La sede dell’azienda italiana Hacking Team è un palazzo degli anni ’50 a Piazza della Moscova, a Milano. Un palazzo qualunque, grigio, che non dice niente di particolare, ma è proprio all’interno di questo stabile, anonimo ed insospettabile che ha sede una delle aziende informatiche italiane numero uno dell’export di sistemi informatici di spionaggio, intrusione offensiva e controllo a distanza a livello internazionale.
La società viene fondata nel 2003 da due imprenditori italiani David Vincenzetti e Valeriano Bedeschi, grazie a investimenti milionari di venture capital quali il Fondo Next di Finlombarda e Innogest. Oltre a Milano, Hacking Team ha sedi secondarie anche a Singapore e ad Annapolis negli USA, un numero esiguo di dipendenti e sedi ma con capacità informatiche e di vendita non indifferenti, tanto che dopo pochi anni dalla nascita, l’azienda diventa il primo fornitore in esclusiva di prodotti di sorveglianza per la Questura di Milano.
I suoi sistemi di controllo remoto vengono utilizzati soprattutto per la lotta al terrorismo, al narcotraffico internazionale e alle mafie, in quanto permettono di monitorare le comunicazioni degli utenti di Internet, decifrare i loro file e le loro e-mail criptate, registrare le conversazioni telefoniche, Skype e altre comunicazioni Voice over IP, di attivare a distanza microfoni e videocamere sui computer presi di mira, tenere sotto controllo telefoni cellulari (telefonate, rubriche, SMS, spostamenti, calendari ecc.), di leggere e rilevare anomalie nel mondo dei social network.
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L’azienda negli anni cresce e inizia a vendere i propri sistemi di spionaggio non solo in Italia ma anche negli Stati Uniti, dove apre anche una sede, ad Annapolis nello stato del Maryland. In particolare interessati ai prodotti Hacking sono le agenzie di intelligence americane come Nsa, Fbi e Cia. I sistemi di spionaggio sono venduti anche ad Arabia Saudita, Bahrein, Etiopia, Sudan, Libano e Kazakistan. E le conseguenze non si sono fatte attendere: i sistemi dell’azienda sarebbero stati utilizzati per controllare il giornalista saudita Khashoggi, assassinato brutalmente all’interno del consolato di Riad in Turchia.
Il boia di Khashoggi partecipa ad un corso di spionaggio di Hacking Team
Secondo la BBC Maher Mutreb, il capo dei sicari che hanno ucciso e fatto a pezzi il giornalista Jamal Khashoggi ad Istanbul nel Ottobre 2018, avrebbe seguito un corso di infiltrazione e controllo a distanza sponsorizzato dall’azienda italiana a Milano su richiesta di Qahtani, uomo vicino alla casa reale Saud . Mutreb non è un uomo qualsiasi, era la guardia del corpo del reggente al trono saudita Mohammad Bin Salman e agente dei servizi sauditi.
Non solo. La rete di Mutreb arrivava anche a Saud Qahtani, ex-consigliere del Re Salman bin Abd al-Aziz , specializzato nello spionaggio informatico che da anni spia, minaccia e promulga sentenze di morte sui social contro dissidenti e oppositori sauditi all’estero.
Qahtani, come riportato da France24, avrebbe presenziato via Skype all’esecuzione di Jamal Khashoggi e chiesto a Mutreb di mostrargli in diretta la testa mozzata del giornalista.
E sarà proprio Saud Qahtani a contattare nel 2015 l’azienda italiana chiedendo all’ad Vincenzetti “una collaborazione lunga” come riporta Repubblica.
Hacking Team, nonostante tutto, continua però ad avere il favore di governi e polizie di mezzo mondo: “noi siamo i buoni, le nostre tecnologie servono per arrestare criminali e narcotrafficanti” afferma l’ad Vincenzetti, lo stesso che contattato da Saud Qahtani, non si pose questioni morali sull’addestramento informatico di uno spietato killer come Mutreb.
Sistemi di spionaggio venduti ai Niss, il caso sudanese
Ricostruendo il puzzle che collega l’azienda italiana ai pericolosi servizi sauditi non si possono negare forti perplessità sulle vendite dei prodotti di Hacking ai governi autoritari così come i dubbi sull’utilizzo di questi sistemi da parte delle intelligence, non tanto per motivi di sicurezza, quanto per il controllo e fermo di oppositori e giornalisti.
E l’Arabia Saudita è solo la punta dell’iceberg. l’azienda finisce in mezzo ad un polverone nel 2015 per la vendita dei loro servizi anche a paesi autoritari, che utilizzano i sistemi per il controllo e l’intercettazione di oppositori come il caso del Sudan, dell’Arabia Saudita e di altri paesi. Intervengono anche Le Nazioni Unite nel 2014 puntando il dito contro l’azienda accusata di aver venduto il sistema “Remote Control Sistem” ai militari sudanesi nel 2011, quando ancora era in corso l’embargo di forniture militari e logistiche al paese.
Secondo la Hacking infatti il sistema venduto per 960mila euro a Khartoum non rientrava negli equipaggiamenti militari vietati. Non della stessa idea l’organo di controllo dell’Un che fa pressioni a Roma per intervenire. Infatti proprio in quell’anno il governo italiano blocca le esportazioni dei sistemi della Hacking che solo dopo un forte lavoro di lobbyng riottenne il diritto di vendita all’estero.
Servizi Hacking contro i narcotrafficanti in Messico e Spagna
I servizi della Hacking Team non solo venduti a governi dalla dubbia credibilità come l’Arabia Saudita, Sudan, Kazakistan o il Bahrein ma anche a paesi che di fatto utilizzano questa tecnologia per combattere narcotrafficanti e criminali. E’ l’esempio del Messico o della Spagna che sfruttano i prodotti Hacking per il controllo delle attività di pericolosi boss della droga e del traffico di esseri umani.
I sistemi della Hacking sono un’arma a doppio taglio, sta ai governi a decidere come usarli. Certo è che intorno a questa azienda rimane un’aurea di mistero così come rimangono riservati i dati sui loro profitti annui, anche se secondo alcuni ex dipendenti, sarebbero nell’ordine delle decine di milioni euro.
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