Avete mai sentito il dolore causato dal dover abbandonare la casa dove avete fatto i vostri primi passi, dove avete imparato a dire le prime parole? La casa da cui siete felicemente andati per la prima volta a scuola con uno zainetto sulla spalle? Con spensieratezza ed innocenza siete usciti in questo fantastico mondo che prometteva cose e personaggi interessanti. Avete mai dovuto lasciare la vostra strada, che avete percorso innumerevoli volte, partendo e tornando? Avete mai dovuto attraversare un ponte che vi separa dal vostro passato e vi fa raggiungere dei nuovi tempi in cui dovete imparare a sopravvivere e a continuare la vostra vita, da profugo. Una volta che diventerete un profugo, lo rimarrete per sempre.
La Bosnia ed Erzegovina è un paese pieno di profughi. I bosniaci musulmani hanno sempre dovuto lasciare le loro case e trasferirsi in altri luoghi. Sempre che siano stati abbastanza fortunati da sopravvivere alla guerra ed i calvari! A causa della prima guerra mondiale e della seconda guerra mondiale e dell’aggressione contro la Bosnia ed Erzegovina nel 92-95 ci fu un gran numero di musulmani bosniaci che migrarono all’interno della stessa Bosnia ed Erzegovina. Molti del sud del paese, salvando le proprie vite e quelle delle loro famiglie, si trasferirono a nord o nella Bosnia ed Erzegovina centrale. Se si dovesse scrivere sui muhajir nei Balcani, si potrebbe scrivere un carico intero di libri sui loro percorsi.
Una di quelle famiglie che dovette abbandonare la propria terra natia era la famiglia di Alija Izetbegovic, il primo presidente della Bosnia ed Erzegovina. Alija proviene da una famiglia di spicco, i nobili-beg Izetbegovic che vivevano a Belgrado, in Serbia. A causa del terrore serbo, la famiglia dovette trasferirsi in un posto più sicuro ed il nonno (anche lui di nome Alija) portò la sua famiglia a Bosanski Samac, citta’ situata nella Bosnia settentrionale. A quel tempo, molte famiglie musulmane provenienti dalla Serbia, dalle città: Uzice, Belgrado, Sokol e Sabac cercarono rifugio a Bosanski Samac, soprattutto dopo il 26 maggio 1862, quando i serbi iniziarono terrorizzare la popolazione musulmana a causa di un incidente avvenuto precedentemente.
La famiglia Izetbegovic si stabilì quindi a Bosanski Samac ed il nonno Alija fu lì sindaco per un certo periodo. A causa della sua correttezza e onestà, si dice che sia stato molto rispettato dalla popolazione locale. Lo si ricorderà nella storia della città per aver deciso di proteggere un gruppo di eminenti cittadini serbi che le autorità austriache, in consequenza del cosiddetto attentato di Sarajevo contro l’erede al trono Ferdinando, intendevano prendere in ostaggio. Il nipote Alija, al quale fu dato questo nome in ricordo del suo onesto e giusto nonno, nacque l’8 agosto 1925 a Bosanski Samac.
Già nel secondo anno di vita di Alija, il padre Mustafa, impegnato nel commercio e nel settore bancario, decise di trasferirsi a Sarajevo. La famiglia era numerosa: suo padre e sua madre avevano cinque figli, tre figlie e due figli, ed Alija era il figlio maggiore. Aveva anche due fratelli dal primo matrimonio di suo padre. Sfortunatamente, il padre Mustafa fu gravemente ferito durante la prima guerra mondiale, sul fronte italiano, a causa di ciò ebbe una specie di paralisi che lo rese praticamente immobile negli ultimi dieci anni di vita. La malattia del padre fu a carico della madre di Alija, sebbene fosse curato da tutta la famiglia. La madre Hiba era una donna molto pia, e più tardi, nelle sue note Alija scriverà che doveva il suo primo attaccamento alla fede proprio a lei.
Alija Izetbegovic studiò a Sarajevo, dove si era diplomato al Primo Ginnasio durante la seconda guerra mondiale nel 1943. Quell’anno di crescita e maturità, fece attraversare al giovane Izetbegovic fasi di elaborazione spirituale e filosofica diverse. Le idee comuniste generarono in lui molti dilemmi. Al giovane studente si presentavano da un lato la “giustizia sociale” e dall’altro la fede in Dio.
Tuttavia, ciò che a prima vista destò sospetto nel giovane Izetbegovic fu il fatto che nella propaganda comunista Dio era rappresentata in maniera negativa e la religione stessa era considerata “l’oppio per i popoli”, un mezzo per placare la nazione ed abbindolarla in modo che non combattesse per una migliore posizione nella “vita reale”. D’altra parte, in varie varianti e aggiunte, Izetbegovic stesso sembrava sempre credere che il messaggio principale della fede fosse una vita morale e di responsabilità. Così Izetbegovic alla fine decise di tornare alla fede con una nuova forza e in un modo nuovo. Ora, si trattava di una fede di nuova adozione, non di una eredità della tradizione alla quale apparteneva dalla nascita. Da allora non perse mai più la sua fede.
Alija Izetbegovic è stato politicamente impegnato nell’ideazione e l’organizzazione dei “Giovani Musulmani“, motivo per cui ha trascorso tre anni in prigione tra il 1946 ed il 1949. È interessante notare come movimento dei Giovani Musulmani abbia affrontato principalmente questioni di politica estera e spirituali, vale a dire questioni legate al mondo musulmano contemporaneo. I Giovani Musulmani affermavano che “la situazione politica in questo mondo (islamico) è miserabile, che è insostenibile in quanto tale e che l’Islam è un pensiero vivente che può (e dovrebbe) essere modernizzato, senza pero’ cambiare nulla di ciò che è fondamentale”.
Contestavano anche il fatto che in paesi dove l’Islam era maggioritario fossero gli stranieri a governare “o per presenza militare o per presenza di capitali”, il che non era affatto una illazione. In ogni caso, il governo comunista aveva bisogno di una scusa per sbarazzarsi in qualche modo dei giovani intellettuali musulmani. Molti furono perseguitati, imprigionati e condannati a morte.
Al suo rilascio dalla prigione, Alija creò una famiglia con la sua amata Halida. Lavorò duramente in molti cantieri della Bosnia e nel frattempo studiò. Si laureò in giurisprudenza nel 1956. Parallelamente nonostante tutti i i problemi e gli impegni di vita riuscì a scrivere testi su tematiche islamiche. La “Dichiarazione islamica” un testo di 40 pagine rivolto agli stati islamici, era considerata una minaccia per il sistema sociale nell’ex Jugoslavia. A causa di questo testo Alija Izetbegovic e ai suoi compagni furono accusati di fondamentalismo islamico, furono processati e condannati a 14 anni di prigione Izetbegovic aveva allora 60 anni.
Rimase in prigione per cinque anni e otto mesi perché presentava costantemente appelli su appelli. Quando uscì di prigione, aveva in programma di istituire un partito politico. Alija Izetbegovic divenne il leader del partito politico SDA (Partito dell’azione democratica), che vinse le elezioni nel novembre 1990. Dopo un anno, Alija Izetbegovic divenne il primo presidente della Bosnia ed Erzegovina. Negli anni ’90, la Jugoslavia comunista andò in pezzi, emersero nuovi stati, i Balcani furono governati da alcune forze oscure. La Bosnia ed Erzegovina fu’ aggredita. Il paese entrò in guerra. Uomini, donne, bambini morirono. Molti sopravvissuti sono divenuti profughi.
Profughi che hanno lasciato la Bosnia ed Erzegovina per sempre e hanno trovato la salvezza in molti paesi europei. Profughi che abbandonarono le loro case e città all’interno del paese e costrurono altre case in altre città del paese. Profughi che abbandonarono le loro vecchie utopie e si volsero alla luce. Non a caso un poeta canta cosi’ il suo verso: “non brillerebe così intensamente questa mio bellissimo giardino, definirei la luce oscurita’ se non ci fossi tu Alija”
Vita politica e guerra
Alija Izetbegovic fu un leader che accese la fiaccola dell’amore per tutti i valori islamici in Bosnia ed Erzegovina solo con una frase: “Giuriamo per Dio l’Eccelso che non saremo schiavi”. Questa frase fu la risposta all’orrenda affermazione di Radovan Karadžić (leader sei serbi bosniaci e criminale di guerra) durante una plenaria del Parlamento in cui disse che la Bosnia ed Erzegovina con la sua dichiarazione di indipendenza (1 Marzo 1992) ed il popolo musulmano bosniaco stavano preparando la strada per la guerra e la loro scomparsa (genocidio) da questo mondo.
Alija Izetbegović cercò fino all’ultimo di mantenere una Jugoslavia unita, ma quando vide che ormai sia la Slovenia che la Croazia con il supporto delle potenze occidentali si erano distaccate, e che il resto della Jugoslavia non sarebbe stato altro che una “Serboslavia” in cui i Serbi avrebbero deciso ogni cosa, decise con il supporto di molti patrioti di indire un referendum per l’indipendenza della Bosnia ed Erzegovina. Il 63% della popolazione bosniaca votò a favore dell’indipendenza, la maggior parte della componente serba della popolazione (circa il 30%) boicottò il voto, e non dimentichiamo che l’establishment serbo della Bosnia aveva già due mesi prima (nel 9 Gennaio 1992) unilateralmente e incostituzionalmente dichiarato la Repubblica Serba di Bosnia.
Con il supporto dell’esercito Jugoslavo (di fatto esercito serbo-montenegrino) i serbi di Bosnia avevano gia’ ideato una strategia di assedio ed occupazione di tutta la Bosnia ed Erzegovina, barricate e postazioni già furono presenti in parti a maggioranza serba dal Gennaio del 1992. La parte nord-orientale e sud-orientale adiacente alla Serbia fu attaccata subito il 1 Marzo e da li in poi massacri inauditi vennero perpetrati e centinaia di migliaia di persone furono costrette a fuggire, mentre coloro che rimasero furono rinchiusi in campi di concentramento e torturati.
Alija Izetbegović cercò di mantenere un Bosnia ed Erzegovina unitaria in cui ognuno aveva i suoi diritti e doveri a prescindere da nazionalità o religione, la prova di questo è prima di tutto che nel suo governo vi erano ministri di varie religioni e nazionalità: croati, serbi ed ebrei, e così era per i generali di stato maggiore. La sua è stata una lotta contro un genocidio pianificato del popolo bosgnacco musulmano, anche in quella situazione drammatica di violenza non permise mai a delle teste calde ed estremiste di prendere il sopravvento.
Nei territori sotto controllo dell’esercito bosniaco furono pochi i crimini di guerra commessi e non vi furono di norma distruzioni di chiese ad eccezzione di due o tre casi isolati. Mentre sia nel territorio sotto controllo dell’esercito serbo che in quello sotto l’esercito croato (che nel periodo più duro fra il 1993 e 1994 tradì l’esercito bosniaco) l’80% delle 1144 moschee presenti venne distrutto o danneggiato.
Con il trattato di Dayton firmato alla fine del 1995 fu trovato, come disse Alija Izetbegović: “un compromesso amaro ma necessario“. Il fine ultimo era ad ogni costo evitare una nuova Palestina nel cuore d’Europa, ma avere un paese unico con una moneta unica ed una politica estera unica. Purtroppo la componente serba, anche se ha firmato l’accordo, continua ad ostacolare ad ogni modo lo sviluppo di un paese forte ed unito.
Alija Izetbegović ha scritto molte opere significative. Il suo libro “Islam tra Oriente e Occidente” è stato tradotto in diverse lingue del mondo ed è stato insignito di numerosi premi da molti stati. Ci sarebbe molto ancora da raccontare sulla vita di questo servitore di Dio, i cui pensieri, idee e desideri erano volti al ritorno all’islam dei musulmani, l’Islam che ci ha lasciato in affidamento l’Ultimo Profeta di Dio, Muhammad (pbsl).
La vita terrena di Alija Izetbegović si è fermata il 19 ottobre del 2003 e almeno 100.000 persone hanno presenziato al suo funerale testimoniando profondo amore e rispetto per un uomo e uno statista coraggioso e giusto.
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