Beirut e molte altre città del Libano sono state investite negli ultimi giorni da importanti manifestazioni di massa di cittadini che protestavano contro il caro vita, la corruzione e la malversazione amministrativa.
Oggi il Primo Ministro Hariri ha annunciato riforme che prevedono (tra l’altro) la riduzione della metà degli stipendi dei politici.
Dopo che per decenni l’alterazione dell’ordine pubblico è stata causata da scontri che si caratterizzavano in vere e proprie guerre interconfesionali tendenti ad affermare il predominio di una fazione su tutte le altre, in un tourbillon di alleanze e tradimenti, questo autunno nel Paese dei Cedri si è scaldato in modo del tutto imprevisto.
I libanesi, senza distinzione di appartenenza confessionale stanno protestando contro il malgoverno e la corruzione che ha condotto il Paese ad avere un debito di oltre 100 miliardi di dollari con la Banca Mondiale, e il cui servizio incide per 10 miliardi sul bilancio delle esauste casse dello Stato (86 miliardi – oltre il 150% del prodotto interno lordo, secondo il ministero delle finanze).
Le proteste che hanno investito l’insieme del Paese e non hanno risparmiato nessuno degli esponenti dell’establishment, durano da giorni e ci sono stati durissimi scontri tra manifestati e polizia-esercito con centinaia di feriti e fermi.
La vicenda trae la sua origine nel prestito che il Libano negoziò con la Banca Mondiale dopo la stipula degli accordi di Taif (1989) che pose fine ai conflitti intercofessionali che avevano sconvolto il paese tra il 1982 e fino all’inizio del 1990. Il prestito che era finalizzato alla ricostruzione del Paese che aveva subito gravissime devastazioni a causa dei conflitti interni e all’invasione israeliana del 1982 sembra sia sia risolto in un enorme arricchimento dei capi delle fazioni attori della guerra civile.
Per far fronte al rischio di default il governo Hariri non ha saputo far altro che promulgare una serie di decreti fiscali che avrebbero colpito direttamente l’insieme della popolazione che, da canto suo l’accusa di non volere o non saper costringere i corrotti a restituire al Paese quello che gli avrebbero rubato in questi decenni. Si parla in Libano di 320 miliardi di dollari depositati nelle banche svizzere dai ministri dei vari governi che si sono succeduti dal 1990 ad oggi.
Nei provvedimenti del governo era previsto, tra l’altro, un aumento dell’IVA dal 10 al 15%, una tassa di 20 cent di dollaro su ogni chiamata WhatsApp, lo strumento maggiore della comunicazione dei libanesi.
Venerdì scorso per calmare le proteste il primo ministro Hariri ha revocato gli aumenti e dato un ultimatum di 72 ore ai suoi ministri, affinchè concordassero un bilancio finale che non includesse aumenti e tasse aggiuntive. L’ultimatum scade oggi e si prevedono altre manifestazioni di piazza in caso le misure annunciate non rispondano, almeno in gran parte alle aspettative del popolo.
Grande come due volte la Liguria ( poco più di 10mila kmq di superfice) il Libano ha 4,2 milioni di abitanti a cui si devono aggiungere quasi 500 mila palestinesi e oggi 1,8 milioni di siriani fattore indubbio di destabilizzazione in un paese già tanto stressato.
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