La Memoria e la Storia
Tra le cose che si ricorderanno del 2019 sicuramente ci sarà l’autunno caldo dell’odio che ha avuto alcuni momenti apicali: la nascita della commissione parlamentare contro l’odio proposta dalla senatrice a vita Liliana Segre; l’assegnazione della scorta alla senatrice Segre; il quotidiano Repubblica che ha pubblicato una fake news sul numero di messaggi d’odio indirizzati alla Segre; la marcia dei sindaci contro l’odio tenutasi a Milano in solidarietà di Liliana Segre; il settimanale L’Espresso che ha nominato la senatrice Segre persona dell’anno, ed infine in vista del Natale un murales celebrativo con Liliana Segre nelle vesti di Superman.
Il 2019 era comunque iniziato con la senatrice a vita Liliana Segre schierata in una contrapposizione locale a Milano in merito alla vicenda del “Nuovo Giardino dei Giusti” sul Monte Stella. Ad opporsi a questo progetto nato in seno alla comunità ebraica milanese (che alla fine ha avuto la meglio ed è stata Liliana Segre ad inaugurare il nuovo giardino) non era però qualche militante di estrema destra in cerca di visibilità bensì urbanisti, intellettuali ed accademici di tutto rispetto. Ma di questa dinamica conflittuale i media nazionali non ci hanno riempito le giornate.
Graziella Tonon a tal proposito aveva affermato che “il giardino dei giusti non può essere ingiusto” ed aveva sostenuto che con quel progetto “quella parte del Monte non appartiene più al Memoriale della Milano martoriata dalla guerra, ma a un altro Memoriale: il Memoriale dedicato ai Giusti di tutto il mondo. Un memoriale nobilissimo per le sue finalità, ma bruttissimo e fuori contesto sul Monte Stella di cui non può essere stravolto e neppure ridimensionato il significato” anche perché “nella ricerca del bene la giustizia non è separabile dalla bellezza”.
Apriti cielo, si era permessa di criticare un progetto sulla memoria come fuori contesto ed anche per questo brutto ed ingiusto. La Tanon dovette smarcarsi dall’ombra dell’antisemitismo ed il 16 febbraio sulle pagine del Corriere della Sera, insieme a Giancarlo Consonni, scrisse: “Gentilissima Senatrice Liliana Segre… non è pratica saggia insinuare che essere contrari ad un’opera insulsa e devastante significa essere contrari a ciò che con quell’opera si intende celebrare”. Pochi giorni dopo Luca Beltrami Gondola centrò forse il problema: “Se tra la comunità ebraica milanese e la città si apre qualche problema – quello del Giardino dei Giusti a Monte Stella è forse il più grave – ecco che si forma un grumo di sentimenti difficile a sciogliersi… Il caso della minoranza ebraica è però particolare perché essa si è assunta il ruolo di portatrice privilegiata di una “memoria” collettiva”.
Se alla fine sul Monte Stella la comunità ebraica l’ha spuntata forse è anche perché in Italia per quanto riguarda la tematica dell’Olocausto non abbiamo collettivamente elaborato la nostra Storia, le nostre colpe, i nostri errori, i nostri orrori e, quando non ignoriamo la scottante verità di questo specifico e sproporzionato orrore, deleghiamo la narrazione dell’olocausto alla memoria di chi è miracolosamente sopravvissuto, o ai parenti delle vittime.
Ma Storia e memoria sono due cose diverse ed il loro rapporto è come quello che c’è tra la comprensione (la Storia) ed il ricordo (la memoria), tra l’oggettivo (in teoria la Storia) ed il soggettivo (tendenzialmente la memoria). Altrimenti sarebbe come riconoscere honoris causa la specializzazione in cardiochirurgia a chiunque abbia avuto un infarto. Lo storico Alessandro Barbero afferma che “la memoria è soggettiva… non è mai condivisa… è uno slogan che la nostra politica ripete da tempo ma lo slogan della memoria condivisa è uno slogan completamente idiota”. E serve, aggiungiamo, anche a coprire l’assenza di elaborazione collettiva su accadimenti come l’olocausto.
Gli alberi come atti di memoria
Secondo lo scrittore e diplomatico italo-israeliano Vittorio Dan Segre il popolo ebraico sarebbe storicamente caratterizzato “dall’eccesso di Storia e dal difetto di geografia” (Israele: una società in evoluzione, 1973). Potremmo quindi arrivare ad immaginare un surplus di memoria, derivante da un esercizio estensivo della stessa, che si configurerebbe come ingrediente dell’eccesso di Storia con cui la nascita dello stato di Israele ha colmato il difetto di geografia della millenaria diaspora ebraica. Passando dal Monte Stella di Milano alla Terra Santa intorno a Gerusalemme ritroviamo gli alberi come protagonisti di “atti di memoria”. Carol Bardenstein nel suo saggio “Gli alberi, le foreste, e la modellazione della memoria collettiva dei palestinesi e degli israeliani” (1999) analizza il ruolo degli alberi nell’immaginario della resistenza culturale palestinese ed in quello della narrazione sorta intorno alle operazioni israeliane di rimboschimento e forestazione. Gli ulivi costituiscono per i palestinesi il simbolo della resistenza: c’erano prima della nascita di Israele e (quelli non opportunamente abbattuti dall’esercito israeliano) sarebbero lì ad aspettare il rientro delle famiglie palestinesi che hanno dovuto lasciare la propria terra a partire dal 1948. Sul versante opposto le operazioni di forestazione contribuiscono alla narrazione secondo la quale, prima del “ritorno” in massa degli ebrei, la Palestina era stata abbandonata alla desertificazione ed aspettava questo rientro per rifiorire.
Tre le opere letterarie citate dalla Bardenstein c’è il romanzo breve Dinanzi alle Foreste (1968) dello scrittore israeliano A.B. Yehoshua nel quale “la guardia di una foresta del Fondo Nazionale Ebraico, dopo essersi reso conto che la foresta era stata piantata su un villaggio palestinese distrutto, lascia che un palestinese che vi abitava la bruci. Questo equivale all’ammissione di una colpa collettiva”.
La Cabala e la Storia
Per provare a fare un passo avanti sulle tematiche in esame, “alberi” compresi, facciamo un salto indietro nel tempo fino al medioevo e ci spostiamo verso ovest. Arriviamo così alla letteratura cabalistica, l’habitat dell’Albero della Vita (una rappresentazione cosmogonica), dove si faceva spesso uso della finzione, dell’anacronismo e di scelte linguistiche arcaicizzanti con “chiare intenzioni metastoriche” (Giulio Busi, vedi dopo). La Cabala (qabbalah) è la mistica ebraica così come formalizzatasi a partire dal basso medioevo (dal XII secolo) in Provenza e nella Spagna che allora era in parte ancora sotto il dominio islamico. Nei secoli precedenti a tale periodo le attestazioni (scritte) della mistica ebraica sono frammentarie ma secondo i mistici dell’ebraismo vi è sempre stata continuità. Anche per dare corpo a questa persistenza non pochi testi mistici fanno uso dell’espediente pseudoepigrafico e l’esempio più significativo è costituito dal Libro dello Splendore (Sefer ha Zohar), di capitale importanza per lo sviluppo della Cabala fino ai giorni nostri. Redatto verosimilmente nel XIII secolo (la sua prima edizione a stampa è stata realizzata a Mantova nel 1558) fu scritto per “sembrare” come risalente almeno al II° secolo, cioè in epoca pre-talmudica.
Il suo salto all’indietro di oltre mille anni però in qualche modo comprime i passaggi evolutivi del pensiero mistico ebraico attraverso i secoli, soprattutto quelli che si sono avuti a partire dall’avvento dell’Islam. Per Gabriele Mandel “le teorie mistiche ebraiche, elaborate tra il VI ed il IX secolo, non sono disgiunte dalla mistica dei grandi maestri sufi ed a volte vi hanno attinto. Sono infatti connesse al sistema abjad, sistema islamico di traslitterazione emblematica lettera-numero-lettera”.
Dopo il Libro della formazione (Sefer Yesirah, VI-VII secolo) che funge da “cardine tra esoterismo mesopotamico ed esoterismo ebraico-musulmano” vi è stato “un continuo interscambio che trae origine dal sistema abjad dei maestri sufi e contemporaneamente gli serve da rinforzo” (L’Alfabeto Ebraico, 2000). Mandel ci informa che “alla voce Cabala, scritta da G. Shalom, nell’Enciclopedia Giudaica dello Stato di Israele si legge che: i maestri della cabala… attinsero ampiamente nella letteratura dei sufi, i mistici dell’Islam, così come nella devota tradizione ascetica cristiana”.
E’ importante ricordare che l’ebraico e l’arabo sono due lingue semitiche con elementi “in comune”. Maimonide (XII sec.), uno dei più influenti pensatori ebrei del medioevo, visse tra la Spagna musulmana e il Marocco e scrisse in arabo la sua opera dal titolo Guida per i perplessi. Ma va sottolineata anche l’influenza che le speculazioni cabalistiche ebbero a loro volta sui pensatori cristiani, come nel caso emblematico di Giovanni Pico della Mirandola (XV sec.).
Nel suo voler sembrare come antecedente all’epoca talmudica lo Zohar finisce per celare l’osmosi con le atre culture religiose di cui i suoi insegnamenti sono stati partecipi. Giulio Busi non è tra quelli che credono “per religione” all’età che lo Zohar “vorrebbe” avere (dopo il lavoro di catalogazione di Sholem non ci dovrebbe essere più nessuno a crederci, anche se c’è ancora chi attribuisce il Sefer Yesirah ad Abramo), e su questo aspetto dice che “la pseudoepigrafia trascende qui il limite dell’artifizio letterario per proiettarsi all’indietro e agire sui suoi stessi presupposti storici… il metodo pseudoepigrafico è una forma di attualizzazione che non cessa di riplasmare il passato” (Mistica ebraica: testi della tradizione segreta del giudaismo dal II al XVIII secolo, 1995).
Nel parlare delle analogie cabalistiche tra questo mondo e le sfere celesti Busi cita un midras (genere di letteratura rabbinica) in cui Dio “creò il tempio quaggiù e in corrispondenza di esso il tempio celeste” e spiega la cosa nel seguente modo: “La relazione che viene sancita tra i due santuari ha una conseguenza importantissima per il rito religioso, poiché segnala chiaramente come la liturgia officiata nel Tempio di Gerusalemme alluda al culto che gli angeli rendono a Dio nei cieli”.
Ma a Gerusalemme quel tempio non c’è più, da duemila anni, ora li c’è la Moschea sulla Roccia, quella con la Cupola d’oro, e non sono stati i musulmani ad aver distrutto il secondo tempio ebraico di Gerusalemme (il primo fu distrutto dai babilonesi), bensì i Romani al tempo di Tito (70 d.c.). Il Profeta Muhammad (italianizzato come Maometto) nacque esattamente 5 secoli dopo la distruzione ad opera dei Romani. Ma come si fa ora che qualcuno sogna di costruire proprio lì il terzo tempio ebraico?
Sionismo e Noachismo
Non si può certo dire che la mistica ebraica avesse mire politico-territoriali (almeno non prima del XIX secolo), né che avesse bisogno di dimostrare la primogenitura dei suoi contenuti. E nemmeno si può pretendere che un’antologia come quella da cui le precedenti citazioni di Giulio Busi faccia riferimento alla contingenza geopolitica contemporanea, anche perché tratta contenuti che sono meno divulgabili di quelli filosofici. Ma non siamo più in un’epoca in cui l’accesso a certi scritti era riservato a chi se ne dimostrava degno (di norma non prima di aver superato una certa età), e la sfera religiosa oggi è teatro di isterie più di quanto non lo fosse in passato.
Quando nel 2017 l’UNESCO (col voto contrario dell’Italia) ha approvato una risoluzione in cui sottolineava l’importanza di Gerusalemme per le tre religioni monoteiste c’è stato chi come l’italo-israeliana Fiamma Nirenstein, già parlamentare italiana e poi designata da Netanyahu come ambasciatrice di Israele in Italia, ha espresso la sua indignazione a riguardo ed ha ribadito il diritto di prelazione degli ebrei su Gerusalemme perché questa “è citata nella Bibbia più di 100 volte” (Le Reti dei nuovi antisemiti: dai grillini all’Islam politico, 2017).
Si tratta di una soggettività religiosa del tutto legittima, ma proviamo ad immaginare un musulmano, anche senza ruoli istituzionali o diplomatici, che su una questione di interesse mondiale sostenesse pubblicamente la sua idea e lo facesse con vigore perché questa “è scritta nel Corano”. La cosa “divertente” è che Gerusalemme, in arabo alQuds (la Santa), è davvero importante anche per i musulmani (per il miliardo e mezzo di musulmani nel mondo, non solo per i palestinesi musulmani) ed è più volte citata anche nel Corano.
Laddove si vorrebbe il terzo tempio ebraico di Gerusalemme, ironia della sorte, c’è la roccia da dove per i musulmani ha avuto inizio l’ascensione al cielo (al-Mi’raj) del Profeta Muhammad.
Sul conflitto israelo-palestinese però vige una sorta di doppio standard in materia di religione e di utilizzo della violenza: una delle due parti è sostanzialmente libera di manifestare il proprio fervore religioso e si è ormai propensi a giustificare il suo ricorso alla violenza, l’altra parte invece viene vista come confinata tra il fanatismo religioso ed il terrorismo.
La questione della ricostruzione del tempio ebraico di Gerusalemme, laddove ora c’è una moschea importantissima per i musulmani, ci offre lo spunto per parlare di una concezione escatologica formalizzatasi nel XIX secolo, proprio in Italia, ad opera del rabbino e cabalista Elia Benamozegh, autore tra l’altro del libro Origine dei dogmi cristiani. Qualcosa di questa escatologia si trova già in Maimonide ma non nella forma compiuta esposta da Benamozegh che è quindi coetanea del sionismo.
Parallelamente all’ebraismo come “religione nazionale” per gli ebrei ci sarebbe il noachismo come “religione universale” per il resto degli esseri umani. I precetti religiosi per gli ebrei sono 613 mentre per tutti gli altri ci sarebbero solo 7 precetti/comandamenti, che condurrebbero comunque alla salvezza. Si tratta di precetti civici più che condivisibili e già largamente accettati e praticati nel mondo, ma è interessante conoscere il rapporto “gerarchico” tra ebrei e noachidi secondo questa concezione.
Per Elio Toaff, forse il più importante rabbino italiano del XX secolo, “Israele è il primogenito e come il primogenito era nella famiglia il vicario paterno, il sacerdote, l’insegnante, il conservatore del culto di Dio, così è non altrimenti Israele nell’Umanità…”
L’organizzazione definitiva dell’umanità sarà perfetta solo quando accetterà dalle mani dell’antico Israele la religione noachide, di cui l’ebraismo è custode, e quando Israele sarà riconosciuto sacerdote del genere umano” (Le sette leggi di Noè, 1984).Rabbino Elio Toaff
Particolarità di quest’epoca in cui gli ebrei saranno i sacerdoti del mondo è che sarà stato ricostruito il tempio di Gerusalemme. Un gentile, cioè un non ebreo, se noachide è un gentile giusto (ger toshav).
La onlus Gariwo – la foresta dei giusti con sede a Milano ha esteso l’idea del Giardino dei Giusti di Gerusalemme, dedicato a chi ha salvato ebrei dall’olocausto, ai giusti che si sono opposti anche ad altri genocidi e crimini contro l’umanità, ed ha realizzato giardini in giro per il mondo compreso quello sul Monte Stella a Milano. Sempre Gariwo ha formulato la proposta di una Giornata dei Giusti (il 6 marzo) approvata dal Parlamento europeo nel 2012 e dal Parlamento italiano nel 2017. Da un ruolo privilegiato sulla memoria dell’olocausto, che si sostituisce ad un’elaborazione storica collettiva dello stesso, siamo arrivati ad un ruolo “guida” nella scelta dei giusti da commemorare in spazi pubblici, e all’infartuato di cui sopra viene riconosciuta honoris causa anche la specializzazione in oncologia, dopo quella in cardiochirurgia.
Siccome questo ruolo guida “fa capo” alle comunità ebraiche (metaforicamente quindi una comunità di giudici mondiali oltre che di sacerdoti universali) ogni considerazione non concorde, sia essa urbanistica, storica, filologica, ma anche politica (la scelta dei crimini di cui ricordare gli oppositori ha valenze politiche), può trasformarsi in una buccia di banana che ti fa scivolare verso le accuse di antisemitismo e di negazionismo, o come minimo di simpatia per le dittature.
Il nostro continuo scappare dalle responsabilità storiche dell’olocausto, come se questo fosse stato opera di “altri” (la “civiltà” dell’olocausto siamo noi!), fa sì che una parte di noi, quella che ha pagato il conto per tutti, si sobbarchi anche l’onere della memoria. Questo ci condanna ad un senso di colpa perenne che è anche alla base della ormai consolidata propensione a riconoscere, nel conflitto israelo-palestinese, sostanzialmente solo le ragioni di Israele. Ma due errori non fanno una cosa giusta.
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