Con un post pubblicato sulla sua pagina FB, Tariq Ramadan l’intellettuale musulmano svizzero assegnato a residenza obbligata in Francia da 14 mesi interviene sulle dinamiche dei rapporti tra la comunità islamica d’oltralpe e lo Stato francese. Nel testo Ramadan denuncia senza mezzi termini il tentativo governativo di manipolare i rapporti interni alla comunità oltre a quelli tra quest’ultima e le istituzioni.
Secondo l’islamologo c’è una volontà di giocare sulla concorrenza tra i Paesi di’origine delle due principali componenti dei musulmani che vivono in Francia, il Marocco e l’Algeria, e tutto a favore della prima emarginando l’altra.
Scrive Ramadan : “Per lo stato francese, l’operazione, a livello strettamente politico, non è stata semplice: come promuovere la concorrenza tra Algeria e Marocco per gestire in definitiva gli “affari islamici” con Rabat e, neutralizzare l’Algeria. Lo scenario è noto e si è già verificato in Belgio, dove la popolazione di origine marocchina è la maggioranza. In Francia, le cose erano molto più complesse …”
A riprova di ciò accenna a quanto è avvenuto nelle ultime elezioni del CFCM (Conseil français du culte musulman, un ente controllato dal ministero degli interni che dovrebbe rappresentare i musulmani presso le istituzioni per quanto concerne le loro pratiche religiose).
Dopo la scadenza, nello scoso anno, del mandato di Ahmet Ogras, un imprenditore turco, presidente del CCMTF (Comité de Coordination des Musulmans Turcs de France), e un breve interim di Dalil Boubakeur ( già primo presidente dell’organismo nel 2003 e poi di nuovo nel biennio 2013/2015), in un’elezione boicottata dalla stessa grande Moschea di Parigi e dai Musulmans de France (gia UOIF) con il 43% dei suffraggi espressi è stato eletto Mohammed Moussaoui, a capo dell’ UMF (Union des Mosquées de France) di stretta obbedienza marocchina.
Nel suo intervento Ramadan analizza le conseguenze di questa elezioni, soprattutto per coloro che si sono chiamati fuori.
“Il CFCM è stato stretto in una “tenaglia” e gli altri attori sono stati neutralizzati o emarginati. La moschea di Parigi non ha più molto spazio di manovra, mentre i “Musulmans del France” vedono la loro sopravvivenza politica e istituzionale dipendere ora dalla loro posizione ideologica: o seguono determinati rappresentanti religiosi e si presentano come i”meglio disposti e più flessibili” in termini di culto e rito, o rimangono nelle loro “posizioni dogmatiche”.
Nel primo caso, perdono parte della base; nel secondo, perdono tutto il riconoscimento istituzionale e un’altra parte della base. Secondo un calcolo delle probabilità, non sarebbe sorprendente se scegliessero la prima opzione, con grande soddisfazione dei poteri che comunque non li riconosceranno. Tra Rabat e Parigi, l’operazione ha molte sfaccettature e si svolge su più fronti: istituzionale, religioso, politico e mediatico.
Il prossimo “Islam di Francia” ci viene presentato come “moderato” e “apolitico”. La versione francese delle formule è facile da capire, alla luce dell’esperienza storica: “moderato” significa “invisibile” e “accettante il compromesso”; quanto a “non politico”, questo si traduce – per i suoi rappresentanti – con “interessato al riconoscimento dei poteri”, “silenzioso nei confronti delle loro politiche” e “docile alle loro decisioni”. Un cittadino francese di fede musulmana è “apolitico” quando mostra il segno ostentato della sua “politica di sottomissione” al potere francese.
Un quadro abbastanza desolante per l’autonomia e la dignità della comunità islamica francese, di fronte al quale Ramadan reitera quanto sta dicendo da almeno tre decenni e che probabilmente gli è costato la persecuzione di cui è fatto oggetto:
Spetta ai musulmani definire il contenuto della loro fede, le loro pratiche e le loro aspettative in conformità con la legge comune;
La scelta dei leader e dei rappresentanti dev’essere effettuata dal basso verso l’alto con un processo trasparente di nomina ed elezione;
Il secolarismo esige che lo Stato non interferisca negli affari religiosi e rispetti le istituzioni religiose e i praticanti in nome del diritto comune;
Gli stati stranieri non devono essere consultati né imporre i loro rappresentanti, la loro ideologia o i loro controllo finanziario.
E conclude:
È lontano dai poteri che si protegge l’autenticità del messaggio e che si può, con pazienza, strutturasi, dal basso verso l’alto. Bisogna essere religiosamente sinceri e devoti, politicamente vigili e coraggiosi e, umanamente, pronti alle critiche e al sacrificio. Il futuro dell’ “Islam di Francia” non deve essere deciso negli uffici ministeriali di Parigi, Rabat, Algeri, Tunisi, Ankara, Riyad, Doha o Abu Dhabi …questa è un’illusione ottica di poteri frettolosi e interessati. Il futuro dell’Islam, si attua nel cuore di ogni credente, nelle attività di ogni moschea, di ogni associazione, di ogni istituzione, pietra dopo pietra, città per città, regione per regione.
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