In questi giorni l’Europa si è svegliata bruscamente dal profondo sonno degli ultimi mesi sulla questione libica e ha tuonato contro le interferenze estere che a detta del nostro ministro degli esteri Luigi Di Maio hanno reso quella libica “una guerra per procura”, ma come mai fino ad ora nè Di Maio nè gli altri ministri degli esteri europei se ne erano accorti?
Ci è voluto l’arrivo del 2020 e l’intervento della Turchia per far preoccupare Di Maio per la drammatica situazione Libica, perchè durante tutto il 2019 il nostro governo sembra essersi dimenticato che il Governo di Tripoli guidato da Al Sarraj sarebbe quello riconosciuto dall’ONU e che avrebbe dovuto contare sull’Italia forse più che su chiunque altro. Il governo italiano invece, incomprensibilmente, non ha mostrato un impegno all’altezza della posta in gioco e ha lasciato che Haftar avanzasse verso Tripoli sostenuto dall’Egitto, dagli Emirati, ora anche dai mercenari di Putin ma soprattutto dal nostro principale rivale europeo in Libia, la Francia. Non bisogna mai dimenticare che sono state le mire francesi a rovesciare Gheddafi per mettere le mani sulla Libia a scapito della posizione italiana, avevamo un governo debolissimo allora e le cose sembrano non esser molto cambiate oggi.
Le improvvise preoccupazioni del nostro ministro degli esteri però sono condivise a livello europeo, tanto che ieri nell’ambito dell’incontro coi i ministri di Germania, Italia, Francia e Regno Unito l’Alto rappresentante per la politica estera europea Josep Borrell ha dichiarato: “Chiediamo uno stop immediato a ulteriori escalation e alle interferenze esterne negli ultimi giorni, la situazione peggiora di giorno in giorno e la soluzione è solo politica.”.
Buono a sapersi, sarebbero le interferenze esterne degli ultimi giorni ad aver provocato il disastro libico. La guerra libica nasce da una colossale interferenza esterna: l’intervento militare principalmente francese, britannico, americano e anche italiano del 2011 e poi continua fino ai giorni nostri con una guerra alimentata da arsenali, mercenari, droni, forze aeree e fiumi di dollari che giungono nel paese nordafricano da più parti. Ed è un segreto di Pulcinella che dall’Italia continuano ad arrivare carichi di armi per le milizie della tripolitania.
Come può l’Europa parlare oggi di interfrenze se la Francia sostiene militarmente Haftar fregandosene dell’ONU e dei partners europei è un mistero.
Importante però è capire che solo l’attivismo turco ha smosso l’Italia dalla sua inerzia, la fino ad oggi silente politica italiana ha ritrovato la voce per condannare l’iniziativa turca a difesa della capitale libica martoriata dai bombardamenti.
Purtoppo però non sembra che ci sia la volontà, o forse la capacità, di porvi rimedio, perchè mentre infamma la guerra intorno a Tripoli e i turchi non perdono tempo entrando con forza nella partita non si può continuare a compiere inutili balletti diplomatici invocando tavoli di dialogo ed iniziative europee, anche perchè Tripoli annullando la prevista missione europea ha fatto capire che il tempo delle chiacchere è finito.
Non si può pensare di fare da arbitro tra i due fronti, volando un giorno ad Ankara e l’altro al Cairo, perchè non si è mai visto un arbitro vincere una partita.
Molto prosaicamente quindi, in Libia si sta combattendo e se l’Italia non vuole perdere completamente ogni ruolo con le nefaste conseguenze sotto il profilo energetico, di sicurezza e politico che ne conseguirebbe, bisognerebbe mettere i cosidetti scarponi sul terreno a difesa della popolazione libica ostaggio di Haftar, ma siccome l’Italia per varie ragioni non lo può fare, si dovrebbe almeno trovare un’intesa conveniente con la Turchia che è pronta a farlo. Forse Conte e Di Maio stanno pensando ora alle incaute posizioni adottate nei confronti della Turchia in occasione dell’operazione in Siria Peace Spring.
Senza una difesa di Tripoli, di cui oggi si assume l’onere solo Erdogan, tra qualche anno potremmo ritrovarci una grande tirannia ostile ai nostri interessi estesa dall’Egitto all’Algeria.
Il Parlamento iracheno ha chiesto il ritiro di tutti i contingenti stranieri dal suo territorio e il recente attacco alla base di Ain Al-Assad non è un buon presagio per i nostri militari in Iraq, la Nato ha annunciato che ritirerà temporaneamente parte del personale e così dai tedeschi dai canadesi e dai Croati, gli italiani e in francesi invece resteranno. Dopo quello degli Stati Uniti quello italiano è il secondo contingente della coalizione con 500 uomini impegnati in Iraq.
Sarebbe il caso di rispettare la volontà democratica del Parlamento iracheno e fare le valigie e al contempo rispondere, meglio tardi che mai, alla richiesta di aiuto militare di Tripoli.
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