Le 6 navi della Flottila, capitanate dalla Mavi Marmara, trasportavano 700 passeggeri di 40 nazionalità diverse, tra cui 5 parlamentari e 10mila tonnellate di aiuti umanitari, tra cui per la popolazione di Gaza. Nella notte tra 30 e il 31 maggio la marina israeliana assaltò le navi in acque internazionali uccidendo 9 persone e ferendone alcune decine.
“… nel cielo volteggiano rapaci metallici dal suono assordante.
Sulla superficie dell’acqua corrono come topi velocissime imbarcazioni terrestri… urla extraterrestri provengono da esseri mascherati e vestiti di scuro, a bordo di Zodiac, barconi d’assalto…sono pronti alla guerra contro di noi, ma noi non siano pronti alla guerra contro di loro…”
Così Angela Lano che era a bordo della Sfendoni-8000, una delle navi della Freedom Flotilla, racconta nel suo “Verso Gaza” (EMI, Bologna 2010) gli attimi che precedevano l’arrenbaggio degli incursori della Marina israeliana che costò la vita a 9 cittadini turchi.
Le 6 navi della Flotilla, capitanate dalla Mavi Marmara, trasportavano 700 passeggeri di 40 nazionalità diverse, tra cui 5 parlamentari (di Irlanda, Svezia, Norvegia e Bulgaria) e 10mila tonnellate di aiuti umanitari, tra cui cemento, medicine, generi alimentari, e altri beni fondamentali per la popolazione di Gaza. C’erano anche 500 sedie a rotelle elettriche e case prefabbricate.
Oltre al fatto umanitario era preminente quello politico, è cioè forzare il blocco delle coste di Gaza che Israele mantiene da anni in spregio al diritto internazionale e alle mozioni di condanna delle Nazioni Unite.
Il governo sionista non aveva fatto mistero delle sue intenzioni: “Li attaccheremo – avevano minacciato politici e militari – Useremo tutta la nostra forza” e proposto di scortare la Flotilla fino a porto di Ashkelon dove avrebbero deciso se e cosa avrebbe potuto proseguire per strada verso Gaza.
Proposta irricevibile, da parte degli attivisti filo palestinesi e rigettata da tutte le numerose sigle che avevano aderito alla missione, tra cui: Free Gaza Movement (fg). Il gruppo ha più di 70 testimonial, tra cui Desmond Tutu e Noam Chomsky; l’European Campaign to end the siege of Gaza (Ecesg), di cui fanno parte alcune realtà italiane come Abspp Onlus, il Comitato Gaza Vivrà di Milano, InfoPal, e The Association for Aid to the Palestinian People. E ancora, volontari e operatori di Insani Yardim vakfi (ihh), Perdana global peace organisation , Ship to Gaza (Grecia), e Ship to Gaza (Svezia), e International committee to lift the siege on Gaza.
Nella notte tra 30 e il 31 maggio la marina israeliana circondò la flotilla intimandogli l’alt. Da bordo si risponde che le navi si trovano in acque internazionali e di essere dirette verso Gaza con un carico di aiuti umanitari.
Poche ore dopo l’arrembaggio, le bombe sonore, i lacrimogeni e le raffiche di mitra, i morti e i feriti, soprattutto contro l’ammiraglia Mavi Marmara.
Nove morti, otto di loro erano cittadini turchi: Cengiz Alquyz (42 anni), Ibrahim Bilgen (60), Ali Haydar Bengie (39), Cegdet Kiliclar (38), Cengiz Songur (47), Çetin Topçuoglu (54), Sahri Yaldiz e Necdet Yildirim (32). Uno, Furkan Dogan (19), era un cittadino statunitense di origine turca.
Le autopsie eseguite in Turchia hanno dimostrato che otto delle nove persone uccise sono morte a seguito delle ferite di proiettili 9 mm, colpite da distanza ravvicinata. Cinque sono stati colpiti alla testa e almeno quattro sono stati colpiti da entrambe le parti del corpo anteriori e posteriori.
Secondo la relazione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (UNHRC), sei di loro sono state vittime di “esecuzioni sommarie”, di cui due, dopo che erano stati feriti gravemente.
Tutti i passeggeri e membri dell’equipaggio furono tratti in arresto , condotti al porto di Ashdod, schedati, intimiditi chiedendo loro di firmare una dichiarazione di colpevolezza per “aver tentato di entrare in Israele clandestinamente”, in cambio promettevano la restituzione dei beni personali sequestrati e l’espulsione immediata. Nessuno firma e tutti finirono in galera. Ma solo per poco, il 3 giugno tutti vengono espulsi e fatti salire a bordo di tre aerei della Turkish Airlines inviati su ordine personale di Erdogan.
Da ricordare che in occasione di questi accadimenti avvenne la prima clamorosa rottura tra Fethullah Gulen, che fino ad allora lo aveva appoggiato, e il presidente Erdogan. Gulen lo accusò di essere responsabile del sangue turco versato sulla Mavi Marmara, da canto suo il presidente lo trattò da traditore e rinnegato.
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