservò almeno una foto delle “simulazioni” di coito fra i due fratelli) e abuso di minore, oltre che l’evidente abuso psicologico. Ciò non toglie però che al tempo l’esperimento di Money fu visto come un successo: Money riuscì a far crescere David come una femmina – come Brenda – “provando” che il concetto di genere come costrutto socioculturale esiste ed è da considerarsi come differente dal sesso biologico. La fine dei due fratelli in seguito agli esperimenti non fu felice: David morì suicida mentre Brian divenne schizofrenico e depresso. In seguito all’esperimento David si riconobbe con il suo sesso biologico e ritornò a vivere come uomo all’età di 15 anni denunciando tali pratiche per il restante della sua vita. L’ultima tappa della storia vede un’altra madre degli studi di genere, Judith Butler, la quale criticò aspramente Money. Nel suo libro Undergoing Gender ricorda gli esperimenti di Money e commenta dicendo:
A questo punto, le équipe psichiatriche che stavano monitorando a intermittenza l’adattamento di Brenda le offrirono estrogeni, e lei lo rifiutò. Money cercò di proporle di avere una vera vagina, e lei rifiutò; infatti, scappò dalla stanza urlando. Money le mostrò immagini sessualmente esplicite di vagine. Money arrivò persino al punto di mostrare a Brenda foto di donne che partoriscono, promettendole che Brenda sarebbe stata in grado di dare alla luce se avesse acquisito una vagina. E in una scena che avrebbe potuto essere da modello per il recente film ‘Ma io sono un Cheerleader!’ lei e suo fratello furono tenuti ad eseguire esercizi di finto coito l’uno con l’altro, a comando.
Nonostante il distanziamento espresso da Butler, sono due gli elementi di forte critica che possono essere posti nei suoi confronti: il primo è che il suo continuare a riferirsi a David, nato Bruce Peter, come Brenda e come un “lei” è a tutti gli effetti uno sfregio nei suoi confronti ed un rifiuto della reale identità di David mirato a non metterebbe a rischio l’intero impianto filosofico-ideologico si cui si ergono i capisaldi dei gender studies, primo fra tutti che l’identificazione di sé stessi come uomo o donna è un costrutto socioculturale. Nessuno si riferirebbe ad una vittima di stupro definendo la vittima come “la stuprata” per rispetto e per un semplice fattore umano. Pur di non ammettere che, nonostante gli sforzi di Money, David non sia mai stato veramente Brenda, Butler continua ad usare tale appellativo proprio perché secondo l’ideologia di Butler ciò che David avrebbe affrontato sarebbe lo stesso che tutti affrontano nel percorso di formazione della propria identità durante la crescita e cioè un indottrinamento socioculturale invece che un altro. Per Butler dunque David era veramente Brenda fino a quando egli non decise di non identificarsi come tale. In questo Butler è gravemente complice di Money. Il secondo elemento – collegato al primo – è che l’intera branca di studi su cui si basa la ricerca di Butler risiede sul trauma di Bruce, e dipende da esso. Il ruolo di Bruce è quello di un agnello sacrificale: egli ha sofferto per permettere ai gender studies di essere giustificati e di arrivare alla prominenza che hanno oggi, e i gender studies continuano a trarre forza e giustificazione da quegli esperimenti che hanno costituito l’impianto ideologico-filosofico su cui gli stessi si basano. A tutti gli effetti, gli studi di genere parassitano in una certa misura sulle esperienze traumatiche di Bruce e suo fratello, sulla loro sofferenza e sulla loro morte.
Un nuovo “genere” di intolleranza?
Di recente, il professore di filosofia del diritto John Finnis, insegnante ad Oxford, è stato attaccato dalla comunità LGBTQI per la sua posizione accademica che vede l’omosessualità come immorale. I suoi critici fra la comunità LGBTQI attaccano in particolare la posizione che lui argomenta nella sua pubblicazione accademica del 1994 “Legge, Sessualità ed Orientamento Sessuale.” Nonostante l’attacco contro Finnis non sia passato inosservato, non è tanto l’argomentazione il nocciolo della critica oggetto della presente discussione, bensì il fatto che la comunità LGBTQI abbia addirittura richiesto la sospensione del professore ordinario ignorando deliberatamente la libertà di espressione accademica in favore di un’ideologia liberista radicale postmoderna che oggi sembra non possa essere criticata in modo costruttivo senza essere accusati di essere bigotti, omofobi o intolleranti. In un gesto di solidarietà intellettuale verso il professor Finnis e la libertà di espressione e di dibattito verranno riportate di seguito alcune delle questioni che oggi rappresentano muri intellettuali insormontabili che l’ideologia LGBTQI, in particolare in riferimento all’idea di genere e transgender, non può fondamentalmente superare. Come nota di rilievo c’è da dire che molti omosessuali conservatori sono molto critici nei confronti della distinzione fra genere e sesso biologico e la conseguente giustificazione della transessualità come posizione legittima. Essi sono anche molto critici del fatto che la loro categoria venga inglobata nella sigla LGBTQI e con cui invece si distanziano con forza. Questo è il caso dell’autrice del prossimo libro “Guerra nella Stanza delle Donne: Come Tenere gli Uomini Travestiti fuori dagli Spazi delle Donne” Cynthia Yockey, che in un dibattito con la persona trans ed attivista “JJ Marie” Gufreda (Joe Gufreda) critica con forza dicendo
Non metterò piede nell’elemento di vittimizzazione della discussione. Il problema che abbiamo è che lui non è biologicamente, non è scientificamente una donna. Lui è una donna solo sulla base della sua malattia mentale, sulla base della sua illusione
La critica è certamente aspra ed è legittimo chiedersi se il professor Finnis avrebbe avuto la stessa libertà di espressione senza le critiche che ha ricevuto e senza il rischio di essere sospeso dal ruolo di professore ordinario se fosse stato membro della comunità LGBTQI. Per l’autrice uno dei disturbi da cui sono affetti le persone con disforia di genere è, nel caso degli uomini, l’autoginefilia (dal greco “auto-donna-amore”). Essa è definita come il disturbo secondo il quale le persone transgender male-to-female abbiano un fetish sessuale nel vedere loro stessi come donne. La teoria è originata da Blanchard e Freund negli anni ‘80, ed è supportata dallo psicologo ed autore di “The Man Who Would be Queen” Michael Bailey. Lungi dall’entrare nel merito di questa argomentazione, è importante citarla per tentare di ribilanciare la narrativa e il volume delle voci di una parte dello spettro rispetto all’altra.
Le questioni che la letteratura e gli oppositori della distinzione fra genere e sesso biologico sottolineano si manifesta in vari punti di critica. Innanzitutto, la giustificazione del trangenderism utilizzando i rarissimi casi di individui definiti come intersex, cioè individui che hanno le caratteristiche biologiche di un uomo e di una donna, è problematica. I casi di individui intersex vedono una femmina o un maschio biologico con dei fenotipi non coerenti con la biologia fondamentale a causa di una malformazione. Le ricerche mostrano infatti che nella quasi totalità dei casi la persona è biologicamente riconosciuta chiaramente come uomo o donna e in aggiunta presenta il fenotipo aggiuntivo. Questi casi incredibilmente specifici e limitati non possono giustificare il riconoscimento dal punto di vista logico dell’identificazione psicologica e soggettiva di un individuo che non sia coerente con il sesso biologico. In sintesi, l’eccezione non giustifica la regola, e ancor più quando si parla di un chiaro e scientifico caso biologico (quello degli intersex) distinto e ben contrapposto ad una situazione che invece appare a tutti gli effetti come soggettiva, emotiva e psicologica (quella dei transgender).
I casi studio di Fox e Beggs
I casi del combattente MMA statunitense Fallon Fox e di Mack Beggs hanno mostrato un’altra seria problematica. Fox è il primo atleta transgender nella storia dell’MMA mentre Beggs è un giovane wrestler transgender. In entrambi i casi, così come in molti altri simili casi, l’evidente differenza biologica fondamentale – nonostante l’utilizzo di estrogeni – ha mostrato un chiaro vantaggio fisico degli atleti transgender rispetto alle atlete biologicamente femmine. La quantità di testosterone, nonostante il consumo di estrogeni, rimane molto più alto rispetto ad una femmina biologica, e questo è solo uno dei molti altri fattori biologici che mostrano un’altra contraddizione fondamentale. Nei casi più estremi che mettono a rischio la teoria gender troviamo casi in cui atleti maschi biologici che non hanno attuato la transizione (nella maggior parte dei casi da maschio a femmina) si identificano col genere femminile e chiedono di partecipare alle competizioni della fascia femminile. Considerando che nelle teorie gender il genere viene anche definito come fluido, nulla vieterebbe in principio ad una persona di sesso biologico maschile di identificarsi come donna per la durata della gara avendo de facto un vantaggio scorretto. Negare l’accesso a tali individui li discriminerebbe secondo l’impianto ideologico gender e questa è solo la punta dell’iceberg di un’altra dolorosa spina nel fianco che la teoria gender non riesce e non può apparentemente risolvere. Creare regolamenti che invece favoriscano il sesso biologico rispetto all’identificazione di genere dimostrerebbe quello che la narrativa contrapposta alle ideologie LGBTQI vuole dimostrare, che il sesso biologico è da considerarsi preponderante rispetto ad un’identificazione di sé che sia soggettiva e che dunque le legislazioni devono essere strutturate di conseguenza.
Genere e blocchi ormonali
Un’altra pratica che sta prendendo sempre più piede, e che ricorda in modo inquietante gli esperimenti di Money, è quella del blocco ormonale imposto ai bambini per “permettergli” di scegliere il proprio genere a prescindere dalla loro naturale costituzione biologica. La giustificazione ovviamente è la stessa di Money “il genere esiste, è un costrutto socioculturale e prescinde dalla biologia della persona”. I critici di tale approccio riflettono in termini metaforici e logici in modo molto persuasivo: se il fondamento costitutivo biologico e genetico dell’individuo non è sufficiente a giustificare un processo educativo che sia coerente a quella costituzione, perché fermarsi al sesso? Gli esseri umani – a differenza del resto del mondo animale – hanno bisogno di un percorso pedagogico che trascenda il mero intuito. Esistono in natura animali che anche senza l’esempio dei genitori “conoscono” già comportamenti molto complessi grazie alle informazioni contenute nel loro DNA. Nel caso degli esseri umani ciò in larga misura manca. Come ha mostrato Chomsky ed altri ricercatori ad esempio, l’essere umano ha la capacità biologica e genetica di comunicare attraverso il linguaggio, ma ciò non significa che naturalmente il bambino crescendo venga “ispirato” tramite il DNA a parlare una lingua specifica. Il potenziale è lì ma ha bisogno di un percorso pedagogico per essere realizzato pienamente. Nel secolo scorso, alcuni esperimenti simili a quelli di Money furono quelli dei cosiddetti “bambini ferali.” Questi sono infanti cresciuti come animali e i quali crescendo credono di essere tali. E’ semplice notare l’accostamento fra i bambini ferali e l’approccio di chi propone blocchi ormonali e simili pratiche per crescere un bambino in modo contraddittorio rispetto al proprio e naturale sesso biologico. Inoltre, lo sviluppo dell’istinto sessuale nei bambini viene completato solo in periodo tardo e ostacolare il normale sviluppo tramite l’iniezione di estrogeni o testosterone non può portare ad effetti benefici. In sintesi, l’ideologia gender che separa fra sesso biologico e genere psicologico soggettivo in potenziale non si ferma solo alle categorie di maschio e femmina, essa può allargarsi a qualsiasi caso in cui la percezione di sé vari – per un motivo o per l’altro – dalla naturale costituzione biologica dell’individuo, che si parli del binomio maschio-femmina o del binomio umano-cane ad esempio, o di qualsiasi altro binomio visto che il genere è visto come totalmente legato alle pulsioni e alla soggettività della persona.
Controbilanciare il Genere
La discussione è ben più complessa e i paragrafi sopra costituiscono solo uno spunto di riflessione e una spinta ad ulteriori ricerche e critiche, oltre che ad una narrativa atta a garantire che il dibattito sulla questione non sia superficialmente dipinto come un dibattito fra apertura e bigottismo. Ciò in quanto è importante ricordare che non essere d’accordo con una posizione non significa necessariamente essere fobico e discriminatorio, ancor più quando la posizione in questione ha giustificazioni filosofiche, logico-inferenziali e scientifiche ben più salde. L’idea secondo cui il liberismo più incontrollato rappresenti una posizione etica e che qualsiasi critica a tale liberismo radicale sia bigottismo rischia solo di polarizzare la società e ha mostrato spesso di essere mirata solo a far tacere l’opposizione. Non è sempre vero che l’approccio “vivi e lascia vivere” sia il più sano per la società, soprattutto quando leggi vengono emanate per rendere legittime tali posizioni a discapito della sensibilità della stragrande maggioranza dei cittadini e degli individui, che invece sono discriminati e definiti come oppositori di diritti umani. Non è un diritto umano avere una propria percezione soggettiva e a-scientifica di sé riconosciuta a livello legislativo tale da obbligare e criminalizzare chiunque rifiuti tale percezione, come è stato nel caso della famigerata legge canadese Bill C-16. La legge infatti obbliga con fare quasi totalitario l’interlocutore a riferirsi alla persona trans con il pronome che questa sceglie per sé obbligando l’altro a limitare la libertà di espressione basata sulla scienza e sulla propria sensibilità e piegarla a pulsioni soggettive a-scientifiche col rischio e con la minaccia di essere criminalizzato.
Nella nebbia delle discussioni e degli offuscamenti da parte della narrativa LGBTQI l’approccio migliore non sembra che essere uno, ritornare alla biologia elementare e alla scienza. In questo contesto qualsiasi Stato è più che giustificato ad applicare ed impiantare il proprio sistema legislativo in modo scientifico ed obiettivo a discapito di pulsioni soggettive psicologiche. Soprattutto, tali pulsioni soggettive non dovrebbero costituire leggi che de facto obbligano il resto della popolazione a conformarsi ad esse in modo totalitario e riconoscerle come legittime sottomettendo un concetto scientifico quale il sesso biologico ad un concetto che a tutti gli effetti può essere definito come politico, quale è il genere.
Riferimenti:
Bailey J. M. (2003), The Man Who Would Be Queen: The Science of Gender-Bending and Transsexualism, Joseph Henry Press.
Butler J. (2004), Undergoing Gender, Routledge, New York
Finnis J. (1994), Law, sexuality and sexual orientation, 69 Notre Dame L. Rev. 1049.
Sax L. (2002), How Common is Intersex? A Response to Anne Fausto-Sterling, Journal of Sex Research e US National Library of Medicine National Institutes of Health.
Yockey C., in press, War in the Women’s Room: How to Get Men in Dresses Out of Women’s Spaces, Save Your Children from Confusion about Their Sex, and Undo the Transgender Coup, to be published by Dangerous Books.
Nessun commento