Durante le crisi, come questa che stiamo vivendo, l’asciugarsi della pletora dei gesti umani fa venire fuori l’essenza delle cose, rendendole più chiare, come quando le acque si ritirano scoprendo ciò che il tempo ha sedimentato sul fondale. Questo è quello che sta succedendo durante questo periodo drammatico nei territori palestinesi occupati. Gli israeliani stanno soffiando sul fuoco dell’epidemia.
La denuncia arriva da una lettera pubblicata in questi giorni sul Bristish Medical Journal a nome di diversi professori universitari italiani ed europei.
Ne riportiamo il contenuto:
“L’articolo 56 della Quarta Convenzione di Ginevra specifica che una potenza occupante ha il dovere di garantire “l’adozione e l’applicazione delle misure profilattiche e preventive necessarie per combattere la diffusione di malattie contagiose ed epidemie”. Gli strumenti disponibili per affrontare una pandemia sono la prevenzione del contagio; identificazione dei contatti; test diagnostici; supporto sanitario.
Israele smetta di ostacolare Gaza nella lotta al Covid19
Numerose relazioni dell’OMS e delle agenzie delle Nazioni Unite hanno indicato che a Gaza i servizi sanitari sono cronicamente tesi e sull’orlo del collasso (3). Ciò è scaturito direttamente dal blocco che Israele ha mantenuto intorno a Gaza dal 2006 e dalle ripetute emergenze sanitarie derivanti da assalti a tutta la popolazione da parte dell’esercito israeliano (4), tra cui la mutilazione di massa di civili disarmati dal 2018 che protestavano contro l’isolamento di Gaza (5 , 6). La fornitura di energia elettrica è a singhiozzo, con ripercussioni sui servizi sanitari e igienico-sanitari, vi sono carenze croniche di attrezzature e medicinali medici e i pazienti e il personale medico non può muoversi liberamente. Gli abitanti di Gaza hanno avuto motivo di ricordare ciò che l’allora ministro degli interni di Israele, Eli Yishai, ha dichiarato nel 2012: “Riporteremo Gaza nel Medioevo
Numero molto limitato di letti di terapia intensiva
E ora la pandemia di Covid 19. Gaza non è in grado di identificare e non ha i mezzi per prendersi cura di un numero ancora sconosciuto di pazienti infetti, non dispone di dispositivi di protezione e test e ha un numero molto limitato di letti di terapia intensiva. In effetti le autorità sanitarie di Gaza hanno adottato precauzioni all’inizio di marzo, isolando per 21 giorni chiunque ritorni a Gaza. Fino ad oggi non sono emersi casi comunitari a Gaza, ma dal 25 aprile ci sono stati 17 casi di infezione al di fuori di Gaza.
Tassi di disoccupazione oltre il 50%
Più di 2000 persone sono attualmente in quarantena, ma è stato possibile testarne solo una parte. È stata preparata una task force di 300 persone, che a sua volta ha bisogno di equipaggiamento protettivo e di ulteriori test, e 1000 alloggi a scopo di quarantena (8). Le scuole, le moschee, le sale per matrimoni e le riunioni pubbliche sono state sospese, con inevitabili ulteriore stress per l’economia locale e per i tassi di disoccupazione già oltre il 50% (la disoccupazione giovanile è superiore al 70%).
Solo 3.000 test forniti a Gaza
Il consiglio dell’OMS è di “testare, testare e testare”, ma dalla prima rilevazione di rimpatriati infetti Covid dal Pakistan un mese fa, esso è stato in grado di fornire a Gaza meno di 3000 test. Nessun altro strumento per i test o per l’assistenza medica dei malati è stato consegnato da Israele: questa settimana sono stati prelevati circa 50 campioni da Gaza, ma poi i test sono stati sospesi (9). Il continuo blocco di Gaza impedisce / ritarda la consegna di altre fonti di aiuto dall’estero in un momento in cui gli ospedali dovrebbero prepararsi riguardo alla disponibilità di ossigeno, ai letti di terapia intensiva e ai ventilatori. Gaza ha solo 65 ventilatori in uso o in cattive condizioni e ne abbisogna urgentemente di almeno altri 150 (10). Israele non sta assolvendo il proprio dovere di potere occupante, l’infezione anche di poche persone nella comunità sarebbe un disastro in un luogo con una delle più alte densità di popolazione al mondo.
I malati lasciati in strada
La mancanza di strutture sanitarie è meno estrema in Cisgiordania e Gerusalemme est, ma comunque il sostegno del governo israeliano agli sforzi dei palestinesi per contenere l’infezione è molto discutibile. Il Ministero della salute palestinese ha dichiarato la limitazione dei movimenti in Cisgiordania a Marzo. I primi 400 casi sono stati registrati a Betlemme; migliaia di lavoratori palestinesi in Israele sono stati rimpatriati in Cisgiordania senza raccomandazioni e senza essere testati, molti di loro sono risultati positivi al COVID19; alcuni palestinesi malati sono stati addirittura lasciati sulla strada (11); le incursioni militari, non protette, nelle case dei palestinesi sono aumentate e come pure sono aumentate le detenzioni (oltre 100 solo a marzo); anche i coloni, anch’essi in quarantena per il covidi19, hanno aumentato gli attacchi a danno dei palestinesi, con l’obiettivo dichiarato di diffondere la malattia tramite sputi, non sono stati contenuti dalla polizia israeliana (12).
Dal 7 Aprile attesa risposta del governo israeliano
La richiesta di un piano Covid19 da parte delle organizzazioni per i diritti umani (13) attende la risposta del governo israeliano dal 7 aprile. Le azioni israeliane aggravano le difficoltà nel contenere la diffusione dell’infezione nelle comunità palestinesi di Gerusalemme Est le quali sono sotto il diretto controllo di Israele: non sono state diffuse informative per la prevenzione dell’infezione in lingua araba, le cliniche dell’autorità palestinese dedicate a isolare e curare le persone infette sono state chiuse e sono stati vietati i test diagnostici; la consegna di kit protettivi è stata ostacolata.
La situazione nelle carceri
A cinquemila prigionieri palestinesi, 194 bambini, è stata negata una quantità sufficiente di acqua e presidi sanitari e sono state negate le visite di familiari ed avvocati. Per motivi di sicurezza sanitaria, Israele ha rilasciato un buon numero di prigionieri ebrei, ma si rifiuta di farlo anche per i bambini, i malati, quelli senza accusa, se sono palestinesi; sono già stati segnalati casi di guardie carcerarie positive al virus e prigionieri malati.
Questi fatti suggeriscono che Israele ha finora adottato una linea politica atta a non aiutare gli sforzi dei palestinesi ad affrontare la minaccia del Covid19, eppure il suo controllo su ogni aspetto della vita palestinese continua come prima.
No alle restrizioni sanitarie come strumento politico
Come operatori sanitari chiediamo alla comunità internazionale, comprese le Nazioni Unite e l’UE, di affrontare urgentemente questa situazione. Spinta dalla necessità di un’azione rapida, la comunità internazionale, in qualunque forma possa manifestarsi in questo momento di emergenza, ha il dovere e la legittimità di agire con un piano di lungo raggio orientato a impedire l’uso delle restrizioni sanitarie come strumento politico. La sospensione del blocco marittimo consentirebbe agli aiuti di raggiungere Gaza direttamente via mare. La pressione politica e la discussione sulle responsabilità in caso di negazione dell’aiuto, possono fornire gli strumenti necessari per affrontare la pandemia nei territori palestinesi occupati e all’interno dei confini di Israele del 1948, nonché portare al rilascio rapido di prigionieri.”
Insomma gli israeliani stanno soffiando sul fuoco dell’epidemia, eppure fino ad oggi abbiamo ne abbiamo pensate molte sui sionisti, ma non di certo che fossero anche stupidi.
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