Anche quest’anno si è tenuta a Sydney, Australia, tra il 5 e il 7 Dicembre la quarta edizione della conferenza internazionale organizzata dal gruppo International Preventing Overdiagnosis. Tra i diversi componenti del comitato organizzatore ci sono il British Medical Journal, l’organizzazione Wiser Healthcare, il centro dell’Università di Oxford per la Medicina Basata sull’Evidenza. Lo scopo dichiarato dell’organizzazione, che fa di tutto per essere indipendente dalle aziende farmaceutiche, è quello di prevenire il fenomeno dell’eccessiva diagnosi con tutto ciò che ne consegue in termini di danno per la popolazione. L’incontro di quest’anno sembra particolarmente incentrato a sottolineare l’importanza dell’indipendenza economica della medicina dall’industria: “Preventing Overdiagnosis: winding back the harms of too much medicine”.(Prevenire l’eccesso di diagnosi: respingere i danni di troppa medicina).
Sempre questo mese sulle colonne del BMJ è comparso una sorta di manifesto, a firma di un gruppo internazionale di importanti scienziati e non solo, per un sistema sanitario libero da influenze commerciali. Dal testo: “La vasta influenza dell’industria può disturbare l’integrità della ricercar scientifica, l’obiettività della formazione medica, la qualità nella cura dei pazienti, e la fiducia della popolazione nella medicina. Allo stesso tempo c’è sempre più un la percezione internazionale all’interno della comunità scientifica del problema della ipermedicalizzazione: troppe indagini, eccesso di diagnosi, eccesso di trattamenti, con contemporanea distrazione delle risorse da bisogni più urgenti, la qual cosa è foriera di problemi sanitari e minaccia la sostenibilità del sistema sanitario. Test necessari, terapie e diagnosi sono vitali e i produttori di tali servizi hanno il diritto di guadagnarvi. Ma è arrivato il momento di garantire la validità scientifica di test e trattamenti e la diffusione della loro fondatezza, per far ciò è necessario che le verifiche siano condotte nel modo più indipendente possibile rispetto all’industria che trae profitti da essi”.
Insomma è oramai evidente a tutti che c’è troppa medicina in giro, come è evidente che questo stato di cose i verifica perché essa rappresenta un business. Altrettanto evidente è che il contenimento della spesa del sistema sanitario può essere raggiunto non solamente attraverso la sua razionalizzazione ma anche tramite l’allentamento della relazione tra sanità e profitto.
A leggere tra le righe delle sempre più stringenti regole sui conflitti di interesse nelle pubblicazioni dei giornali scientifici, risulta evidente che la credibilità delle informazioni mediche è fortemente messa in discussione proprio all’interno del proprio ambito. La Cochrane Library, la principale risorsa di revisioni sistematiche in campo sanitario, molto utile e consultata al fine di orientare le strategie sanitarie, considera validi e quindi ingloba nelle proprie metanalisi solo gli articoli con attendibili dichiarazione di non conflitti di interessi da parte degli autori.
La maggior parte della ricerca scientifica è in mano all’industria farmaceutica che come è naturale tende a promuovere i propri prodotti, lo stesso dicasi anche per tutti quei presidi oramai numerosissimi in chirurgia e non solo. La cronaca spesso ci segnala qualche nuovo “scandalo protesi”, siano esse cardiache, ortopediche, vaginali, la sostanza non cambia.
La questione è ancora più complicata dal fatto che anche la formazione dei medici spesso tende ad essere sponsorizzata dalle stesse case farmaceutiche, ad esempio non sono rari gli eventi promossi dalle stesse per “informare” i medici anche all’interno degli ospedali.
Detto questo però, sembra che un po’ tutti si stiano dimenticando l’altra faccia della medaglia, cioè l’altro protagonista della storia: la gente. Svincolare la medicina dall’economia è cosa impossibile in una società che assimila l’immagine della scienza con quella della tecnologia e dove si ritiene più scientifico tutto quello che è tecnologico. Innovazione è divenuta sinonimo di panacea che è sempre dietro l’angolo, tale aspettativa ha fatto abbandonare quel minimo di diffidenza sempre utile per ciò che è nuovo, investendo la novità di ogni incondizionata fiducia. Come se non bastasse si associa la sicurezza con il numero dei controlli effettuati. In un simile contesto l’economia ha gioco facile.
La soluzione non si troverà in un diverso sistema sanitario, quello statunitense e quello italiano cosi diversi sembrano vivere gli stessi problemi. Per assurdo negli States, le assicurazioni sanitarie sono le uniche che stanno introducendo un po’ di buon senso nel sistema. Ad esempio, non vengono rimborsati gli interventi chirurgici per curare l’obesità, se almeno prima non si è tentato con la dieta e con lo psicologo. In Italia questo non sempre avviene.
La società chiede sempre più la medicalizzazione della propria vita, si medicalizza la gravidanza ed il parto, la crescita dei fanciulli e il normale declino della vita. Il sistema medico semplicemente segue la legge economica della domanda e dell’offerta, la società vuole tanta medicina, essa rivolge alla medicina i propri problemi a tutti i livelli, anche se la risposta è sempre solo materiale, riduttiva, meccanica. Tutti i problemi dell’uomo vengono derubricati a problemi fisici, come se una questura chiudesse tutte le indagini per furto come smarrimenti. Cosi invece di cambiare vita o andare dallo psicologo compriamo pasticche di tutti i colori oppure andiamo dal chirurgo plastico. La società è complice della cattiva medicina.
Esiste di base un problema culturale che investe tutti, sia medici che pazienti, il quale porta la medicina ad essere trattata come fosse una merce di scambio e quindi ad avvilirne l’arte. Tutto ciò assomiglia sempre più ad un caotico mercato della salute dove, come in tutti i mercati, qualcuno fa affari e qualcuno prende delle fregature.
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