Il 20 novembre del 2018, Silvia Romano, una giovane cooperante italiana in Kenya, viene rapita. Silvia Romano è una giovane donna e, nel nostro mondo, dove spesso i figli restano a casa coi genitori fin oltre i trent’anni, è ancora una ragazza, e a lei, come per fortuna spesso succede ai giovani, gli ideali e il desiderio di fare qualcosa di buono, di essere utili al prossimo, hanno scaldato e scaldano il cuore. Come i Salvini e le Meloni ci dicono e ci ripetono incessantemente, gli africani bisogna aiutarli a casa loro. Silvia li ha presi in parola ed è andata in Africa per aiutare gli africani a casa loro.
Sicuramente c’è nella sua storia una certa dose di spericolatezza, se vogliamo di imprudenza: spericolatezza e imprudenza che hanno sempre accompagnato ogni impresa umana, soprattutto le più grandi, le più nobili. Tanto per fare un esempio fra i molti possibili, se Cristoforo Colombo non fosse stato un po’ spericolato, mettendo a rischio oltre alla sua vita e quella dei suoi marinai, anche le caravelle su cui navigava, forse l’America, ancora oggi, sarebbe da scoprire.
Odiata perchè non le bastava una vita normale
Silvia era andata in Kenya spinta da entusiasmo e voglia di essere utile, non aveva pensato di rimanere tranquilla a Milano come la stragrande maggioranza dei suoi coetanei fa; non aveva pensato di intrupparsi, di essere una formichina nella folla che quotidianamente prende d’assalto i treni della metro; non le bastava una vita normale, una vita come quella di tutti.
Ed eccola, cosa imperdonabile, in quel villaggio africano, lei così bianca, vestita come una donna di colore a “farsi i selfie con i negretti”. Proprio così qualcuno ha potuto scrivere: che lei in Africa c’è andata “per farsi i selfie con i negretti”.
Il rapimento
Poi, come ormai tutti sanno, quella giovane imprudente è stata rapita; che fosse un commando di al-Shabaab lo si è capito dopo, al momento si poteva anche pensare che a compiere quell’operazione potesse essere stata solo una banda di volgari delinquenti col miraggio di un lauto riscatto.
Nessuno ne parlo più per un anno e mezzo
La notizia del rapimento fu data, e per qualche giorno i tg ne parlarono, e in seguito, soprattutto perché i media i fatti li divorano e li digeriscono di solito in un lampo, e poi passano ad altro, ma forse anche per non turbare le ricerche e eventuali trattative con i suoi rapitori, per un interminabile anno e mezzo nessuno ne parlò più, né i tg né la stampa, e gli italiani, come normale che fosse, pensarono ad altro.
Silvia Romano è libera
Hanno pensato ad altro solo fino a qualche giorno fa, quando finalmente la notizia della liberazione della giovane Silvia Romano è stata data con grande risalto, interrompendo dopo mesi, ahimè temiamo solo per poco, il ferreo monopolio che il soffocante argomento coronavirus e annessi ha posto sulle notizie che i tg e i giornali riversano quotidianamente senza tregua sull’Italia tutta.
Le indiscrezioni sulla sua conversione all’Islam
All’inizio, -e come poteva essere altrimenti? – la reazione alla notizia è stata di soddisfazione e di entusiasmo generalizzati. Dopo diciotto mesi una giovane italiana rapita può tornare a casa, restituita alla sua famiglia, ai suoi affetti. Passato questo momento, ci sono state le prime indiscrezioni sulla sua conversione all’Islam, indiscrezioni seguite poco dopo dalla certezza di questa conversione e poi, finalmente, abbiamo visto la ragazza atterrare a Ciampino a bordo di un Falcon dei servizi segreti italiani, accolta poi, per la gioia di giornalisti e operatori televisivi, dal presidente del consiglio Giuseppe Conte e dal ministro degli esteri Luigi Di Maio. Tutto bene? Quasi.
Il vestito islamico indossato da Silvia
In realtà nello spettacolo preparato principalmente, un po’ come era avvenuto, mutatis mutandis, in modo piuttosto disdicevole per l’arrivo di Cesare Battisti, l’ex terrorista divenuto scrittore, per esibire un indubbio successo del governo italiano, il personaggio principale, cioè Silvia Romano ha introdotto un elemento inopinato, inatteso: si è presentata avvolta in un vestito islamico piuttosto vistoso, di un verde pallido, che poi qualcuno dirà, essere tipico delle donne degli Shabaab.
La cosa, ammesso e non concesso che sia vera, non dovrebbe però suscitare stupore, visto che la povera ragazza è stata loro ospite per 18 mesi, e non ha forse avuto il tempo di passare da una boutique in aeroporto per trovare qualcosa di meglio da indossare.
I leoni da tastiera
E qui si è scatenata la canea invereconda di cui ha parlato Davide Piccardo nel suo articolo apparso su La Luce. Gli appartenenti all’eletta schiera dei Feltri, dei Sallusti, degli Sgarbi, dei Belpietro, hanno trovato legioni di epigoni nei cosiddetti social, dove l’italiota medio, quasi sempre con simpatie di destra, ma non necessariamente, ha potuto dare sfogo al più classico dei suoi repertori, con insulti beceri e idioti dettati da un malessere indefinito e senza nome, da una voglia animalesca di trovare nell’insulto un appiglio alla sua necessità di uscire dal nulla della sua condizione, nascondendosi dietro a una tastiera o a un telefonino.
Cosa indigna queste persone?
Cosa turba, più che turba; cosa indigna queste persone? Mah, sostanzialmente il fatto che questa giovane sia andata in Africa invece che restare buona a Milano, che si sia fatta rapire, perché nella loro testa, Silvia si è fatta rapire, magari già d’accordo col marito shabaab per poi spartirsi il malloppo del riscatto; che sia quindi costata allo Stato italiano, si dice ma chissà poi se è vero, ben 4 milioni, e che poi sia tornata convertita all’Islam e quel che è peggio, che questa conversione, invece che tenerla gelosamente per sé, l’abbia esibita di fronte all’universo mondo presentandosi coperta da un abito tipicamente e vistosamente islamico.
Quanto è costato l’eventuale riscatto ad ogni italiano?
Che l’odiatore medio, il leone da tastiera sia particolarmente sensibile ai soldi pubblici spesi per salvar qualcuno è cosa nota. Per costoro anche chi si perde in montagna dovrebbe essere lasciato al suo destino, anche chi, magari perché ha bevuto troppo e ha avuto un incidente stradale dovrebbe essere lasciato morire, per non spendere i “soldi di tutti”; vagli a spiegare, il governo italiano però nega, che il riscatto eventualmente pagato per la giovane volontaria è costato ad ogni italiano la favolosa somma di 0,06 centesimi di euro.
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