Si è conclusa con l’assoluzione il processo che opponeva l’amministrazione a guida leghista di Casalpusterlengo ai vertici della locale associazione islamica, nella persona del presidente, Abdellatif Ghenji.
La vicenda ha il suo inizio nel 2011, quando i musulmani della zona acquisiscono un locale che deve diventare la sede del loro sodalizio culturale e sociale e effetuano alcuni lavori di adeguamento igienico dei locali.
Il fabbricato, situato in via Crema venne riqualificato insieme ad un area che era in totale abbandono e con il sostegno di Qatar Charity che contribuì con una somma di 150 mila euro (su oltre 220 mila di spesa) fu inaugurata nel maggio 2016 con la partecipazione di molte autorità.
Purtroppo nella polemica islamofoba che agita una parte della politica italiana questo fatto pubblico scatenò la reazione dell’amministrazione comunale che presentò denuncia per “abuso edilizio”. In buona sostanza, sostenevano i legali del Comune, i lavori erano si stati autorizzati ma non il cambio di destinazione d’uso e quindi si sarebbe configurato quell’abuso che aveva anche conseguenze penali.
Inoltre, dal punto di vista amministrativo, s’ingiungeva all’associazione il ripristino della destinazione d’uso prevista nel locale PGT (Piano governo del territorio).
Fu investito il TAR della Lombardia che confermò la validità dell’atto amministrativo del Comune ma poi il Consiglio di Stato decise altrimenti e l’ordinanza fu annullata.
Il Consiglio di Stato, confermando altri simili pronunciamenti, sentenziò che l’attività culturale e sociale era legittima manon il culto regolare che quindi abbisognerebbe di una destinazione d’uso ad hoc.
Rimaneva sulla sfondo la questione penale che è stata dibattuta davanti al tribunale di Lodi.
Nei giorni scorsi la tesi sostenuta dall’avv. Luca Bauccio che non vi era alcuna prova che indicasse l’utilizzo esclusivo della struttura come luogo di culto o preghiera è stata accettata dalla corte che ha mandato assolto il presidente dell’associazione Abdellatif Ghenji.
“La struttura – ha sostenuto il legale- era destinata ad essere la sede di un’associazione legalmente riconosciuta dove svolgere diverse attività sociali e culturali, tra cui , ma non solo, la preghiera. «Un luogo di culto è caratterizzato dalla presenza di un altare o di un minareto – ha detto – e soprattutto dall’uso esclusivo. Negli atti del processo vedo una relazione della Digos che racconta come si siano radunate 500 persone il giorno della fine del Ramadan. Ma si erano radunate al centro tennis, e con l’autorizzazione del sindaco: forse che per questo il centro tennis è diventato anch’esso una moschea?».
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