Chi è musulmano e vive in Italia lo sa, non è possibile eludere il cerimoniale del dialogo interreligioso. Se si è atei, o di qualsiasi altra religione non cattolica, si è liberi di non interagire coi preti cattolici. Se si è musulmani invece ci si trova nella condizione di obbligo morale a dover partecipare ai tavoli di dialogo interreligioso organizzati per noi anche presso le prefetture. Piccolo chiarimento: io sono musulmano.
A partire dal 4 febbraio 2019 questo cerimoniale ha anche il suo testo “sacro”, che è un documento sulla fratellanza umana sottoscritto dal Papa e dall’Imam di Al Azhar, la storica università del mondo arabo-islamico che si trova al Cairo, in Egitto. Per carità, nessuno si sogna di essere contro la fratellanza. Ma contro le cose che ci sembrano mal poste vige l’obbligo etico di pronunciarsi. Questa comunione di intenti sulla carta è tra “La Chiesa Cattolica, con i cattolici d’Oriente e d’Occidente” ed “Al Azhar al Sharif, con i musulmani d’Oriente e d’Occidente”. Se nel Papa si concentrano i poteri temporali sullo Stato Vaticano e la leadership religiosa sui Cattolici di tutto il mondo, nell’Imam di Al Azhar si concentra ben poco in tal senso, anche nello stesso Egitto. Visto che l’evento ha avuto luogo ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, mi sento di inquadrare la sostanza di questo documento nella politica internazionale dello Stato Vaticano, e questo senza sminuire minimamente i contenuti del testo in questione, del quale non parlerò. Proverò però ad argomentare la mia tesi, nella speranza di dare un contributo alla discussione su queste tematiche.
La ripresa delle proteste in Egitto di queste settimane ci da lo spunto per fare cenno alla Primavera Araba egiziana (2011), alla successiva presidenza di Morsi (leader dei Fratelli Musulmani che vinsero le elezioni post rivoluzione, e morto da poco in prigionia), e del ruolo di Al Azhar in questo frangente (2011-2013). Nel 1961 il presidente Nasser aveva trasformato definitivamente gli Ulema (sapienti religiosi) di Al Azhar in funzionari di Stato, compito che hanno diligentemente svolto per oltre 50 anni, compresi i 30 anni di presidenza di Hosni Mubarak. Con la presidenza Morsi invece Al Azhar è passata all’opposizione. A partire dal colpo di Stato (2013), con il quale è salito al potere l’attuale presidente Abdel Fattah al Sisi, Al Azhar è tornata (metaforicamente) a votare la fiducia al governo. Da allora è partita una sontuosa campagna mediatica internazionale che vede Al Azhar, tra l’altro, impegnata nella lotta al terrorismo, ma localmente questa istituzione non gode del consenso popolare, e non perché l’Egitto sia terra di estremisti.
Benché considerata qua in Occidente come il “Vaticano” dell’Islam sunnita, Al Azhar è stata fondata nel 970 (X sec.) dalla dinastia sciita dei Fatimidi, per diventare un polo dell’Islam sunnita due secoli dopo con la dinastia fondata da Saladino (1171). Sotto l’Impero Ottomano (a partire dal 1517) Al Azhar perse il suo ruolo di centro del sapere religioso di livello massimo perché questo doveva essere ad Istanbul. Tra l’occupazione francese e quella inglese, con la dinastia di Muhammad Ali, Al Azhar perse anche localmente il suo esclusivo prestigio, perché col processo di modernizzazione filo-occidentale gli furono affiancate università di stampo europeo. La fine della sua relativa indipendenza dal potere politico risale al 1961, come scritto più sopra. Com’è allora che nel 2019 Al Azhar firma agli occhi del mondo a nome dei “musulmani d’Oriente e d’Occidente” ? E perché negli Emirati Arabi?
Il mondo arabo, da non confondere col mondo islamico tutto, è attraversato da alcune tensioni, anche molto violente, tra cui il fenomeno transazionale delle Primavere Arabe. Queste rivolte avevano il fine di spodestare alcuni regimi ultradecennali ed hanno visto l’ascesa di movimenti politici come Ennahda in Tunisia ed i Fratelli Musulmani in Egitto. Movimenti politici animati anche da un rinnovato fervore religioso che hanno un riferimento comune nell’Unione Mondiale degli Ulema Musulmani che è stata guidata a lungo da Yusuf Al Qardawi (egiziano), con sede a Doha, nel Qatar. Sempre in Qatar ha sede la TV Al Jazeera a lungo la principale emittente internazionale araba. Dopo le Primavere Arabe alcuni stati hanno cercato di recuperare terreno, e quindi di recente è stato messo in piedi il Consiglio dei Saggi Musulmani, con sede ad Abu Dhabi e con al vertice l’Imam di Al Azhar. Sempre negli Emirati ha sede la TV Al Arabiya nata per fare concorrenza ad Al Jazeera. Tra i paesi non interessati dalle primavere arabe alcuni, come la Turchia, sono alleati del Qatar mentre altri, come l’Arabia Saudita, fanno fronte comune con gli Emirati Arabi. Questi due macro blocchi si ricompongono diversamente quando la contrapposizione è col fronte sciita che fa capo all’Iran, e che comprende la famiglia Assad in Siria e Hezbollah in Libano. Ma questo è un altro film.
Con tutte queste contrapposizioni intra/inter stati musulmani, un’iniziativa come quella di Papa Francesco può risultare di parte, e fortemente divisoria. E’ una legittima scelta di politica estera, dello stato Vaticano, ma religiosamente c’è poco da sentirsi in fratellanza, almeno per parte musulmana. Poi ci sarebbe la solita scocciante subalternità che contraddistingue questo dialogo, a tutti i livelli. Durante la prima udienza tenuta al ritorno dagli Emirati, dopo aver lodato il paese visitato, il Papa ha dichiarato: “questo documento sarà studiato nelle scuole e nelle università di parecchi paesi (musulmani, ndr), ma anch’ io mi raccomando che voi lo leggiate”. Questo documento sulla fratellanza, quindi è libro di testo per alcuni, fino all’università, e lettura facoltativa per altri.
Se la subalternità dei musulmani è forse al momento una condizione difficile da riequilibrare, un minimo di onestà intellettuale sarebbe richiesta, la chiedo ai musulmani. Nello scenario in cui molti frequentano la parrocchia più vicina alla moschea senza avere rapporti con la moschea accanto, quando il gioco raggiunge certi livelli, possiamo distinguere due categorie di persone: quelle non politicizzate e quelle politicizzate. Le prime dovrebbero umilmente andarci coi piedi di piombo nelle iniziative di pubblica “venerazione” di questo documento, le seconde invece dovrebbero essere meno ipocrite, indipendentemente dal macro blocco del mondo arabo-islamico a cui si sentono più vicini.
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