Mi capitò un giorno tra le mani L’origine dell’uomo di Charles Darwin, lessi quel libro con grande interesse: affascinavano la mia mente adolescente quell’idee secondo cui l’uomo discende dalla scimmia; che altro noi umani non siamo se non scimmioni un po’ più evoluti e che nulla è stato deciso nel cosmo una volta per sempre, ma che tutto, proprio tutto, altro non è che un processo continuo in cui gli esseri viventi, spinti dal caso e dalla necessità, sono in perenne evoluzione. Benché la teoria dell’evoluzione sia accettata dalle cattedre universitarie, da riviste come National Geographic e dalla BBC come una verità indiscutibile, crescendo le mie certezze sull’evoluzionismo darwiniano cominciarono ad incrinarsi.
Lontani ricordi di scuola, frequentavo la scuola media, mi riportano fra i miei compagni di allora, tra le mura di un’antica villa nobiliare, circondata da un bel parco dove pini marittimi e vegetazione mediterranea la facevano e la fanno ancora da padroni. Ebbi la fortuna di avere una gran brava insegnante di matematica; una bella signora bionda, di mezza età, dai modi signorili che spesso, mentre spiegava in classe, accendeva e fumava una sigaretta. Fumava nazionali semplici che estraeva, ricordo, da un pacchetto bianco, con stampato nel mezzo una grande enne blu.
Difficile crederlo adesso, ma di quella nuvola di fumo che l’accompagnava così frequentemente, allora nessuno si scandalizzava e soprattutto nessuno si lamentava. Insegnava matematica la signora, e nella mia storia scolastica non mi capitò più di trovare un’insegnante di matematica altrettanto capace di rendere semplici e comprensibili quei concetti per me sempre un po’ troppo astratti e astrusi. Che le sia lieve la terra.
Alla prof di matematica toccava anche l’insegnamento delle scienze naturali. Amavo molto quella materia, per me un’oasi interessante e viva in mezzo ad un deserto di insegnamenti che mal digerivo e mal sopportavo. Mi capitò un giorno tra le mani L’origine dell’uomo di Charles Darwin. Lo trovai tra i libri di mio padre, era edito dagli Editori Riuniti, che era allora la casa editrice del partito comunista; aveva la copertina bianca, una semisfera rossa vicino all’angolo di destra in basso e il titolo, un breve commento e il nome dell’autore erano invece stampati in nero.
Lessi quel libro con grande interesse: affascinavano la mia mente adolescente quell’idee secondo cui l’uomo discende dalla scimmia; che altro noi umani non siamo se non scimmioni un po’ più evoluti e che nulla è stato deciso nel cosmo una volta per sempre, ma che tutto, proprio tutto, altro non è che un processo continuo in cui gli esseri viventi, spinti dal caso e dalla necessità, sono in perenne evoluzione. Parlai di questa mia lettura durante l’ora di scienze e la cosa mi valse la stupita approvazione dell’insegnante, che mi elogiò e mi mise un bel voto, e mi valse anche la malcelata ammirazione mista ad un po’ di invidia dei miei compagni, che non si aspettavano da me, alunno ahimè a onor del vero non molto brillante, una simile performance.
Benché la teoria dell’evoluzione sia accettata dalle cattedre universitarie, da riviste come National Geographic e dalla BBC come una verità indiscutibile, crescendo le mie certezze sull’evoluzionismo darwiniano cominciarono ad incrinarsi.
Non mi convinceva più quell’ universo dove da un essere unicellulare semplicissimo, nato casualmente in un brodo primordiale, si sono sviluppate, obbedendo, come insegnò Jaques Monod, solo al caso e alla necessità, e si sono differenziate forme di vita sempre più complesse e organizzate, fino ad arrivare all’uomo, un essere capace di autocoscienza.
Questa è una visione delle cose che, sembra tagliata su misura per celebrare il progresso e il progressismo. Come ha scritto Maurizio Blondet, si va dall’ameba al lettore di Repubblica.
Ma il darwinismo può fornire anche chiavi di lettura assai diverse. Nel mondo oscuro e brutale della materia l’evoluzione dal semplice al complesso, avviene sì, ma avviene attraverso una selezione naturale che elimina i deboli e i meno adatti a sopravvivere, che premia i più forti. Ed ecco che a una lettura progressista si affianca una visione che ha corroborato ideologie, almeno in apparenza agli antipodi, come il nazismo e le sue idee sulla sopravvivenza del più forte e un certo razzismo a base biologica.
Il movimento di Intelligent Design
Negli anni novanta del secolo scorso si è sviluppato negli Stati Uniti un movimento ben presto divenuto noto nel mondo intero col nome di Intelligent Design. Questo movimento nacque nel 1989 proprio perché si richiedeva la possibilità di affiancare all’insegnamento darwiniano delle scienze biologiche anche una visione alternativa. La cosa finì di fronte alla Corte Suprema che stabilì che tale insegnamento non poteva essere impartito perché, in quanto religioso, violava in qualche modo la costituzione statunitense che vieta l’insegnamento religioso nelle scuole.
Ovviamente questa visione alternativa, anche in forza della sentenza della Corte Suprema, fu immediatamente bollata come “creazionismo” cioè una cosa rozza, che più o meno pretendeva di sostituire ad un insegnamento razionale e scientifico, una spiegazione basata sul racconto biblico della creazione; la BBC, National Geographic e tutti i principali media presentarono e continuano a presentare al pubblico l’Intelligent Design come una spiegazione pseudoscientifica e sostanzialmente religiosa del mondo e della sua storia. Insomma, roba buona per qualche fanatico oscurantista, niente a che vedere con la scienza con la s maiuscola. Le cose non stanno però esattamente così.
Il disegno intelligente è un movimento fondato e diretto da fior di scienziati quali William Dembsky, filosofo e matematico, Stephen Meyer, filosofo della scienza, Dean H. Keynon biologo, Michael Behe, biochimico e da molti altri uomini di scienza; non fanatici religiosi usciti dall’America profonda, dalla cosiddetta Bible Belt, e neppure da un medioevo oscuro e lontano, come pretenderebbero i sacerdoti della scienza ufficiale, quelli che qui in Italia organizzano il Darwin’s day e aderiscono entusiasti all’UAAR (Unione atei e agnostici razionalisti).
La teoria della Complessità Irriducibile
Il biochimico Michael Behe, in particolare, col suo libro Darwin’s Black Box ha portato un attacco molto profondo e ragionato a tutto l’edificio evoluzionista con la sua teoria della Complessità Irriducibile. Il ragionamento di Behe è molto semplice, ma difficilmente attaccabile: si prenda una macchina piuttosto rudimentale, ma molto efficiente come una trappola per topi. Cosa costituisce una trappola per topi? una base di legno su cui sono fissati in un certo modo quattro pezzetti metallici: una minuscola tagliola, una molla e un gancio collegato alla barra di ferro, un altro gancio su cui posizionare l’esca, generalmente un pezzo di formaggio. Se a questa macchina molto semplice togliamo un solo elemento, non è che la trappola funzionerà un po’ meno, ma comunque funzionerà; se togliamo anche un solo componente la trappola non funzionerà affatto.
In natura gli organismi costruiti da parti insostituibili sono infiniti: ad esempio i batteri forniti di flagellum, un lungo ciglio usato per nuotare, che secondo i darwinisti si sarebbe formato con casuali e lievi mutazioni, che si sono in seguito conservate e perfezionate. Sempre secondo gli evoluzionisti, nelle prime generazioni l’apparato sarà stato meno efficiente, poi la selezione naturale avrebbe via via eliminato quelli più lenti e avrebbe selezionato i più adatti. Behe afferma che il motore dei ciliati è irriducibilmente complesso, che ogni suo elemento è indispensabile. Mancando un solo elemento il motore sarà incapace di funzionare.
Quindi l’edificio di Darwin è stato attaccato e messo in discussione non da teologi o uomini di fede che gli hanno contrapposto il racconto biblico della creazione o di un qualsiasi altro libro religioso, ma è stato confutato basandosi su evidenze e ragionamenti puramente scientifici. Certo l’Intelligent Design presuppone un progetto e un progetto presuppone un progettista, quindi un Creatore; ah già, ma un Creatore nel mondo di una certa scienza è ipotesi che si scarta a priori in quanto “non scientifica”.
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