Il recente accordo sulla redistribuzione dei migranti ha stupito molti. Quello che sembra una vera e propria inversione di marcia nasconde, per molti motivazioni, politiche ben specifiche. Di Maio ha commentato l’accordo complimentandosi con il Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ricordano che nonostante questo accordo sia un passo positivo esso rappresenta una soluzione non strutturale al problema, che per il Ministro Di Maio va invece risolta all’estero tramite il “blocco delle partenze” e la stabilizzazione di Stati come la Libia. I motivi dell’accordo sono forse da ritrovarsi non in uno spontaneo impeto di cooperazione fra gli Stati Membri ma nella paura di vedersi a confrontare con le politiche ostruzioniste e quasi “minatorie” dell’ex Ministro Salvini con il rischio che altri Stati Membri optino per una simile strategia.
Il nuovo accordo mira a ridurre i tempi di ricollocazione dei migranti che sbarcheranno in Italia a massimo quattro settimane. L’accordo di Dublino viene anche superato spostando la responsabilità della valutazione delle richieste d’asilo dai Paesi di primo sbarco a quelli in cui avverrà la ricollocazione. Oltre il proposito generale di tentare di estendere l’accordo a più Paesi possibili, l’accordo prevede l’attivazione di un progetto pilota al fine di valutare gli effetti dell’accordo e di prevedere una rotazione di “porti sicuri” su base volontaria.
L’accordo, attualmente sottoscritto solo da Malta, Italia, Francia e Germania, è stato presentato ai Ministri degli Interni degli Stati Membri l’8 ottobre con scarsi risultati. Gli altri Stati Membri sono stati restii a sottoscrivere l’accordo. Con soli quattro Stati, l’accordo è da considerarsi più transnazionale che “europeo” e le incognite sono ancora molte. Inoltre, la disponibilità da alcuni Stati Membri è stata data solo per numeri limitati di migranti, cosa che naturalmente ha ridotto l’impatto previsto inizialmente.
Fra le reazioni iniziali antecedenti all’incontri da parte degli altri Stati Membri, quella del Ministro degli Interni finlandese Maria Ohisalo sembra gettare luce su quali siano alcuni degli aspetti vitali a cui il piano dovrà rispondere. “Trovo che sia cruciale”, afferma il Ministro, “spostarsi da accordi nave per nave verso soluzioni più prevedibili”. La Ministra continua affermando che “per essere funzionali, gli accordi devono essere basati su una responsabilità condivisa che coinvolga un alto numero di Stati Membri.”
C’è da dire che il cambiamento politico ha mostrato già alcuni effetti, seppur limitati, con il recente sbarco autorizzato dal governo dei 182 migranti in Sicilia il 24 Settembre. La nave, operata dalle ONG francesi SOS Méditerranée e Médecins Sans Frontières, ospitava a bordo molte donne, minori e neonati. L’approccio a livello nazionale è sicuramente cambiamento ma i dubbi a livello europeo sono ancora molti.
Fra i motivi che hanno reso caldo l’incontro a Malta vi è anche il fatto che i paesi di primo approdo, quali Grecia, Cipro, Bulgaria e Spagna, non hanno intenzione di ratificare un accordo che non affronti con chiarezza il tema dei tassi di ridistribuzione tenendo conto dei già alti flussi che arrivano nei loro territori. Inoltre al Consiglio UE degli Affari Europei solo altri tre paesi hanno dichiarato di voler sottoscrivere gli accordi di Malta quindi oltre a Malta, Italia, Francia e Germania, i paesi firmatari della bozza si sarebbero aggiunti solo Finlandia, Lussemburgo ed Irlanda
La questione dei tassi di redistribuzione ha assunto un peso ulteriore all’indomani del via libera di Trump per permettere alla Turchia di iniziare operazioni militari nel nord della Siria. Fra i motivi strategici presentati dalla Turchia vi è infatti il potenziale ritorno dei rifugiati siriani attualmente in Turchia, ma per questi Stati l’intervento in Siria potrebbe rischiare di scatenare una seconda crisi umanitaria e di iniziare nuovi flussi di migrazione.
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