La sera del 4 gennaio del 2015 Pino Daniele, già affetto da problemi cardiaci, ebbe un infarto che gli costò la vita. Il primo a darne notizia la mattina seguente fu Eros Ramazzotti, amico di vecchia data del musicista napoletano.
Quando appresi la notizia seppi che la sua salma era all’ospedale Sant’Eugenio di Roma e non potetti fare a meno di andarci. C’era poca gente, alla spicciolata arrivavano familiari e conoscenti e solo a loro era concesso di entrare. Riuscii ad imbucarmi con un’infornata di amici e parenti ma all’accesso della sala mortuaria non me la sentii di provare a fare il “furbo” e restai seduto lì vicino. Poco dopo uno dei suoi fratelli, con estrema gentilezza, mi chiese di tornare all’esterno dell’edificio.
Il funerale invece, al Santuario del Divino Amore a Roma, fu un evento molto partecipato e ad officiarlo fu Padre Renzo Campetella, già confessore di Pino Daniele. Poi ci fu anche un secondo inevitabile funerale a Napoli e fu celebrato dal Cardinale Crescenzio Sepe. Per la troppa affluenza il funerale a Roma iniziò prima del previsto, io arrivai in moto e mi misi ad ascoltare da fuori la messa che era appena iniziata. Da buon francescano, Padre Campetella seppe tenere alta l’attenzione di un vasto e variegato pubblico trovando uno spunto emotivo diffuso tra i presenti per fare la predica a tutti. Successivamente riconobbi la sua voce e quel modo di fare la predica dall’esterno di un altro funerale.
So di dire una banalità ma per me Pino Daniele era come un fratello maggiore, o uno zio giovanile, e per molti come me era semplicemente Pino, Pinuccio, o zio Pino, e sapere che non c’era più mi dispiacque non poco. Il mio ascolto con trasporto della sua musica iniziò con la canzone Quando che lui scrisse per il film Pensavo fosse amore… (1991) di Massimo Troisi. Era il periodo di Natale del 1991, avevo quasi 17 anni e come tutta la mia generazione vesuviana ero appena diventato orfano di Maradona. Diego fu squalificato perché positivo alla cocaina e per anni abbiamo sperato invano che tornasse.
Dopo Maradona anche Pino Daniele perse interesse per il calcio. Di lì a poco sarei diventato orfano anche di Vasco Rossi, ma solo per poco tempo. All’apice del suo successo dopo la pubblicazione di Fronte del Palco (’90), iniziò a circolare una presunta dichiarazione dispregiativa di Vasco nei confronti del meridione. Dopo alcuni roghi delle sue cassette (a cui non partecipai perché volevo bene a Vasco e non credevo molto a quella storia) per me la parola fine la mise Pino Daniele che partecipò al suo disco Gli spari sopra (’93) suonando nella seconda parte della canzone Hai ragione tu.
Se Vasco avesse veramente detto cose offensive sui meridionali Pino Daniele non avrebbe mai suonato con lui. Nello stesso anno Pino pubblicò Che Dio ti benedica, uno dei suoi ultimi lavori di un certo livello. L’anno precedente Gianni Minà aveva dedicato a Pino Daniele una puntata della trasmissione Alta Classe e in quell’occasione Eros Ramazzotti duettò con lui palesandosi anche un buon chitarrista rock-blues. Sempre nel 1993 Pino Daniele tenne due concerti a Cava de’ Tirreni (in provincia di Salerno) dove non riuscii ad andare e da cui fu pubblicato l’album E sona mo’, un disco intimistico anche se registrato in uno stadio e dove Pino suona quasi da solo, accompagnato da una percussionista e da pochi suoni elettronici.
Di tutt’altro tenore invece il precedente disco dal vivo Sciò Live (’84) che cattura alcune esibizioni ’82-’84 di un Pino Daniele la cui fama aveva già valicato i confini nazionali. Tra i concerti utilizzati per questo disco c’è anche quello a San Siro del 24 giugno del 1984 quando Pino Daniele aprì la serata in cui a Milano suonarono Santana e Bob Dylan, e sempre a San Siro quattro anni prima aveva aperto il concerto di Bob Marley. Negli anni ’80 Pino Daniele era l’unico rappresentate italiano nella produzione musicale internazionale di qualità, e con lui si è ebbe l’apice musicale del cosiddetto Neapolitan Power, un momento magico made in Naples musicalmente caratterizzato da un sound moderno di respiro internazionale. In quegli anni anche Andy Warhol si legò alla città e proprio in questi giorni Warhol è esposto a Napoli.
Quando a metà degli anni ’90 Pino Daniele intraprese un percorso sostanzialmente pop, nonostante il tour con Pat Metheny del ’95 e con collaborazioni di alto rango anche negli anni successivi, io iniziai ad ascoltare con attenzione il materiale esplosivo dei suoi primi dischi.
Scoprii che nel 1981 Pino aveva tenuto un concerto a Piazza del Plebiscito a Napoli davanti a 200 mila persone, nel giorno di San Gennaro, con una super band che poteva misurarsi con qualsiasi altra band internazionale, una band composta da soli musicisti napoletani, tutti con una propria carriera musicale e tra questi c’era James Senese, il pioniere del nuovo sound napoletano. Era la formazione di Vai Mo (’81), quarto disco di Pino Daniele, che però dopo il tour di quell’anno non riuscì a rimanere insieme. Nella sua autobiografia (Storie e poesie di un mascalzone latino, 1994, in collaborazione con Mimmo Liguoro) Pino Daniele ha raccontato con rammarico questa sorta di “maledizione” dei napoletani che non riescono a fare sistema per un’endemica assenza di spessore politico-organizzativo. Secondo lui, e come dargli torto, in quegli anni fu sprecata una grande occasione:
Unire le forze? Andare avanti insieme? Niente da fare. Andai avanti per conto mio… Allora è vero che i napoletani non possono stare insieme? A giudicare dall’esperienza vissuta con quelli della mia generazione, purtroppo è vero.
Con la reunion di quella band Pino ha suonato nel tour celebrativo per i 30 anni della sua carriera: Tullio De Piscopo alla batteria, Tony Esposito alle percussioni, Rino Zurolo al basso, Joe Amoruso alle tastiere, James Senese al sax, e naturalmente Pino Daniele voce e chitarra.
Per molti l’album della maturazione artistica del primo Pino Daniele è stato Nero a Metà (’80), ma per me la sintesi di quel super Pino Daniele sta nell’album Bella ‘mbriana (’82) dove ad alcuni musicisti napoletani si affiancarono musicisti del calibro di Wyane Shorter (già con Miles Davis e poi fondatore dei Weather Report…) e Alphonso Johnson (già Weather Report e poi, dopo Pino Daniele, con Santana).
La prima volta che ho ascoltato dal vivo Pino Daniele è stato nel 1994, durante le prove del concerto che tenne allo stadio San Paolo di Napoli con Jovanotti e Ramazzotti. Riuscii ad imbucarmi e vi sarei rimasto volentieri fino a tardi, anche se avevo un esame alla vicina facoltà di ingegneria, ma mentre cercavo di sistemarmi in attesa dello spettacolo fui beccato ed accompagnato all’ingresso. Nel 2001, quando Pino sembrava rinato col disco Medina, andai ad un suo concerto al teatro Smeraldo di Milano dove si esibì con una band di sole donne, ma non fu un bello spettacolo. La gente cantava a squarciagola ma il grande assente era proprio lui che con la voce si tenne sempre lontano dal registro alto. Intorno a me non se ne accorse nessuno ma pochi giorni dopo lessi che alcune date del suo tour erano state annullate per un disturbo che gli provocava afonia. Le cose mi andarono però più che alla grande dopo 10 anni ad un concerto di beneficenza che Pino Daniele tenne, ancora a Cava de’ Tirreni, insieme ad Eric Clapton. Per me che sono fan di entrambi, e che pure con i concerti di Eric Clapton ero stato sfortunato, quella serata più unica che rara fu praticamente il top. Sentirli duettare mentre eseguivano sia Cocaine che Napule è come se avessero sempre suonato insieme è stata un’esperienza che non dimenticherò mai. Sul palco c’erano i musicisti di Eric Clapton ma alcuni di loro avevano già suonato anche con Pino Daniele (uno su tutti: il mitico batterista Steve Gadd). Dopo la morte di Pino Daniele Clapton scrisse per lui lo strumentale Pino 5.
Confesso di aver snobbato il Pino Daniele 1995-2015 ma ogni volta che alla radio passa un suo pezzo pop avverto comunque una distanza notevole rispetto alla musica leggera prodotta in Italia. Se fosse ancora vivo non è da escludere che si sarebbe cimentato in qualche collaborazione con un giovane esponente della musica trap perché lui non snobbava nessuno, ha suonato con Gato Barbieri e Chick Corea allo stesso modo con cui ha suonato con Clementino ed Emma Marrone, sempre alla pari. Era anche un osservatore delle giovani energie che si muovono in un ambito dove “essere bravi è quasi un handicap… Il sistema tende a divulgare la mediocrità perché ha paura della musica e di tutte le forme d’arte di qualità” (dall’autobiografia, 1994).
Il suo cuore fisico era debole ma quello emozionale era grande. In un Natale agli inizi del suo successo fece visita all’istituto penitenziario minorile Filangieri di Napoli anticipando la visita di Eduardo De Filippo che politicamente, come senatore a vita, si spese molto per i minori detenuti. Quando Eduardo lo seppe disse “Stu guaglione tene buoni sentimenti”.
E’ impossibile etichettare la musica di Pino Daniele, anche perché lui è stato la punta di diamante di un genere nuovo che poi non ha avuto la possibilità di svilupparsi. Troppo spesso si dice che suonasse il blues, o una miscela di blues e sonorità mediterranee. Lo diceva anche lui, ma era una sua licenza poetica. Di certo ha inciso più blues di qualunque altro artistai taliano di successo. A conclusione di questa carrellata di ricordi, siccome a me me piace o blues, condivido alcuni link di incisioni in cui Pino Daniele ha esplicitamente suonato il blues, il rock-blues o il rhythm and blues. Ma sempre con un’impronta molto personale.
Stateve buon guagliù!
- Ue man! (da Pino Daniele, 1979)
- Puozze passà nu guaio (da Nero a Meta, 1980)
- Yes I know my way (da Vai mo’, 1981)
- Tutta ‘nata storia (da Bella ‘mbriana, 1982)
- Keep on movin’ (da Musicante, 1984)
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