E’ impressionante il numero di musulmani che, in vista della riapertura dei luoghi di culto di tutte le religioni, si è mostrato contrario alla riapertura delle sole moschee, senza alcuna eccezione. Tutti potranno tornare a pregare in congregazione ma per questa categoria di musulmani i fedeli della religione islamica non devono farlo. Cosa si nasconde dietro questa posizione?
Nei due mesi della Fase 1 in cui è stata gestita la pandemia del covid-19 in Italia abbiamo dato il peggio di noi stessi puntando sempre il dito contro qualcuno: governo contro regioni, medici contro medici, il virologo-showman Burioni contro non si capisce chi, e tutti contro i runner. Nella Fase 2 si sono aggiunti i musulmani contro le moschee.
Anche nella Chiesa Cattolica c’è stato disaccordo sulla richiesta di poter ritornare a messa. Il Papa si è espresso diversamente dalla Comunità Episcopale Italiana che invece si era messa sul piede di guerra quando il Governo ha annunciato l’avvio della Fase2 in cui non era previsto il ritorno alle funzioni religiose. Se nel caso della Chiesa la spaccatura è stata squisitamente politica, con il Papa che ha affermato la necessità per gli italiani che il Governo resti in carica e con la CEI che ha giocato nel ruolo delle regioni di centro-destra in attrito col Governo, nella comunità islamica è avvenuto qualcosa di più, qualcosa di diverso.
L’eccezionalismo islamico
Facciamo una premessa: i musulmani sono diversi. Qualsiasi accezione si voglia dare alla diversità i musulmani sono visti sempre come diversi. Vivere da musulmano in un paese monoculturale e monoconfessionale come l’Italia può essere problematico, a meno che questa diversità non si mantenga nei limiti della nota di colore da sbiancare all’occorrenza.
Quando questa diversità non è celabile la cosa può costituire un problema a volte anche serio. Vuoi per i tratti somatici che saltano all’occhio, o per un nome strano che salta all’orecchio, oppure per l’abbigliamento (come nel caso del velo delle donne), gli sguardi esterni possono risultare insostenibili, anche quando si tratta di sguardi filtrati dalla lente dell’apparente benevolenza (un esempio sono certe donne di sinistra quando guardano le donne col velo).
A queste specificità che il musulmano vive in quanto “straniero” si aggiunge l’intolleranza più o meno marcata nei confronti della religione islamica, finanche a livello istituzionale. Se la narrazione islamofobica sulla pericolosità insita nei musulmani che vivono in Occidente avesse qualche fondamento ci sarebbero tutti gli ingredienti per una guerra sociale.
Invece il risultato è spesso l’assimilazione di questa narrazione da parte degli stessi musulmani al punto che si riscontrano forme di islamofobia latente all’interno della stessa comunità islamica, soprattutto tra gli italiani convertiti e tra i giovani di seconda generazione. Nei primi questa latenza può sfociare in un’aberrante intolleranza verso i musulmani di origine straniera, nei secondi in un acceso conflitto generazionale.
Questo vero e proprio disagio però si manifesta per lo più nella richiesta endogena di riforme religiose “liberiste” e nella goffa competizione a chi si dissocia maggiormente dagli attentati terroristici. Negli ultimi anni si è consolidata anche la figura del musulmano che gioca all’antiterrorismo impegnandosi in non meglio definiti progetti di “deradicalizzazione” che hanno la stessa concretezza della caccia ai fantasmi.
Il bisogno di essere accettati e la pandemia
Tutto quanto descritto in precedenza si può riassumere nel grande bisogno di essere accettati, una tensione infantile vecchia quanto il genere umano ma che laddove si protrae nel tempo assume tratti patologici.
Sulla riapertura dei luoghi di culto la pandemia in corso ha avuto su questi musulmani l’effetto che l’utilizzo delle sostanze stupefacenti può avere su alcuni soggetti predisposti alla psicosi, ha fatto cioè esplodere quella sorta di islamofobia latente sopra descritta. Parliamo delle categorie (convertiti e seconde generazioni) che già di norma frequentano poco i luoghi di culto islamici. Per i più svariati motivi, a torto oppure a ragione, ma il dato di fatto è che gli italiani si mischiano poco con gli stranieri (se non per matrimonio) ed i giovani di origine straniera spesso si allontanano da ciò che sembra ricondurli a questa loro origine.
Per i luoghi di culto dei musulmani (e di tutte le minoranze senza Intesa) c’è da decenni un problema di vuoto normativo che però poco interessa alla “borghesia” islamica dei convertiti e delle seconde generazioni. Il sottoscritto non ha conosciuto un solo musulmano, tra i tanti laureati anche in giurisprudenza, che avesse fatto del diritto al culto il proprio oggetto di studio o la propria battaglia politica (eppure di nomi stranieri ad ogni tornata elettorale se ne vedono, nei bassifondi delle liste).
Sempre il sottoscritto ha invece rilevato nella suddetta borghesia un atteggiamento accusatorio nei confronti dei centri islamici che incappano nella morsa persecutrice delle amministrazioni locali e della Polizia Municipale, complice l’annoso vuoto normativo, dovendo intraprendere percorsi giudiziari che ci mettono anni a stabilire invece che questi centri islamici sono la parte lesa.
La vicenda dei protocolli per pregare
I cattolici che volevano tornare a messa hanno vinto il loro braccio di ferro col Governo che mediante la sua maggioranza parlamentare è stato costretto a bocciare gli emendamenti del centro-destra sulla possibilità di poter andare a messa, per non darla vinta alle opposizioni, per poi presentare un suo emendamento che consente le funzioni religiose rispettando specifici protocolli.
Nello stesso giorno in cui veniva approvato questo emendamento, che ancora non è legge, il comitato tecnico-scientifico della Protezione Civile ha approvato il protocollo della Chiesa Cattolica sottoscritto dal Governo il giorno seguente (questa sovrapposizione è testimoniata nel testo del protocollo). Come naturale conseguenza si è avuta la necessità di fare in modo che tutte le confessioni potessero tornare alle proprie celebrazioni liturgiche, ma i giorni a disposizione sono pochi per fare tanti protocolli diversi (come previsto dall’emendamento che ancora non è in vigore). E’ stato allora predisposto un protocollo generico che vale per tutti, e che deve essere ancora reso pubblico.
Il fondamentalismo anti-moschee
Non appena si è saputo di questa possibilità nella comunità islamica è scattata come una molla e, senza considerare il fatto che siamo in una fase dove tutto sta riaprendo, sui social network c’è stato un rincorrersi di pronunciamenti da parte di musulmani a favore del tenere chiuse le sole moschee.
Si tratta tendenzialmente di “sentenze” categoriche su tutta la categoria in questione (circa 1200 i centri islamici in Italia), senza alcuna classificazione delle varie casistiche. E senza dare alcun peso al fatto che i luoghi di culto di tutte le confessioni potranno riaprire i battenti dal 18 maggio. Eppure non si tratta di giudicare iniziative intraprese dall’associazionismo islamico nei confronti del Governo, che ha invece preso la sua “decisione” dopo le pressioni della Chiesa Cattolica predisponendo anche un protocollo che vale per tuti (Ebrei, Valdesi, Buddisti… e Musulmani!). Forse troppo forte è stata la paura del giornalista di turno che si divertirà a riprendere musulmani a distanza ravvicinata che magari stanno defluendo dopo una preghiera ordinata che invece non sarà fotografata.
L’approccio sereno che è mancato
Sappiamo quanto le forze dell’ordine siano lige al dovere nei controlli sull’osservanza dei DPCM emanati per il contenimento della diffusione del Covid-19. A questo si aggiunge la consueta pressione asfissiante nei confronti delle moschee. Ragion per cui non c’è da temere che mancherà chi vigilerà sull’osservanza del protocollo. C’è da tenere presente poi che non vi sarà alcun obbligo a riaprire.
Ci sarà chi sceglierà di non farlo perché non ritiene appropriato “innovare” la preghiera mantenendo le distanze prescritte, o chi semplicemente non se la sentirà di gestire le turnazioni necessarie per l’osservanza del protocollo (un po’ come accade per gli esercizi commerciali che potrebbero riaprire in questa Fase 2 ma preferiscono rimanere chiusi).
Una prescrizione “ingombrante” è la distanza interpersonale che dalle indiscrezioni sembra debba essere di un metro e mezzo. Questo significa che il numero di persone che può entrare in una sala di preghiera di 100 mq è pari a 44 fedeli (100 : 1,5 x 1,5). In un periodo come il Ramadan, dove di sera c’è una certa affluenza, per far pregare le circa 200 persone che di norma potrebbero entrare in 100 mq ci vorrebbero 5 turni di preghiera.
Chi di dovere farà le proprie valutazioni sulle riaperture, e ci sarà inevitabilmente chi farà delle valutazioni sbagliate che potrebbero anche portare a delle sanzioni. Ma questo vale per tutte le confessioni e per ogni categoria sottoposta a restrizioni, cioè vale per tutti. L’eccezionalismo islamico è l’approccio dei detrattori dell’Islam e non si capisce perché debba essere l’approccio di taluni musulmani.
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