Gli Uiguri sono una popolazione turcofona di religione musulmana che abita il Nord Est della Cina. Politicamente sono stati diverse volte annessi alla Cina dopo la sconfitta del Khanato che avevano costruito tra il Mille ed il 1200. Funzionari uiguri servirono alla corte di Gengis Khan e di Tamerlano prima che la regione entrasse a far parte del Celeste Impero. Durante tutta la loro storia, ed al pari di altre minoranze, si trovarono ad entrare in collisione con la concezione centralistica del Celeste Impero che concepiva solo l ‘assimilazione forzata o la persecuzione dei ‘’ribelli’’. Ne nacque una situazione di rivolta quasi permanente che diventò più forte nel corso del XIX e del XX secolo. Negli ultimi trent’ anni sono stati soggetti, per motivi relativi sia alla loro appartenenza all’ Islam che all’importanza geopolitica del loro territorio (appartenente alla Via della Seta), ad una persecuzione continua violenta oltre che al tentativo di sradicamento e pulizia etnica da parte delle autorità’ politiche cinesi.
Questo genocidio culturale silenzioso non ha ricevuto sinora l’attenzione che merita e anche Tariq Ramadan si è chiesto come mai la persecuzione degli uiguri cinesi, che sono solo lo 0.5 per cento della popolazione della Cina e sono musulmani, non sia tra le priorità’ della demma comunità islamica mondiale. A mio personale giudizio questo rientra in una malattia che la Ummah (la comunità islamica mondiale) odierna ha sviluppato: .la smania di integrazione a tutti i costi nel sistema neoliberista dominante, la corruzione delle classi dirigenti e la lontananza geopolitica dai punti strategici che interessano i musulmani, fanno sì’che questo popolo sia di fatto dimenticato.
Ma qualcosa si muove in questi ultimi mesi. Soggetto ad una vera politica neocoloniale di cinesizzazione forzata, il popolo uiguro sta lottando nel silenzio nonostante l’accusa ingiustificata di terrorismo da parte di Pechino ma ora sta ottenendo una relativa visibilità politica e mediatica. Da anni il governo centrale sta spostando la popolazione Han privata della terra fertile dall’industrializzazione forzata nel territorio uiguro formando popolose colonie di contadini cinesi. Gli Uiguri popolazione turcofona, sono molto diversi dagli Han e dalle altre etnie cinesi ma potrebbero vivere in pace con loro se non fossero perseguitati, invasi e costretti a rinunciare alla loro millenaria cultura e religione.
La ricchissima regione dello Xinjang in questi ultimi anni è stata letteralmente invasa da imprenditori cinesi che si prendono i migliori appalti ed assumono manodopera Han lasciando nella povertà’ estrema la popolazione autoctona. Finalmente però le denunce degli attivisti iniziano ad avere un seguito e diversi Stati cominciano a prenderle sul serio la questione.
Dopo anni di silenzio della Turchia, Mevlut Cavusoglu, ministro degli Esteri turco, nell’ambito del Consiglio Onu dei Diritti Umani riunitosi a Ginevra il 25 febbraio scorso, ha affermato finalmente : “La Turchia riconosce il diritto della Cina a combattere il terrorismo, ma dovrebbe imparare a distinguere tra terroristi e persone innocenti. […] Incoraggiamo le autorità cinesi e ci aspettiamo che i diritti umani universali, inclusa la libertà di religione, siano rispettati e che sia garantita la piena protezione delle identità culturali degli uiguri e di altri musulmani.”
La Turchia inoltre ospita molti esuli uiguri ben accolti dal Governo e dalla popolazione. In merito all’accusa di terrorismo e violenza da parte degli uiguri, la deriva della lotta armata riguarda piccoli gruppi di poche centinaia di persone su milioni e la stragrande maggioranza degli attivisti uiguri utilizza la non violenza come forma di protesta. Certamente esiste un diritto da parte delle autorità a combattere chi utilizzi la violenza contro civili inermi sotto qualsiasi bandiera, ma fino ad ora il terrorismo di Stato prevale largamente su quello delle bande che si richiamano al nazionalismo più o meno tinto di verde o a coloro che reclutano jihadisti all’estero.
Questa nascente attenzione rispetto ciò che sta avvenendo in Cina da parte dei paesi occidentali o di quelli a maggioranza musulmana in realtà è una buona notizia. Anche i Governi di Indonesia e Malesia si sono spesi a favore degli uiguri in questi ultimi mesi al punto che nel Luglio scorso la Cina, messa sulla difensiva dalla pressione internazionale, ha affermato di aver chiuso i famigerati campi di rieducazione dove migliaia di persone erano state prese prigioniere per il solo fatto di essere musulmane dividendo le famiglie e strappando i bambini dai genitori. In questo contesto, la piattaforma online “Osservatorio per i Diritti Umani” ha condiviso una forte testimonianza: “le guardie ci hanno detto che noi uiguri, insieme ai kazaki, siamo i nemici della Cina, che ci vogliono uccidere, che ci vogliono far soffrire e che non ci possiamo fare niente”.
A parlare è Nur (pseudonimo), ex prigioniero prima in un centro di detenzione poi in un “campo di rieducazione. Questi campi di concentramento vengono spacciati per “centri di formazione professionale” che le autorità cinesi hanno costruito nella regione occidentale dello Xinjiang per sradicare la cultura e l’identità della minoranza turcofona musulmana che la abita e che da sempre rivendica una propria autonomia da Pechino.
Ma come spiegare questa recente ondata di repressione? In realtà’ la zona era stata riannessa all’impero cinese intorno al 1760 ed era già’ governata in un’ottica centralista. La situazione è peggiorata a partire dagli anni Novanta quando di fronte alle pesanti ingerenze di Pechino per distruggere la cultura Uigura e neutralizzare la religione islamica con la scusa della sicurezza e della lotta al terrorismo, nel territorio sono nate le prime forze indipendentiste di massa in gran parte non violente.
Ma la repressione non bastava a schiacciare la dignità di questo popolo. A partire dal 2016, di fronte alla resistenza civile della popolazione ed al rifiuto di rinunciare all’ islam, Pechino cercò di attuare la strategia del dividi ed impera. Infatti, il livello di repressione nei confronti degli uiguri è aumentato ulteriormente con l’arrivo nel 2016 dell’ex segretario del Partito Comunista in Tibet. Ilham (pseudonimo), che nel 2017 ha deciso di lasciare il paese, racconta «Dopo l’arrivo di Chen Quanguo, le autorità dello Xinjiang hanno diviso le persone in tre categorie: quelle di cui ci si può fidare, una più “generica”, e quelle di cui non ci si può fidare. In seguito, hanno fatto sapere che quelle di cui non ci si può fidare devono essere messe “in luoghi sicuri”, i famigerati “campi di rieducazione”,
Per capire il livello di paranoia del governo cinese si tenga presente che anche per ragioni non direttamente legate alla religione chiunque può’ essere considerato un sospetto ‘’ terrorista ‘’, termine che per il governo cinese identifica più semplicemente chi non ha alcuna intenzione di sottomettersi alla de-islamizzazione imposta dal regine. Oggi viene persino utilizzato un software di riconoscimento facciale per individuare i sospettati. Tra questi sono inclusi coloro che hanno la barba lunga, che non fumano, che parlano la lingua uigura e che visitano siti stranieri per contattare i familiari residenti all’ estero.
Secondo un rapporto dell‘associazione umanitaria Human Rights Watch, sono circa un milione le persone rinchiuse nei campi di rieducazione negli ultimi anni. Un altro importante aspetto dell’opera di oppressione che sta attuando Pechino è il tentativo di sradicamento culturale e di sistematica distruzione della memoria del popolo uiguro portato avanti attraverso la distruzione del grande patrimonio culturale di questo popolo, dei suoi palazzi e delle sue moschee antiche, della sua storia e dei suoi Sapienti ed accademici. Secondo il Guardian sono una ventina le moschee e i mausolei sufi che sono stati distrutti parzialmente o totalmente dal 2016 nella regione del Xinjiang.
Nel frattempo, vengono costruiti finti villaggi tradizionali dove gli Uiguri sono costretti ad esibirsi a beneficio dei turisti ed il tutto sotto l’ occhio della polizia. Quest’ultima ha riempito ogni luogo di telecamere per spiare ogni movimento della popolazione ed ha incoraggiato apertamente la delazione.
Da anni le autorità cinesi sottopongono gran parte della popolazione uigura (circa 13 milioni in tutto) a restrizioni così straordinarie sulla vita personale che, per molti aspetti, una combinazione di misure amministrative, checkpoint e controlli dei passaporti, compreso l’accesso al Hajj (pellegrinaggio islamico alla Mecca) rendono la vita di questo popolo del tutto simile a quella dei Palestinesi sotto occupazione israeliana. Pechino continua inoltre, in modo spaventosamente simile ai tempi di Mao, a sottoporre la popolazione ad un persistente indottrinamento politico anche al di fuori dei campi. L’essere presenti agli alzabandiera del partito, l’ iscrizione forzata al Partito Comunista Cinese, la partecipazione coatta a incontri politici e la frequenza obbligatoria di scuole serali di cinese mandarino sono solo alcuni esempi dell’indottrinamento forzato che viene perpetrato. In questo modo i cinesi credono di poter comprare l’ anima degli uiguri musulmani ma ottengono l‘ esatto opposto.
Dal 2016 è in atto la schedatura di massa di tutta la popolazione attraverso prelievo del sangue, schedatura dell’iride e altre misure lesive della libertà’ personale. Tra i campi di rieducazione mascherati da scuole professionali, secondo il periodico Panorama ce ne sarebbero cinque particolarmente segreti dove sarebbero rinchiuse le persone giudicate potenzialmente pericolose non perché terroristi ma perché attaccate alla loro religione e cultura e capaci di trasmetterle alle nuove generazioni. Gli imam inoltre sono nominati di fatto dal Governo e senza essere iscritti al PC cinese è impossibile ottenere il visto per il Hajj. Quindi per un motivo o per l’altro tanta gente è costretta a fingere di essere fedele al regime.
Come abbiamo visto gli sforzi per monitorare gli uiguri includono l’uso di tecnologie moderne e spesso all’avanguardia, di sorveglianza e biometriche. Questo stato di polizia è reso ancora più sistematico da un’altra campagna lanciata a dicembre del 2017 sempre dal governo centrale, Becoming Family (Diventando famiglia). Si tratta di un programma di soggiorno obbligatorio, applicato soprattutto nelle zone rurali, per cui più di un milione di quadri del partito comunista trascorrono almeno cinque giorni ogni due mesi nelle case degli abitanti dello Xinjiang.
Con livelli senza precedenti di repressione delle pratiche religiose, le autorità hanno di fatto messo al bando l’islam: portare la barba, indossare l’hijab (velo islamico), salutare con la frase in arabo “As-Salaam-Alaikum” (che la pace sia su dite), astenersi dal bere alcol o dal fumare, sono tutti atteggiamenti considerati sospetti e costituiscono motivi sufficienti per cui si può finire in un campo di rieducazione.
Nel Marzo di quest’anno si è levato l‘appello del Presidente del Comitato Mondiale degli Uiguri in esilio Dolkun Isa dicendo che “molti Paesi musulmani continuano a tacere” e che, sulla persecuzione degli uiguri, essi anzi “sostengono la repressione. Il Presidente lancia quello che sembra un disperato grido di aiuto “subiamo una persecuzione religiosa”. Dolkun, che ha ricevuto il premio “sostegno nazionale per la democrazia” (fondato dal Congresso Usa per la promozione della democrazia nel mondo) ha confermato più volte quello che è emerso da diversi attivisti che avevano intervistato alcuni uiguri in esilio i quali raccontano di essere costretti a mangiare maiale e a rinnegare la religione islamica con la minaccia di venire incarcerati come terroristi.
Sono noti anche i casi di sparizione di persone come il caso di una giovane studiosa uigura, l’accademica Rahile Dawut. Dawut è una studiosa esperta nella cultura degli uiguri e quindi un pericolo assoluto per la mentalità dei burocrati pechinesi. Il Ministero della Cultura cinese ha sequestrato le sue ricerche e dopo che lo scorso dicembre la professoressa Dawut ha preso un treno per Pechino nessuno l’ha più vista da allora ( fonte NYT).
L’isteria del governo cinese si mostra in varie sfaccettature. Il solo fatto di avere un passaporto straniero, di essere stati all’estero in uno dei 26 paesi considerati “sensibili” (quali Kazakistan, Turchia, Russia e Emirati Arabi Uniti), di conoscere una lingua straniera o di contattare persone straniere tramite i social costituisce motivo di persecuzione e sospetto.
Il documento di Human Rights Watch non fa che corroborare quanto ribadito il 13 agosto scorso dal Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale delle Nazioni Unite (CERD). In quell’occasione, ad accusare Pechino era stata l’americana Gay McDougall, vice presidente dell’istituzione.
“Sulla base di numerosi rapporti che abbiamo ricevuto, posso affermare che il governo cinese, in nome della lotta all’estremismo religioso e al fine di mantenere una stabilità sociale, sta trasformando la regione autonoma della Xinjiang in qualcosa che ha tutto l’aspetto di un immenso campo di internamento avvolto nel segreto, una “no rights zone”, una zona al di fuori del diritto”.
Le accuse sono state respinte dai rappresentanti delle autorità della Repubblica Popolare, che comunque non hanno portato alcuna prova a sostegno della propria tesi. Anzi, l’immagine che Pechino dà dei campi è una versione edulcorata e idealizzata.
“Il governo ne parla in termini di “centri di rieducazione e formazione professionale” per “criminali autori di reati minori”, spiega Wang.
Eppure a nessuno è dato il permesso per un sopralluogo, agendo come se in ogni accusa si celi un attacco diretto alla sovranità cinese. I sopralluoghi vengono negati alle Nazioni Unite, dove la Cina ha un seggio nel Consiglio di Sicurezza con diritto di veto, alle organizzazioni che difendono i diritti umani, e ai giornalisti (tranne eccezioni in cui il governo si prende cura di creare dei tour guidati ad hoc). Coloro che fanno inchieste “sgradite” vengono di fatto espulsi. Questo è stato il caso di Megha Rajagopalan, capo dell’ufficio pechinese di BuzzFeed News, a cui ad Agosto è stato negato il rinnovo del visto dopo la pubblicazione di un suo reportage sulla condizione degli uiguri nello Xinjiang.
“Il governo cinese sta commettendo violazioni dei diritti umani nello Xinjiang su una scala che è rimasta invisibile per decenni”, ha affermato Sophie Richardson, direttrice cinese di Human Rights Watch. La campagna Strike Hard è un test chiave per stabilire se le Nazioni Unite e i governi interessati sanzioneranno una Cina sempre più potente per porre fine a questo abuso.” Recentemente, sempre all’Onu, una ventina di Stati tra cui Turchia e Italia hanno severamente condannato la politica cinese verso gli uiguri. Noi speriamo caldamente che la Cina cessi questa politica e che gli uiguri siano liberi nella loro terra perché è intollerabile che ad oggi un Governo possa fare a pezzi in questo modo la libertà e l’anima di un popolo.
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