In Tunisia Kais Saied, che già viene tacciato di “ultraconservatore” da molta stampa italiana, ha vinto alla grande il ballottaggio che lo opponeva al tycon Nabil Karoui, uscito di galera giusto la vigilia del secondo turno.
Il suo voto invero non avrebbe comunque fatto la differenza: il 76% dei tunisini che si sono recati alle urne hanno scelto il suo avversario, un plebiscito dunque tenuto conto delle condizioni generali del Paese.
Su 7 milioni di aventi diritto 3 milioni hanno scelto e incoronato Saied.
Finite le dittature che obbligavano al voto o che comunque affiggevano l’indiscusso, e non discutibile, sostegno popolare dei regimi al potere, il popolo tunisino si è allineato alle medie europee e occidentali, una fiducia nel sistema democratico che dovrebbe essere premiata da un’ azione di governo capace di dare un po’ di giustizia e serenità a quel Paese.
Il presidente eletto è un costituzionalista, professore universitario che non ha dietro di se una forza politica organizzata, ma in occasione del ballottaggio il partito Ennahda, di maggioranza relativa nel parlamento tunisino (24%), ha acclarato il suo sostegno a questo candidato, considerato un outsider fino alla vigilia del primo turno.
Con una popolazione stimata intorno ai 12 milioni di persone (oltre un milione dei quali residenti all’estero) la Tunisia ha vissuto, dalla cosiddetta “Rivoluzione dei gelsomini” un periodo di grande travaglio politico e finora chi l’ha governata non è riuscito a risolvere i problemi maggiori che affliggono il Paese: corruzione politica e amministrativa, disorganizzazione istituzionale, disoccupazione e povertà diffusa.
Con un reddito medio procapite di poco più di 4.000$/anno, il Paese i disoccupati sono 15% (dati ufficiali) mentre il 35% dei giovani sono in quella condizione.
Le potenzialità economiche sono tutte nella riorganizzazione del settore turistico, segmento nel quale ci sono stati durante il regime di Ben Ali massicci investimenti di capitali del Golfo arabo, lo sfruttamento razionale delle risorse agricole e la messa a regime dell’estrazione dei fosfati, di cui la Tunisia è, sulla carta, il sesto produttore al mondo, ma che avrebbe bisogno di costosi e radicali interventi di riammodernamento degli impianti e delle infrastrutture.
In un regime semipresidenziale come quello che si è dato il Paese, il Capo dello Stato è il responsabile diretto della sicurezza nazionale, e da le linee guida delle relazioni internazionali e della difesa, in quanto comandante in capo delle forze armate; nomina il primo ministro, il Gran Mufti, il tutore della legge religiosa islamica, il Presidente della Banca Centrale, il corpo diplomatico e i 24 governatori locali.
Come detto sopra Kais Saied, sembra non aver altro, dalla sua, che la forza tranquilla delle sue convinzioni civili e politiche, nelle quali il popolo tunisino si è riconosciuto e in cui ha riposto, una volta ancora, una vibrante speranza di cambiamento.
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