Nel mondo ci sono 110 milioni di mine attive e uccidono ogni anno oltre 20 mila persone, soprattutto civili, il 47% delle vittime sono bambini.
Le guerre prima poi finiscono, si firmano tregue, armistizi, trattati di pace.
Gli eserciti smobilitano, almeno in parte e tornano a casa i sopravvissuti, tutti portandosi dietro i traumi degli orrori visti, subiti e perpetrati e la gente inizia a ricostruire faticosamente quello che era stato distrutto con grande rapidità.
Sulle linee dei fronti rimangono le carcasse dei mezzi colpiti e le devastazioni nelle città e nei villaggi e rimangono anche molte armi abbandonate, non più utilizzabili. Un fucile d’assalto contorto o un carro annerito dal fuco non possono più nuocere, ma non è la stessa cosa per altre armi, inevidenti finché non deflagrano: le mine.
Le mine antiuomo e anticarro disseminate prima o durante le ostilità continuano ad uccidere e a mutilare, qualcuno le ha definite “armi di sterminio di massa al rallentatore”.
Si calcola oggi che nel mondo 110 milioni di questi ordigni siamo ancora sostanzialmente efficienti. La maggior parte di essi in una decina di Paesi teatro di conflitti negli ultimi 30 anni e uccidono ogni anno oltre 20 mila persone.
Le vittime sono distribuite in 49 Paesi, soprattutto in Afghanistan e in Siria. E sono civili la stragrande maggioranza di loro, rappresentando l’87% del totale di cui il 47% è costituito da bambini: nel 2017 secondo il rapporto sono stati 2.452 i bambini uccisi da mine o esplosivi vari.
Ma sono molti di più i feriti che, quasi sempre mutilati degli arti inferiori, si porteranno vita natural durante, le conseguenze di una guerra a cui nemmeno hanno partecipato e che, talvolta, è finita prima della loro nascita: una parte importante di loro infatti sono bambini e ragazzi.
Le mine antiuomo sono state messe al bando con La Convenzione di Ottawa nel 1997, più di vent’anni orsono e 160 Paesi vi hanno aderito (l’Italia nel 1999 lo ha ratificato) tra i non firmatari le maggiori potenze militari mondiali: USA, Cina, Russia, ma anche Israele, Arabia Saudita, Egitto, Marocco, EAU, Iran, Corea del Nord e Corea del Sud.
L’Italia ha promulgato la legge 374/97 che nei suoi primi tre articoli le vieta tassativamente a parte un quantitativo limitato destinato all’addestramento degli sminatori.
Ci vorrebbero però delle leggi nazionali e magari anche una risoluzione delle Nazioni Unite, un provvedimento che obblighi gli stati che le hanno usate e le industrie (tra cui alcune italiane) che hanno lucrato su questa produzione e commercio ad impegnare risorse finanziarie e tecnologiche per favorire le operazioni di sminamento.
Oggi infatti la tecnologia dei droni permette il rilevamento e la deflagrazione in tutta sicurezza delle mine senza rischiare la vita degli artificieri e senza un’ulteriore devastazione umana e materiale dei territori infetti.
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