C’è qualcosa di surreale nella direzione che ha preso il discorso pubblico sul drammatico fenomeno dei bambini dimenticati in auto: si parla di seggiolini speciali, delle loro sofisticate caratteristiche tecniche, e anche di costi e contributi, di incentivi e sanzioni, di decreti e modifiche. E quasi mai ci si interroga sulle radici di quella che di tutta evidenza è una patologia sociale.
Eppure, una serie di dati dovrebbe far riflettere. Il fenomeno emerge una ventina d’anni fa ed in Italia se ne parlò per la prima volta nel caso di un ingegnere di Catania, di 37 anni, nel luglio 1998. E’ un fenomeno che riguarda il ceto medio (insegnanti, impiegati, professionisti) ed è al contempo un fenomeno urbano che si snoda in una quotidianità fatta di asili-nido, supermercati, uffici, parcheggi. Rispetto ad esso il sentimento collettivo è dominato assai più dalla compassione che dalla riprovazione. Anche tra i coniugi vi è solidarietà e compassione tra l’autore della dimenticanza e l’altro. Perfino i giudici non se la sentono di infierire e concedono di norma tutte le attenuanti possibili quando non addirittura dichiarano il non luogo a procedere per amnesia dissociativa temporanea (il caso di Piacenza nel 2013).
Questi dati raccontano una società anomica (direbbe Durkheim) dove i bambini sono diventati una merce rara e preziosa. Se ne fanno pochi. Si fanno tardi. Se ne fa uno per famiglia. Il motivo è che si teme di non avere i soldi per mantenerli o perché si aspetta un contratto di lavoro permanente che non arriva, o perché si aspira all’autorealizzazione in una attività che goda di riconoscimento sociale. Poi arriva il prezioso bambino, il figlio unico al quale dedichiamo fin dalla nascita cure e controlli medici, e il meglio in fatto di cibo, vestiti, giochi. Per dargli tutto questo il papà e la mamma devono lavorare tutti e due, affidare il bimbo al nido, organizzare la propria giornata seguendo una disciplina ferrea. Così potranno dargli anche le vacanze e pagare il passeggino e l’auto e anche i seggiolini da auto, uno di quegli attrezzi che hanno seguito la diffusione dell’uso dell’auto, sempre più sofisticati, sempre più sicuri, sempre più costosi, obbligatori per legge. Ma come tutti gli attrezzi tecnici funzionano se non vi è una patologia nella società che li adotta. E così ecco l’impensabile: il seggiolino diventa una trappola mortale. Sistemato come obbligatorio sul sedile posteriore per motivi di sicurezza, il bimbo fissato in modo sicuro dalle cinture, possiamo concentrarci sulla guida, la strada, il lavoro che ci aspetta, la lista della spesa. Senza contare i pensieri molesti che si affacciano nostro malgrado: la rata del mutuo, il rinnovo del contratto, il collega rivale. E i nostri desideri diventano ormai indistinguibili dai nostri bisogni: un nuovo cellulare, una nuova auto e l’iscrizione in piscina del nostro bambino, quello che ormai, seduto sul sedile posteriore, ci siamo dimenticati.
Dovremmo aspettarci che si alzi un grido d’allarme per liberare i genitori dalla moderna schiavitù nella quale sono intrappolati al punto di non fare figli o di causarne involontariamente la morte proprio quando sono invece ossessionati dalla loro sicurezza e dal loro benessere. Qualche voce assai timida e isolata si è alzata, a dire il vero, per denunciare la scarsa attenzione di questa società per le famiglie e per i genitori. Quasi nessuna per denunciare la scarsissima attenzione per le madri e per il diritto delle donne ad avere figli. Ma comunque tali voci sono state soffocate dalla soluzione proposta come ovvia da tutti gli attori sociali, dai politici ai tecnici fino ai genitori stessi coinvolti in uno di quei drammi: una risposta tecnica. Rendiamo i seggiolini ancora più sicuri e sofisticati: dotiamoli di dispositivo “anti-abbandono”. Senza che nessuno sembri minimamente colpito dal paradosso raggelante di una società che ha bisogno di inventare dispositivi perché i genitori non dimentichino i figli – che essi amano – come pacchi in un’automobile.
A questo paradosso se ne aggiunge un altro. I casi di morti per dimenticanza in auto in Italia sono stati otto negli ultimi vent’anni. Sono molte di più le morti per incidenti d’auto in seguito a violazione di dispositivi già esistenti comprese le cinture di sicurezza ed i normali seggiolini. Come mai allora ci si ostina ad affidarsi speranzosi all’introduzione di una nuova tecnologia e di una nuova legge che la imponga? I cinici potrebbero dire: è business anche questo. Ma l’emozione sociale per quelle otto piccole vittime non ha nulla di cinico. E’ piuttosto il riflesso di una società incapace di interrogarsi su se stessa che si affida ciecamente alla tecnica pur sapendo da tempo che questa le si rivolgerà contro prima o poi.
Una volta installato il seggiolino, chi ci garantisce che non dimenticheremo di azionare il dispositivo? Se è permanente chi ci garantisce che non lo disattiveremo per qualunque motivo dimenticando poi di riattivarlo? Chiamatelo inconscio o chiamatelo amnesia da stress, quella manciata di bambini abbandonati ci parla di tutti i bambini abbandonati ogni giorno in una società detta del benessere da genitori che si credono liberi.
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