La Corte parte dal presupposto costituzionale secondo cui “la libertà religiosa garantita dall’art. 19 Cost. è un diritto inviolabile (sentenze n. 334 del 1996, n. 195 del 1993 e n. 203 del 1989), tutelato «al massimo grado» (sentenza n. 52 del 2016) dalla Costituzione.” Continua poi sottolineando la valenza di positiva della laicità e quindi non una indifferenza dello Stato nei confronti della religione ma come un sostegno della massima espressione della libertà religiosa di tutti.
La sentenza procede rilevando che il libero esercizio del culto “è un aspetto essenziale, che lo stesso art. 19 Cost. garantisce” e che in quest’ottica va tutelato “L’esercizio pubblico e comunitario del culto” e che va tutelato “ugualmente a tutte le confessioni religiose, a prescindere dall’avvenuta stipulazione o meno dell’intesa con lo Stato.”
La libertà di culto quindi secondo la Corte si traduce nel diritto di disporre di spazi e il ruolo delle autorità pubbliche competenti è duplice: in positivo, agire per prevedere e fornire spazi per il culto e in negativo, non frappore ostacoli ingiustificati all’estercizio del culto.
La legge della Regione Lombardia 9 maggio 1992, n. 20 , riservava alle attrezzature religiose il 25% della dotazione complessiva di attrezzature per interesse comune e prevedeva, che in ciascun comune almeno l’8% delle somme riscosse per oneri di urbanizzazione secondaria fosse destinato alla loro realizzazione e manutenzione e la Corte Costituzionale con una sua sentenza del 2002 ha stabilito che questi contributi spettano a tutte le confessioni con o senza intesa.
Un’altro punto fondamentale ribadito dalla Corte Costituzionale è che, come su questo giornale aveva spiegato la Prof. Chiara Sebastiani, le regioni possono trattare le questioni religiose sono nei loro aspetti prettamente urbanistici e “In ragione del peculiare rango costituzionale della libertà di culto” non devono travalicare questo limite rendendo difficile se non quando possibile la realizzazione dei luoghi di preghiera.
L’art. 72, comma 2, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, prevede che la realizzazione di un qualsiasi luogo di culto sia subordinato all’approvazione del PAR, il Piano per le Attrezzature Religiose di cui recentemente Milano si è dotata ,
PAR mancante che era stato tra le motivazioni addotte dalla giunta Sala per annulare il bando sui luoghi di culto che avrebbe permesso la costruzione di una moschea a Milano, per i giudici, questa norma fa si che ” anche attrezzature del tutto prive di rilevanza urbanistica, solo per il fatto di avere destinazione religiosa (si pensi a una piccola sala di preghiera privata di una comunità religiosa), devono essere preventivamente localizzate nel PAR” mentre qualsiasi altra attività associativa purchè non religiosa possa svolgersi ovunque senza vincoli. Pertanto questa norma entra in conflitto con le condizioni costituzionali che la Corte ha previamente elencato.
Oltre a ciò c’è un altro aspetto che la sentenza provvede a trattare e a censurare: il fatto che il PAR debba essere approvato contestualmente al PGT ( Piano di Governo del Territorio) che è lo strumento di pianificazione urbanistica dei comuni ma che non ha nessuna specifica cadenza temporale, quindi le amministrazioni godono di ampia discrezionalità in merito. Secondo la Consulta questo ostacola ulteriormente il diritto di culto.
Anche perchè per gli altri impianti di interesse pubblico la legge non richiede una variante generale al PGT e non richieda nemmeno sempre la procedura di variante parziale, lagge infatti afferma: “la realizzazione di attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale, diverse da quelle specificamente previste dal piano dei servizi, non comporta l’applicazione della procedura di variante al piano stesso ed e` autorizzata previa deliberazione motivata del consiglio comunale”. Pertanto secondo la sentenza della Consulta ci si trova di fronte ad una disparità di trattamento inammissibile comprensibile solo alla luce dell’intenzione di gravare l’esercizio del culto di condizioni ostacolanti.
L’avvocato Vincenzo Latorraca che rappresenta l’Associazione Assalam di Cantù ha espresso soddisfazione per l’esito del ricorso e ha dichiarato a La Luce: I passaggi della Corte sono chiari e assolutamente lineari: la legge regionale, in relazione ai luoghi di culto, come in relazione a tutte le attività umane, può prevedere che, sotto il profilo urbanistico, sia disciplinato lo sviluppo armonico del territorio, ma non può ostacolare l’esercizio del culto o prevedere la necessità del piano delle attrezzature religiose, solo in relazione all’esercizio del culto, senza alcuna distinzione tra attività svolta in forma privata o aperta al pubblico, o senza valutare l’incidenza del carico urbanistico, ostacola la libertà di religione. Inoltre prevedendo che il piano per le attrezzature religiose possa essere approvato solo con la revisione del P.G.T., la legge non consente di determinare un termine prevedibile entro cui le amministrazione individuano le aree per l’insediamento di edifici destinati al culto.”
Questa sentenza fa chiarezza su quali sono i limiti e le prerogative delle regioni in ambito di regolazione del diritto di culto, oggi prerogative molto ristrette e stabilisce che l’approvazione del PAR e la conseguente revisione del PGT non siano più una precondizione per la realizzazione di luoghi di culto in Lombardia affermano ciò che la Costituzione aveva sancito da sempre nell’Art.20 e cioè che: “Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.”
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