Entrare nel merito del caso della piccola Tafida Raqeeb, balzato alle cronache in seguito al suo trasferimento dal Royal London Hospital, dove era ricoverata per un grave accidente cerebrale, all’Ospedale Gaslini di Genova, sarebbe cosa irrispettosa. L’ospedale genovese ha accolto la piccola paziente in seguito alla richiesta dei genitori, i quali hanno voluto opporsi alla decisione dell’ospedale inglese di interrompere le cure alla figlia. Pochi giorni fa Tafida è stata dimessa dal reparto di terapia intensiva.
Non è difficile comprendere e quindi rispettare il punto di vista dei genitori. Doveroso rispetto meritano anche tutti quei medici, inglesi ed italiani, che sono coinvolti nella vicenda. Le competenze di chi si occupa di questo tipo di problematiche costituiscono un bagaglio colturale di non poco conto e frutto di grandi sacrifici. Rispetto meritano anche tutti coloro che a vario titolo, come politici, giudici e amministratori, sono stati chiamati a prendere parte su un tema difficile e delicato.
Come al solito però, quando si incappa in tematiche medico scientifiche, coloro che questo rispetto non lo mostrano sono i giornalisti. Sarà la necessita di fare la notizia, o forse l’ignoranza di chi non può che rispondere pregiudizialmente su temi che in fondo non conosce: fatto sta che c’è da sentirsi male nel leggere la narrazione dei fatti.
Il caso in questione è stato preso a riprova, più o meno esplicita, della superiorità del sistema italiano rispetto a quello d’oltremanica nella capacità medica nel tenere in vita la paziente, e contemporaneamente si è voluto sottolineare un presunto errore di valutazione e un atteggiamento lapidario nei confronti della piccola Tafida e la sua famiglia da parte del sistema inglese.
Non è cosi. Non vi è nessuna capacità tecnica particolare che ha permesso alla paziente di uscire dalla terapia intensiva dell’ospedale Gaslini. Per quanto ne sappiamo infatti, c’è da presumere che le due equipe, quella italiana e quella londinese, siano ugualmente capaci. Essere dimessi dalla terapia intensiva non significa in alcun modo essere guariti, specie se lo si fa essendo ancora totalmente dipendenti dalla ventilazione meccanica e con uno stato di coscienza tutto da definire. Insomma, la dimissione dalla terapia intensiva non è nulla di inaspettato, ma è semplicemente avvenuto quello che verosimilmente i medici inglesi avrebbe voluto evitare che avvenisse, ovvero quella che in linguaggio gergale viene definita come cronicizzazione.
Riguardo alla questione umana, o forse farei meglio a dire umanitaria, non è necessariamente più umano e coraggioso fare tutto il possibile. Il cosidetto accanimento terapeutico è spesso infatti il frutto più dell’ignavia che del coraggio. Da sottolineare che gli inglesi non hanno mai parlato di una prognosi “quad vitam”, bensì nelle loro ragioni l’oggetto sono le possibilità di recupero della bambina dallo stato clinico neurologico attuale.
La narrazione dei fatti della stampa italiana è stata quindi, come al solito, superficiale e fuorviante. Questo atteggiamento è figlio di una mentalità tutt’altro che scientifica e padre di conseguenze nefaste, come l’atteggiamento vessatorio nei confronti del personale sanitario, la disinformazione della popolazione sui temi sanitari, il sostanziale oscurantismo su temi medico-scientifici che imperversa nel nostro paese.
Un’informazione superficiale risulta particolarmente dannosa specie in questo momento, quando vi è una importante dibattito sul tema del fine vita che dovrebbe portare la popolazione ad averne una maggiore consapevolezza. Il necessario processo di crescita del paese tenderà ad essere neutralizzato dalla spinta qualunquista di ogni discorso disinformato. Prova ne è lo scarso ricorso a quell’importantissimo e, vorrei dire, imprescindibile strumento a disposizione di tutta la popolazione costituito dal testamento biologico, di fatto ignorato dai più.
Sunto: Il caso della piccola Tafida esemplifica la fuorviante opera di narrazione della stampa italiana su temi medico scientifici
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