Uno dei motivi congiunturali dell’inizio delle proteste arabe in Tunisia nel 2011 contro il regime di Ben Ali fu l’aumento dei prezzi dei beni alimentari. Oggi, dopo 8 anni dalle proteste, i tunisini hanno di nuovo fame. I prezzi dei beni alimentari hanno già da tempo raggiunto livelli insostenibili e il governo incaricato dal nuovo presidente Kais Saied dovrà affrontare questa problematica.
La fame storicamente è sempre stata la causa scatenante di rivolte e proteste cittadine contro i governanti e lo status quo.
Nel caso della Tunisia queste proteste, amplificate dai social media, hanno avuto un impatto continentale influenzando molti paesi del Medio Oriente e Nord Africa.
Fra le “soluzioni” tentate dal governo tunisino quella che forse merita ulteriori analisi è il prestito di 2.8 miliardi di dollari dal FMI nel 2016. L’enorme somma equivale al 6.9% del PIL tunisino del 2017. Il celebre Chief Economist John Perkins sottolineò in passato come questi debiti da parte di organizzazioni quali il FMI e la banca mondiale mirino ad incatenare i paesi in via di sviluppo in un giogo imperiale post-coloniale per cui l’etica e l’utilizzo delle risorse di uno Stato sovrano a beneficio della popolazione non è un’opzione. Presidenti come Omar Torrijos e Roldos Aguilera pagarono cara la loro resistenza a tale imperialismo, di cui la Tunisia oggi sembra tutti gli effetti un’altra vittima.
Certo parte della colpa è interna. Al 2010 la somma stimata degli stipendi dei dipendenti pubblici si aggirava intorno a 7.6 miliardi di dinari. Nel 2018 la somma è raddoppiata arrivando a 16 miliardi. L’aumento del prezzo del carburante, un aumento repentino delle assunzioni da parte delle aziende statali seguite da una perdita di guadagni, e la corruzione che i sindacati e il nuovo presidente Saied vedono come una delle cause principali della fame dei tunisini sono alcuni dei motivi principali dietro la crisi tunisina.
Girando per le strade di Tunisi non è raro sentire chi per disperazione e per fame afferma che la situazione (economica) era migliore ai tempi di Ben Ali. I Tunisini, che sono stati i primi a ribellarsi alla dittatura, stanno pagando caro il prezzo del cambiamento.
Un prezzo con cui tutti i paesi della regione si stanno confrontando fra cattive gestioni governative interne e interessi esteri che mirano a trarre profitto dalla situazione a scapito dei cittadini.
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