In Algeria da un anno il popolo sfila per le strade delle sue città ogni martedì e venerdì chiedendo a gran voce “istiqlal” (indipendenza) dal potere militare che regge il Paese dal colpo di Stato del 1965 mentre in Marocco il malessere della gioventù si sta esprimendo in una modalità nuova e di massa: tifosi di calcio con i loro cori da stadio protestano per per la condizione della gioventù che assiste impotente alla sperequazione sociale e denunciano la corruzione nello Stato e l’insensibilità del governo alle sofferenze del popolo che non ha altra prospettiva che una “barca” per tentare l’emigrazione.
Già molto si è detto e scritto su quei movimenti che nel 2010/2011 agitarono i Paesi arabi e condussero alla caduta dei regimi al potere. Nel 2011, quattro capi di Stato furono spodestati e dovettero fuggire: il tunisino Zine El-Abidine Ben Ali, l’egiziano Hosni Mubarak, lo yemenita Ali Abdullah Saleh; in Libia Mu’ammar Gheddafi tentò di salvarsi ma fu catturato e ucciso dai ribelli.
Cosa successe negli anni a venire è materia troppo fresca per valutazioni storiche, ma la cronaca ci restituisce fatti che testimoniano della volontà, e capacità, degli anciens regimes, di riprendersi con gli interessi quanto avevano creduto di perdere.
L’Egitto sta vivendo la peggior dittatura dopo la caduta del re Faruk e la successiva abrogazione della monarchia da parte di Gamāl ʿAbd al-Nāsser nel 1953. Libia e Yemen sono teatri di scontri geopolitici tra potenze straniere in un contesto di guerre civili solo apparenti. La Tunsia dal canto suo rimane, nonostante tutto, grosso modo fedele alla sua Rivoluzione dei gelsomini, nel senso che le istituzioni democratiche rivitalizzate dalla nuova Costituzione del 2014, sono in piedi, e la dialettica politica è in atto senza spargimenti di sangue.
La novità di questi ultimi mesi è piuttosto quello che succede in Algeria dove il movimento di protesta popolare che da un anno sfila per le strade delle sue città ogni martedì e venerdì ha boicottato le le elezioni presidenziali e ne contesta l’esito chiedendo a gran voce “istiqlal” (indipendenza) dal potere militare che regge il Paese dal colpo di Stato del 1965.
E quel che succede in Marocco, dove il malessere della gioventù di quel Paese si sta esprimendo in una modalità nuova e di massa.
In entrambi i Paesi i tifosi del calcio colgono l’occasione per esprimere nei loro cori da stadio la loro protesta. Se in Algeria i movimento del Hirak ha caratteristiche più smaccatamente politiche, in Marocco, dove non si è configurata ancora una rivendicazione di tipo istituzionale, è piuttosto un grido di dolore collettivo per la condizione della gioventù che assiste impotente alla sperequazione sociale e denuncia la corruzione nello Stato e l’insensibilità del governo alle sofferenze del popolo e di loro stessi, giovani che non hanno altra prospettiva che una “barca” per tentare l’emigrazione.
Grande protagonismo politico hanno acquisito le curve marocchine che nei loro cori gridano tra le altre cose:
“la nostra vita è amara, non mentono quelli che dicono che ci hanno uccisi con false promesse
ma non abbiamo visto niente, hanno speso milioni per Shakira, noi chiediamo ben poco
e ci date l’aumento dei prezzi, Per Dio è una grande mafia
sono diventati tutti ladri, con i nostri soldi si comprano le ville , noi non abbiamno altro che un gommone in cui sperare”
I giovani algerini cantano invece: “Il passato è archiviato, con la voce della libertà, Il nostro mezzo è la parola e sanno che non potranno farci niente.Siamo stanchi di questa vita. “
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