Airbnb sta colonizzando gli appartamenti nei centri storici delle città italiane. Le proteste aumentano e il dibattito pubblico si alimenta sulla scia degli effetti visibili: la crescita dei prezzi delle case, il conseguente esodo dei residenti e lo snaturamento dell’atmosfera cittadina. Insomma pochi ricavano profitto mentre l’autenticità dei centri si impoverisce tanto da render difficile distinguere in alcuni casi tra centri commerciali e centri storici; i primi evocano l’architettura dei secondi per ricreare una condizione di intimità allo shopping, i secondi si impregnano di attività commerciali per assecondare i gusti del turismo di massa. Di sicuro entrambi restano il centro, schiacciato tra i due estremi economici della domanda e dell’offerta.
La parabola di airbnb riflette in pieno il percorso seguito dalle principali imprese nate nell’era del capitalismo digitale: la nascita sotto l’ombra di un’utopica democrazia digitale, di una facilitazione della comunicazione e degli scambi commerciali, con il privato che sfuma gradualmente in pubblico; il consolidamento da azienda matura con una solida posizione nel mercato economico e quotidiano, quando diventa parte integrante delle abitudini degli individui; l’ascesa, rispecchiata dalla trasformazione degli spazi sociali e urbani, in cui privato e pubblico fanno fatica a distinguersi e quindi riconoscersi. Quando si arriva a quest’ultima fase iniziano a nascere delle domande che alimentano il dibattito sociale. È quanto accaduto e sta accadendo con tutti i social network, da Facebook a Whatsapp e con grandi aziende come Amazon.
Airbnb è nata qualche anno fa come una piattaforma digitale in grado di consentire un diverso modo di viaggiare. Ha permesso infatti di evitare l’anonimato degli alberghi e di alloggiare in stanze e case più economiche, dove poter respirare anche un’atmosfera più calda tale da evitare il lato straniante del sentirsi all’estero. All’inizio molte persone, dagli studenti universitari a famiglie con scarso reddito e molta apertura, hanno messo a disposizione le proprie case, per ospitare turisti in cambio di un compenso inferiore ai prezzi del mercato.
Il viaggio stava allora assumendo anche un carattere di esplorazione familiare, grazie al quale poter visitare città o mete naturalistiche attraverso lo sguardo di chi ci risiede e le conosce. Insomma airbnb era diventato anche un luogo di incontro, grazie al quale sottrarsi ai movimenti d’acquario suggeriti da guide e tour turistici.
Passa qualche anno e con la velocità propria a tutti i figli del digitale, airbnb cresce e si espande, fino a diventare un gigante, che sfuma il suo carattere amatoriale per diventare una professione a tutti gli effetti. Da una originaria concezione dell’ospitare (segnalata dall’ormai superato termine “host”) si passa alla logica dell’affittare. Airbnb diventa infatti un canale nuovo su cui si innesta e prende vita una marea di piccole aziende, specializzate nella gestione degli appartamenti. L’aspetto positivo è sotto gli occhi di tutti: si assiste a un parziale risveglio del mercato immobiliare e alla creazione di nuovi posti di lavoro. Come spesso accade però l’essenza del capitalismo non resta legata alla sola dimensione economica, ma si propaga e si diffonde agli elementi materiali e immateriali su cui si abbatte.
Agli appartamenti si è gradualmente impresso un anonimato vicino a quello degli hotel. In alcuni casi le chiavi di casa vengono lasciate in cassette di sicurezza vicine alla porta dell’alloggio, cosicché l’ospitalità non passi più neanche attraverso il simbolico punto di contatto tra due mani. Gli alloggi si concentrano come ovvio nelle zone di maggior attrattiva, dove si è circondati sempre più da altri turisti e sempre meno da persone del luogo. Così si torna all’atmosfera del turismo di massa, questa volta raggiunta attraverso una scelta individuale. È forse il destino della presunta democrazia digitale? Pensare di scegliere, quando si è scelti da un meccanismo invisibile.
In alcuni momenti viene quasi da rimpiangere l’atmosfera di un albergo, dove persiste comunque un’interazione diretta, nello spazio, tra chi lo gestisce e chi ci alloggia. Col tempo forse gli appartamenti affittati su airbnb, finiranno col recare lo stesso odore di vuoto trattenuto nelle stanze degli alberghi, di un’igiene che goffa e chimica prova a nascondere il passaggio degli ospiti. In una casa abitata invece le orme non si cancellano, restano negli odori del cibo e dei corpi impregnati nelle pareti. I soldi lavano e cancellano i passi. È il principio capitalistico dell’igiene.
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