Mohammad Dahlan nasce nel 1961 nel campo profughi di Khan Younes, nella Striscia di Gaza e si avvicina alla politica alla fine degli anni ’80, fondando il movimento “La Giovane Fatah” partecipando attivamente ad operazioni di sabotaggio contro Israele nella Striscia di Gaza.
Nel 1981 viene arrestato dalle Forze Israeliane e rimane in carcere fino al 1986. Una volta uscito si avvicina a Yaser Arafat, capo storico di Fatah e dopo gli accordi di Oslo nel 1993, viene nominato da Arafat stesso, capo dei servizi di sicurezza interni nella Striscia di Gaza e Cisgiordania, il Preventive Palestine Security Service con il compito di soffocare all’interno dei territori controllati, i dissidenti all’accordo tra l’autorità palestinese e Israele.
Lo scontro con Hamas
Con la vittoria elettorale di Hamas nel 2006 nella Striscia di Gaza, Dahlan e i suoi uomini si attivano, con la collaborazione del Cairo, Washington e Tel Aviv, nell’addestramento e la preparazione di un esercito clandestino in Sinai per contrastare la presenza di Hamas nella Striscia e scoppia la guerra civile, che terminerà solo nel 2007 con la vittoria militare di Hamas e la cacciata di Fatah da quella lingua di terra.
Si tratta di una sconfitta bruciante per Dahlan che dall’estero sperava di spezzare il movimento islamico.
Lo squadrone della morte, gli affari a Gaza e lo scontro con Abu Mazen
Dahlan non è un semplice politico: con importanti relazioni con l’intelligence israeliana Shin Bet e la Cia, come rivela Weakileaks con il Palestine Papers, è un uomo insidioso e imprevedibile. Il suo nome risuona tra i mandanti occulti della morte di Arafat mentre Abbas, il Presidente dell’autorità palestinese, lo accusa di aver rubato dalle casse statali 16milioni di dollari. Dirigerebbe, secondo al Watan, lo squadrone della morte: sicari, ex criminali, che all’interno della polizia palestinese, per conto di Israele, vengono attivati per eliminare o arrestare gli oppositori politici palestinesi di Tel Aviv.
Il lavoro di intelligence di Dahlan non si ferma qui: con le sue informative avrebbe aiutato il team del Mossad ad uccidere Mahmud Mabhuh, dirigente di Hamas strangolato nella sua camera di albergo a Dubai nel 2010. Non solo. Dahlan gestiva fino a pochi anni fa il bussiness del passaggio dei valichi di frontiera tra Israele e Gaza, commercio che gli avrebbe fruttato un patrimonio di 120 milioni di dollari.
Nel 2008 Dahlan è in Cisgiordania e cerca di promuovere la sua figura come alternativa politica ad Abbas, ma le accuse di corruzione lo costringono a fuggire dalla Cisgiordania per riparare negli Emirati Arabi dove diventa consigliere per la sicurezza dell’Emiro Mohammad Ibn Zayd e dove continua ad intessere relazioni.
Il suo nome nei colpi di Stato in Egitto e Turchia e affari in Serbia
Il nome di Dahlan compare sia nel 2013 durante il colpo di stato in Egitto del generale Al Sisi che nel fallito tentativo di golpe in Turchia nel 2016. In entrambi i casi Dahlan avrebbe tessuto, attraverso i finanziamenti degli Emirati e Arabia Saudita, relazioni con i golpisti egiziani e turchi per ribaltare la situazione politica nei due paesi. Non solo, per conto dell’Emiro Ibn Zayd avrebbe stretto relazioni con la Serbia per l’acquisto di partite di armi del valore di milioni di euro da inviare successivamente in Libia e in Egitto.
Sostenuto da Israele e Usa, alcuni analisti ritengono probabile che una volta eliminato politicamente Abbas, Dahlan possa diventare presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania per poi cercare di estendere il suo potere anche alla Striscia di Gaza, sponsorizzandosi come l’unica alternativa a Hamas.
Dahlan a seguito di inchieste giornalistiche sul suo operato ha fatto causa a giornale MiddleEast Eye per diffamazione. Poche settimane fa ha perso il processo e ora dovrà risarcire la testata con mezzo milione di sterline.
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