Chiudere il paese a colpi di Facebook: cronologia del disastro normativo

La gestione dell’emergenza Coronavirus è stata segnata da un flusso costante di comunicazioni, decreti e ordinanze, atti spesso mal scritti che si sono sovrapposti e contraddetti e che a quasi due mesi dalla proclamazione dello Stato d’emergenza non hanno aiutato a contenere l’epidemia.

La notte di sabato 21 Marzo il Presidente del Consiglio ha fatto l’ennesimo e mai definitivo annuncio al paese in diretta Facebook in merito alle misure emergenziali per far fronte al Covid-19. Pur non focalizzandoci sul canale utilizzato, e facendo finta che l’orario scelto non sia il peggiore possibile per certe comunicazioni, sarebbe anche giunto il momento di chiedersi a cosa servono queste comunicazioni.

Il 16 marzo erano state annunciate le misure del Decreto Cura-Italia e si attendono ancora oggi i moduli per la cassa integrazione dei dipendenti di chi è rimasto senza entrate a seguito delle prime misure. Dopo 5 giorni il Premier ha annunciato che dal 23 Marzo tutto il paese si ferma. Quasi tutto il paese, anzi solo le attività non essenziali.

Ma cosa è essenziale per il paese? Ce lo farà sapere Confindustria!

Nel frattempo sarebbe opportuno darci un taglio con queste dirette a sorpresa, con questi monologhi dai toni rassicuranti ma con le tempistiche di chi sembra dover dichiarare un’entrata in guerra.

Proviamo a ripercorrere questi ultimi due mesi in cui stiamo vivendo le maggiori restrizioni alle libertà dalla nascita della Repubblica Italiana, anche allo scopo di individuare gli anelli legalmente deboli nella catena dei decreti emanati. Il tortuoso percorso, vedremo, è costellato anche di scompostezza istituzionale e cialtroneria accademica in un momento in cui si invita alla responsabilità e si invoca la scienza.

A cosa siamo arrivati

Il 20 marzo su carta intestata del Ministero dell’Interno è stato distribuito il Vademecum utilizzo mascherine che ne elenca i diversi tipi ed utilizzi, dal modello FFP3 con valvola di esalazione da usarsi nei reparti di terapia intensiva fino alle normali mascherine chirurgiche che “devono essere usate da tutta la popolazione circolante” (quindi anche quando si va a fare la spesa?).

Visto che le mascherine non si trovano manco a pagarle a peso d’oro cosa prevede il vademecum? Dice di usare mascherine “FATTE IN CASA”. Eppure lo Stato di Emergenza Nazionale è stato dichiarato alla chetichella il 31 gennaio e tre settimane dopo, quando c’è stato il primo paziente positivo del 20 febbraio, gli ospedali si sono comunque fatti trovare impreparati finendo per trasformarsi in focolai.

Ora a fine marzo sembriamo arrivati all’obbligo di usare mascherine fai-da-te anche se non è così. Ma se certa roba gira su carta intestata di un ministero si finisce a litigare in fila al supermercato con chi va in giro vestito da astronauta e vorrebbe vederti conciato come lui.

Sempre venerdì 20 marzo il Ministero della Salute ha ritenuto di emanare un’ordinanza con direttive che lasciano ulteriori perplessità. Sono stati vietati gli spostamenti verso le “abitazioni diverse da quella principale, comprese quelle utilizzate per vacanza, nei giorni: festivi, prefestivi, nonché quelli che precedono o seguono tali giorni”.

A parte la supercazzola per dichiarare che il week-end inizia il venerdì e finisce al lunedì (con un’ordinanza che vale da venerdì 21 marzo a mercoledì 25 e che in materia di spostamenti è stata poi superata da ben 2 provvedimenti del giorno seguente, uno del Premier ed uno firmato proprio dal Ministro Speranza, che è davvero senza speranza), indirettamente questo decreto sembra dire che martedì 24 marzo e mercoledì 25 ci si può spostare dall’abitazione principale per raggiungere la casa vacanza (ovviamente per chi ce l’ha), ma non è affatto vero.

A partire dal decreto (dpcm) del 9 marzo che ha esteso (con dubbia costituzionalità, ma lo vedremo dopo) la zona rossa a tutto il territorio nazionale, sono consentiti gli spostamenti dalla propria abitazione principale solo per lavoro, salute e per l’acquisto di beni di prima necessità. Quindi nel ribadire inutilmente divieti già esistenti si finisce per lasciare spazio ad interpretazioni fantasiose.

Nella stessa ordinanza firmata dal Ministro della Salute Roberto Speranza viene esplicitata per l’ennesima volta la possibilità di svolgere attività motoria all’aperto (passeggiata o corsetta) mantenendo ovviamente la distanza di sicurezza dalle altre persone, ed anche questa precisazione ridondante ci segnala qualcosa di anomalo.

L’odio verso i runner durante questa pandemia è stato un risultato sia della confusione normativa che della confusa comunicazione istituzionale. Se da un lato a partire dal dpcm del 9 marzo è sempre stato possibile muoversi a piedi e fare jogging (perché, è bene ricordarlo, non vige il confino), d’altro canto l’hashtag governativo #IoRestoACasa si è rivelato foriero di isteria di massa.

A fomentare l’odio verso chi svolge un’attività che l’Istituto Superiore della Sanità considera innocua ai fini del contagio, e che è espressamente consentita dai decreti in vigore, ci hanno pensato irresponsabili dichiarazioni da parte di Ministri del Governo (Boccia, D’Incà, e soprattutto l’antisportivo Ministro dello Sport Spadafora), presidenti di Regione (su tutti lo sceriffo della Campania De Luca) e Sindaci in cerca di visibilità come lo sconosciuto sindaco dello sconosciuto comune di Delia (ma dove si trova?) che ha avuto il suo momento di gloria con uno stupido video diventato virale. Tutta gente che nella Prima Repubblica sarebbe stata confinata dietro la lavagna.

Il cabaret istituzionale ed accademico

Abbiamo già detto che lo Stato di Emergenza Nazionale è stato dichiarato il 31 gennaio senza hashtag e senza dirette Facebook. Questo stato di emergenza, al momento, ha la durata di 6 mesi e finisce quindi il 31 luglio. Nel frattempo sembriamo navigare a vista con continui decreti, ordinanze, dichiarazioni, dirette social, vademecum e compagnia bella.

Non solo al momento del primo paziente positivo del 20 febbraio le strutture ospedaliere non avevano ancora un protocollo per non trasformarsi in focolai (a cosa è servito quindi lo stato d’emergenza?) ma, ancora una settimana dopo, i comportamenti pericolosi delle persone sono stati fomentati da sconsiderati inviti alla normalità da parte della politica e delle istituzioni.

Il 27 febbraio infatti il Sindaco di Milano Beppe Sala, ad un mese dal dichiarato stato di emergenza nazionale e con la Lombardia che stava per trasformarsi nella provincia dell’Hubei per diffusione del virus, lanciava la campagna Milano non si ferma sostenuta anche dal suo segretario di partito Nicola Zingaretti che per l’occasione ha consumato un aperitivo sui Navigli a Milano risultando poi positivo al Covid-19.

 

Ancora il 5 Marso Beppe Sala registrava un video in inglese per dire al mondo intero che sostanzialmente quelle sul virus nel nord Italia erano anche un po’ fake news, ed invitava i visitatori a tornare a Milano.

In quarantena a Roma Zingaretti l’8 Marzo ha firmato un’ordinanza in cui prendeva provvedimenti per chi dal nord Italia aveva raggiunto la regione Lazio nei precedenti 14 giorni, quindi nel provvedimento ricadeva anche il suo aperitivo a Milano.

Nel frattempo avevamo bloccato solo i voli diretti da/per la Cina ma non abbiamo fatto alcun controllo sulle migliaia di rientri dal Capodanno Cinese mediate voli con scalo (con il passaporto elettronico sarebbe stato relativamente facile, invece adesso rincorriamo il virus). Per questi rientri (tra cui anche italiani che erano in Cina per lavoro o per turismo) il nostro formidabile stato di emergenza aveva previsto una quarantena volontaria benedetta inizialmente anche dal prof. Burioni (“non c’è motivo per dubitare che la facciano” diceva il famoso virologo social).

Quest’ultimo poi, che per l’emergenza in corso non ha alcun incarico tecnico-scientifico ma imperversa su tutti i media, è passato nelle fila dei catastrofisti finendo per lanciare allarmi di movida a Roma sulla base di una foto degli anni ’70 scattata a Ponte Milvio. Tra i grandi accademici si è distinto anche il prof. Grassi che da Milano pontifica su ogni cosa e per il quale inizialmente “la malattia da noi difficilmente si diffonderà”. Adesso è finito a fare l’invidioso per il fatto che una sperimentazione farmacologica per il Covid-19 è in corso a Napoli.

Il talk show normativo

L’origine delle restrizioni in corso è il Decreto Legge del 23 febbraio 2020 che prevede la possibilità di porre forti limitazioni “nei comuni e nelle aree in cui risulta positiva almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione”. Il 23 febbraio cioè, con tutta la scienza invocata e ad un mese dalla dichiarazione dello Stato di Emergenza Nazionale del 31 gennaio, il Governo credeva di poter tracciare la catena di trasmissione di un virus che per i più è asintomatico e che anche per chi finisce in terapia intensiva l’incubazione è stata asintomatica.

Si può comprendere (fino ad un certo punto) che i media ci abbiano intrattenuto per giorni in attesa di conoscere il fantomatico paziente zero di un’epidemia virulenta quando multi-focolaio (i rientri di cui sopra sono avvenuti in tutto il nord Italia). Ma non è accettabile un Decreto Legge che poggia sull’idea che si possa tracciare la catena di trasmissione del Covid-19. E’ l’anti-scienza tipica dello scientismo di questi anni.

Sempre il 23 febbraio un decreto del Presidente del Consiglio, un dpcm non un decreto legge, ha istituito i primi 11 comuni zona rossa (tra cui Codogno). Il Decreto Legge del 23 febbraio stabilisce infatti la possibilità di istituire zone rosse in cui attuare misure straordinarie ma prevede che queste zone, comuni o aree a carattere locale, siano individuate mediante dpcm (ed un primo dpcm per 11 comuni è stato fatto nello stesso giorno).

Il doppio salto territoriale c’è stato con il dpcm di sabato 8 marzo che decretava come zona rossa la Lombardia e 14 province del nord, e poi subito il giorno seguente col dpcm di domenica 9 marzo che trasformava tutta l’Italia in zona rossa. Ci sarebbe da evidenziare la sproporzione tra ben due settimane per passare da un elenco di comuni ad un’area regionale e poi sole 24 ore per passare a tutto il paese, ma ancor più importante è ragionare sul profilo di legittimità di una siffatta estensione.

Il professore di diritto penale Gian Luigi Gatta è tra quelli che hanno espresso dubbi sulla tenuta costituzionale di questi provvedimenti. In sintesi la sua analisi parte dal fatto che una forte limitazione delle libertà deve essere decretata da una Legge o da un Decreto Legge, quindi con passaggio parlamentare, e non mediante decreti della Presidenza del Consiglio (dpcm). La soluzione di un decreto legge (23 febbraio) che parla di limitazioni locali da stabilire tramite dpcm (a cui si demanda sostanzialmente la redazione di un elenco anche variabile di zone) inizia a perdere la sua coerenza con la dimensione regionale e diventa poi molto discutibile quando per aree locali si intende la totalità degli ottomila comuni d’Italia.

Secondo questo ragionamento, per il penalista Gatta, il reato penale previsto per chi contravviene a queste limitazioni (art. 650 c.p.) diverrebbe nullo almeno per le zone del dpcm del 9 marzo, ma forse anche per quelle del dpcm dell’8 marzo. Stesso discorso per la chiusura delle attività commerciali, nelle stesse zone, a seguito del dpcm dell’11 marzo. Figuriamoci adesso per la chiusura delle attività produttive.

Il Governo però a mezzo social ha convinto la maggior parte degli italiani che la differenza tra chi è in quarantena e chi non lo è sia che quest’ultimi possono andare a fare la spesa con l’autocertificazione (ma nei decreti c’è scritto ben altro). Quindi, anche con dichiarazioni irresponsabili da parte di rappresentanti istituzionali, si vede nei runner degli untori irresponsabili ed il popolo invoca il metodo cinese. Anche il Sindaco di Milano ha avuto il coraggio di puntare il dito contro i runner ma per lui non ci sono più parole.

Non è che esiste il diritto alla corsa ma, non essendo stato reintrodotto il confino (domicilio coatto), a piedi ci si può sempre muovere e qualcuno lo fa di corsa. Quasi nessuno però si è accorto che gli unici spostamenti e le uniche aggregazioni che ancora consentono una reale rete di trasmissione sono quelli dovuti al prosieguo delle attività produttive, una possibilità non contemplata nel metodo cinese ed ottenuta la quale Confindustria si è anche vantata. Imbarazzante per il paese è stato il modo con cui il Premier ha recepito la richiesta di Confindustria di rimandare il dpcm con cui vengono fermate queste attività. Lo stop era stato annunciato sabato 21 marzo come a decorrere da lunedì 23 quindi entro domenica 22 era necessario un decreto. Il decreto del 22 marzo c’è stato ma reca in allegato un lunghissimo elenco di attività che non devono fermarsi, dichiara che questo elenco è variabile, prevede eccezioni che lasciano molte porte aperte, e soprattutto stabilisce che chi deve chiudere i battenti può restare aperto fino al 25 marzo. In pratica la decorrenza è spostata dal 23 al 26 marzo e nel mentre l’elenco si può modificare. E’ il decreto di Confindustria.

Il pomeriggio di sabato 21 Marzo in Lombardia il Presidente della Regione Fontana aveva comunque firmato una insipida ordinanza sbandierata come necessaria perché i provvedimenti del Governo erano da lui ritenuti blandi, ma in serata Fontana è stato superato a destra e a sinistra dalla febbre del sabato sera del nostro Tony Manero a Palazzo Chigi, ed i relativi provvedimenti sono anche in conflitto su alcune attività come gli studi professionali. Che paese fantastico!

C’è stato poi anche l’allarme lanciato dal procuratore di Genova per la valanga di denunce che stanno pervenendo quando invece sarà “difficile punire le autocertificazioni false” per l’infondatezza dei reati previsti sul nuovo modello di autocertificazione predisposto dal Viminale il 17 marzo (art. 483 e 495 del c.p.). Il tutto mentre i tribunali sono stati i primi ad andare in quarantena, e direttamente fino al 31 maggio, facendo del Ministro della Giustizia Bonafede una sorta di Schettino della pandemia in corso e lasciando solo Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte a guidare il paese dal cloud.

Nessun commento

Lascia un commento sull'articolo