L’Istat registra quest’anno in Italia il minimo storico di nascite con 439.747 bambini, mai così pochi dall’Unità d’Italia. Il fenomeno del calo demografico inizia circa quarant’anni fa, quando i baby boomers nati a cavallo del secolo scorso cominciano ad avere figli. Le nostre madri, e ancor più le nostre nonne, con una media di tre o quattro figli per donna facevano aumentare la popolazione, ma dopo gli anni Ottanta si scende a due figli al massimo o al figlio unico, ciò frutto anche di una mentalità antinatalista molto diffusa e del massiccio impiego delle donne nell’industria e nei servizi per lo più nei lavori più abietti e peggio pagati.
Secondo il calcolo degli statistici, i tre quarti della diminuzione delle nascite di oggi dipende dalla diminuzione numerica della popolazione femminile in età feconda e dalla propensione di questa popolazione a diminuire il numero dei figli negli ultimi quarant’anni. Anche se si fosse mantenuto lo stesso tasso del 2008 il numero dei figli sarebbe comunque diminuito di oltre 70 mila nascite. Siamo oggi non più di 55 milioni di abitanti un paese nel complesso modesto ma con un PIL nonostante tutto notevole, segno di una concentrazione della ricchezza non equa.
L’ invecchiamento della popolazione significa un carico eccessivo della pressione fiscale su chi lavora. Nel 1975 il peso fiscale in Italia era il 25% del prodotto interno lordo, oggi è il 45%. Il fenomeno delle crisi economica è insieme causa e conseguenza della denatalità in un vortice che distrugge sempre più ricchezza, servizi e popolazione producendo razzismo, disturbi psichici, rabbia ed invidia sociale verso chi sta meglio. Il ripiegamento degli individui su sé stessi dà vita ad una società a tratti amorfa e disillusa o rabbiosa e velleitaria, laboratorio ideale degli sciovinismi contemporanei. Al declino sociale economico spirituale si aggiunge quello culturale.
In questi ultimi anni è cresciuto inoltre un nuovo fenomeno, quello delle donne che rifiutano la maternità ed il matrimonio. In Italia il 45,4% delle donne di età compresa tra 18 e 49 anni è senza figli. Di queste, il 17,4% non intende e non desidera averne. Sono le cosiddette childfree, donne per le quali la maternità non rientra nel loro progetto di vita. Sono soprattutto le laureate, occupate e residenti al Nord a rientrare in questa categoria.
Sono aumentate a dismisura anche le coppie di conviventi e quelle childfree conviventi o sposate, un numero impressionante di donne che attirate dagli slogan di libertà ed autonomia si trovano spesso vittime del mercato che le usa e le getta dopo la prima malattia, che le ricatta col precariato, e che le spinge a cambiare continuamente lavoro e residenza.
Nonostante ciò, l’ ideologia anti-vita viene giustificata in questo modo in un articolo di Annarita Chierico sul Giornale:
[Vogliamo] meno figli perché desideriamo ritagliare più tempo a noi stessi, alle nostre carriere e passioni. […] [Vogliamo] meno figli perché un figlio, una volta nato, rimane, e la genitorialità non si esaurisce nel mistero della gravidanza, prosegue usque ad mortem“ afferma Chierico come se la cura di un genitore per il figlio “usque ad mortem” fosse una cosa negativa.
Chierico continua affermando che “nella società del benessere(sic) le donne scoprono di non essere incubatrici destinate alla procreazione, che l’uomo oggi c’è e domani si cambia, che il matrimonio non è più un’assicurazione sulla vita, che il tuo «tenore di vita» dipende da te soltanto d a te.’’ Senza prendersi cura di considerare che ciò non fa piegare le donne ad un’altra forma di oppressione, quella che non le lascia libere di avere una carriera e dei figli ma che le obbliga ad una scelta. La perdita di un diritto non si risolve sacrificandone un altro per riottenerlo, ma lottando per ottenerli entrambi, ancor più quando questi diritti si sacrificano sotto la minaccia di povertà e di non indipendenza.
Quali sono dunque le motivazioni principali del calo demografico in Italia? C’è innanzitutto da sfatare il mito secondo il quale la problematica sia esclusivamente legata alla questione economica. Anzi i più poveri sono quelli che i figli ancora li fanno. La questione economica ha un peso soprattutto nelle grandi città dove a bassi salari corrispondono affitti elevati e carenza di tempo e di spazio per i bambini. I figli però sono stati messi al mondo in passato ed ancor oggi anche in condizioni peggiori perfino in tempo di guerra e dunque il problema appare più culturale Sono i progetti di vita fatti di scelte rimandate e di precarietà assunta come valore che non rientrano nel modello tradizionale di famiglia. Una prova di ciò è il fatto ad esempio che nonostante i bonus bebè ed i progetti di nido gratis, l’indice di fertilità è sempre basso.
La rottura sociale della crisi del fordismo ha provocato un cambio di mentalità molto forte. La vecchia cara idea secondo cui ogni individuo faccia parte di una catena, nasca e procrei per continuare quella catena è andata in frantumi. L’ idea che con lo sforzo ed il sacrificio si costruisce un domani migliore per figli e nipoti si è spezzata. Un ulteriore motivo di questa rottura sociale è anche da ricercare nella crisi di idee quali la Provvidenza. Ricerche hanno dimostrato che le persone che credono sono in genere più felici e meno depresse e riescono ad affrontare meglio le crisi. Abbiamo percentuali di ateismo nei giovani italiani che sfiorano ormai il trenta per cento anche dovute alla crisi del Cristianesimo quale religione proposta, a volte imposta, per tradizione familiare, per nascita, per destino ed accettata dalle generazioni precedenti senza porsi troppe domande.
Da diverse ricerche risulta che la fede non imposta dalla famiglia o da ambienti religiosi asettici risulti in più felicità. Le ricerche mostrano inoltre che i bambini nascono con la predisposizione naturale a credere in una forza creatrice superiore, un Dio. La società materialista odierna che dà grande importanza al godimento immediato ed al guadagno facile ha portato ad una carenza di tempo e di spazi adeguati a riflettere e maturare una spiritualità adeguata alle sfide di questa società. Questo tipo di spiritualità è quella che sembri risultare in una felicita genuina ed una sensazione di pienezza e realizzazione. Infatti, moltissime sono le testimonianze in proposito da chi afferma che la fede abbia reso migliori le loro vite.
La struttura delle società odierne mette in crisi la stessa idea di generazione e contribuisce ad un sistema di produzione e riproduzione sociale che trova non solo funzionale ma più economico sostenere la sterilità. Purtroppo, gli stessi individui che sacrificano la famiglia sono anche quelli che si ritrovano abbandonati e costretti ad affidarsi a badanti e case di riposo in una società che ha perso l’affiatamento che caratterizzava le famiglie del secolo scorso. “Se fino al secolo scorso la componente demografica ha mostrato segnali di vitalità” ha dichiarato il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, presentando il Rapporto annuale “e ha spesso fornito un impulso alla crescita del Paese anche sul piano economico, oggi potrebbe svolgere, al contrario, un effetto frenante’’.
Un ultimo ed importante aspetto è l‘enorme investimento di tempo libero di molti individui per pornografia, gioco d’azzardo e droghe. Queste attività sono alcune fra le principali cause di mancanza di famiglia, povertà e degrado. Quello che è certo è che questo Paese non si riprenderà fino a che non comincerà ad attrarre giovani e non a spaventarli e vederli usare i loro talenti all’estero. Nella fuga di ragazze e ragazze dal deprimente paesaggio sociale italiano solo 1/4 dei giovani sono laureati, gli altri sono i figli del fallimento della scolarizzazione, quelli dei corsi professionali triennali regionali che con la qualifica, dopo essersi fatti sfruttare da qualche ristoratore sulla Riviera romagnola o a Roma, vanno a fare i camerieri ed i cuochi a Londra per poi piantarvi le tende mettendo al mondo futuri inglesi.
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