Il problema della malnutrizione non riguarda ormai solo la scarsità di cibo, ma ha a che fare con il consumo di cibi malsani, bibite zuccherate e gassate e fast food prodotti in buona misura da grandi multinazionali per i mercati dei paesi più poveri.
Se vi dovesse capitare di passate per il Guatemala e voleste comperare una bottiglia d’acqua, vi consiglio di non perdere tempo a cercare tra gli strapieni e immancabili scaffali delle bibite gassate. Dovrete invece chiedere “agua pura”, perché solo “agua” non sarà sufficiente a spiegare la vostra, agli occhi dei guatemaltechi insolita, richiesta.
Per “agua” infatti, a quelle latitudini, si intende una qualsiasi bibita colorata e verosimilmente gassata. Questa piccola particolarità linguistica mi aprì alla comprensione di quella realtà. Da simile premessa fu facile capire il perché nel Centro America il diabete sia praticamente una malattia endemica, e anche notare come ogni madre non manchi di sedere sul di dietro del motorino di famiglia con in braccio una bottiglia di “agua” appunto. L’insulina in Centro America scorre a fiumi, e l’esercito degli amputati e dei non vedenti, per le conseguenze del diabete, ingrossa continuamente le proprie fila.
Il cibo spazzatura è la merce più a buon mercato degli innumerevoli spacci a gestione familiare che costellano ogni angolo delle cosi dette “Low-income and Middle-Income countries” (LMICs), nelle città più grandi non mancano, ma molto più numerosi che dalle nostre parti, gli abbeveraggi delle più note catene di fast food.
Quando sentiamo parlare di malnutrizione, la nostra mente immancabilmente corre alle tristi immagini, più spesso africane, di carestie e persone denutrite, ma a quanto pare le cose non stanno più esattamente solo cosi. Finalmente una serie di pubblicazioni promosse dalla prestigiosa rivista internazionale The Lancet, indirizza il problema in modo ampio, chiarendo come per malnutrizione non si intenda più solamente la carenza di cibo in generale, ma anche tutte quelle condizioni dove il cibo c’è ma più spesso è di scarsa qualità. In effetti sembra che la problematica della malnutrizione si stia muovendo dalla denutrizione propriamente detta verso la malnutrizione nel senso di cattiva nutrizione, quest’ultima spesso associata all’obesità.
Le cause spicce di questo cambiamento globale del problema della malnutrizione sono da imputarsi alla grande quantità di cibo di scarsa qualità prodotto, pubblicizzato e distribuito a prezzi apparentemente bassi, ma anche altre condizioni sociali promuovono questo stato di cose tra cui la diminuzione dell’attività fisica generale.
La malnutrizione risulta strettamente correlata al numero di donne che lavorano fuori casa. Come facile prevedere, ove è minore la presenza della donna in casa, maggiore sarà la richiesta di cibo processato, pronto da mangiare o semplicemente da scaldare. Il valore del lavoro della donna in casa non sarà mai troppo enfatizzato.
Tra le numerose osservazioni epidemiologiche fatte dagli autori di questi lavori ce n’è una che vorrei sottolineare. L’obesità sta aumentando in maggior misura proprio nei paesi più poveri e in particolare in quelli che mai sono riusciti a portare la denutrizione sopra i livelli che ci si era riproposti di superare tramite gli immancabili e spesso fallimentari progetti dell’UNICEF/WHO. Questa osservazione la dice lunga su come il problema alimentare abbia solo cambiato aspetto senza mai risolversi, in ogni modo esso è sempre a carico dei più poveri, i quali sono passati dalla denutrizione all’obesità, senza passare per una fase intermedia, a riprova del fatto che ancora di malnutrizione si tratta.
Le ricadute in termini economici su un popolo malnutrito sono incalcolabili ma evidenti. Per inciso sta emergendo con forza come il consumo di cibo spazzatura durante i primi 1000 giorni di vita, partendo quindi dalla mamma che ne mangia quando ancora gravida, sembra essere un fattore predittivo importantissimo di problemi nutritivi del bambino durante la sua vita successiva.
Le cause un po’ più profonde di un simile stato di cose sono presto dette. Una quantità di cibo ipercalorico, trasformato, pronto all’uso, aberrante dal punto di vista nutrizionale, che per di più iperstimola e quindi diseduca con i suoi eccessi di sali e zuccheri le papille gustative, specie e non solo dei più giovani, è una vera e propria arma di distruzione di massa. Come al solito ad essere sottoposti più pesantemente a tale ennesimo gioco sono i più poveri. Si potrebbero avere dei guadagni enormi in termini di salute pubblica e quindi anche economicamente, semplicemente mettendo argine all’acceso al cibo evidentemente insalubre e nocivo. Il coraggio e la lungimiranza di una tale politica porterebbe vantaggi enormi a costo zero, specie se messi a confronto con le dispendiosissime campagne vaccinali dell’OMS e a quelle altrettanto disastrose e onerose promosse dall’Unicef.
La popolazione dei paesi industrializzati non è certo immune al problema, e passare tra gli scaffali stracolmi di cibo spazzatura dei supermercati italiani o vedere le file domenicali fuori dai fast food di Roma, mi fa pensare che sia velleitario affrontare il problema dal punto di vista culturale. Chissà forse la tassa sulle merendine non era proprio una brutta idea.
Nessun commento