In Umbria come prevedibile ha vinto la coalizione di centrodestra guidata dalla Lega di Matteo Salvini. Ciò che non era prevedibile è la debacle dell’alleanza M5S-PD al suo debutto assoluto in una competizione elettorale.
Salvini e soci sfiorano il 60% in una regione tradizionalmente rossa, e né lo scandalo della gestione della sanità targato PD né il fatto che in molti comuni la sinistra non governasse più da tempo bastano a spiegare il disastro elettorale, siamo di fronte ad un voto con una valenza politica evidentissima e sarebbe pericoloso anche per le forze attualmente al governo tentare di ignorarlo.
Si tratta di un trionfo per Salvini che prende il 37% mantenendo il trend di crescita positiva ma soprattutto per Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni che con il suo 10% asfalta una Forza Italia alla deriva e supera il Movimento 5 Stelle di poco sopra il 7%.
Il Partito Democratico tutto sommato tiene incassando il 22% ma trattandosi dell’Umbria, regione dalla Storia rossa si tratta in ogni caso di una sconfitta.
Il dato più clamoroso però è il tracollo del Movimento 5 Stelle che nel giro poco più di un anno e mezzo è riuscito a perdere in Umbria tre quarti dei consensi scendendo dal 33% delle politiche del 2018 al 7% di ieri passando per il magro 14% delle ultime europee. Si potrà certamente obiettare che si tratta di elezioni dalla natura diversa, e che il Movimento non è mai andato forte nelle regioni ma il declino del movimento di Grillo e Casaleggio è incontrovertibilmente dimostrato dal fatto che dal marzo 2018 il M5S abbia perso tutte le tornate elettorali continuando a calare nei numeri.
Non si ricorda a memoria una forza politica capace di dilapidare in così poco tempo un patrimonio di consenso e di credibilità presso l’opinione pubblica.
Il Movimento oggi attraversa una crisi profonda che riguarda il nucleo centrale della sua identità di forza anti-sistema, una forza che ha costruito il suo appeal sulla radicalità delle posizioni contro l’establishment che finisce per allearsi con il partito che per antonomasia nell’immaginario del suo elettorato e dei suoi militanti incarna i poteri forti che si volevano spazzare via.
Il PD e il M5S hanno dato vita ad un governo grigio che nell’estetica e nella comunicazione sa tanto di DC e che non ha nessun orizzonte ideale o avversario designato in grado di mobilitare la base tipica del Movimento, ormai dovrebbe essere certificato che l’agitare lo spauracchio del ritorno del fascismo non riesce in alcun modo a impensierire gli italiani.
Il M5S sembra una squadra che andando male in campionato cambia schema in continuazione ma non riesce a cambiare i giocatori continuando a relegare in panchina i pochi che potrebbero fornire qualche speranza di recupero. Ma non si tratta tanto di processare Di Maio, quella umbra è proprio la sconfitta di Beppe Grillo, vero artefice dell’accordo con il PD responsabile di aver soffocato ogni possibile dibattito interno sulle alternative e di aver depotenziato ulteriormente le istanze di cambiamento che erano il cuore e la ragion d’essere della sua creatura politica, Di Maio stesso è stato silenziato e sconfessato dall’elevato e ora probabilmente gli toccherà la parte dell’agnello sacrificale.
L’elettorato ma soprattutto la militanza sembrano non aver ha gradito i numerosi e repentini cambi di direzione del Movimento, sulle modalità di fare politica e quindi: alleanze, doppio mandato, centralità del Parlamento e democrazia interna, tutto a geometria molto variabile.
Ma forse è sulle battaglie classiche che i 5 stelle hanno perso più consenso perché in alcuni casi si sono verificati dei veri e propri voltafaccia: dal Tap, all’ILVA, dai vaccini al TAV, dalla revoca delle concessioni ad Atlantia alla richiesta alla stessa di entrare in Alitalia, dall’opposizione agli F35 alla conferma delle forniture militari USA, dalle barricate sul salva-banche al salvataggio di Carige. Sembra che la connessione fortissima che Grillo e i suoi erano riusciti a stabilire con il popolo non esista più, il Movimento sembra aver perso la bussola quando prevale una figura come Spadafora, assimilabile per certi versi a una Boldrini.
Molto altalenanti anche le scelte in politica estera ed europea, chi si presentava come campione dell’opposizione all’establishment europeo ha eletto Ursula von der Leyen alla presidenza dalla Commissione e la visita di Di Maio ai gilet gialli ha lasciato spazio ad un approccio più “diplomatico” nei confronti di Macron.
Preoccupa questo disfacimento che non vede all’apparenza un’orizzonte di ricomposizione, perché il M5S si era posto come forza capace di incanalare la sofferenza degli italiani, la rabbia e la frustrazione nei confronti dello status quo in un movimento in grado di essere al contempo populista e civile, il futuro ora è un’incognita ma tutto indica che Salvini e la Meloni avranno la strada spianata verso Roma, a gennaio l’appuntamento elettorale in Emilia Romagna potrebbe pronunciare la parola definitiva.
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