Molto si è scritto sull’importanza della parola del medico. Il suo valore, il suo potere magico quasi taumaturgico. Non è un caso che in tempi remoti la funzione del medico e quella del sacerdote non erano affatto distinte.
Significativi i racconti che ci sono pervenuti di ciò che avveniva nei templi dedicati a Esculapio al tempo degli antichi greci, dove sembra che la guarigione fosse quasi sempre preannunciata dal sogno premonitore dei sofferenti in attesa di cura, i quali dormivano all’interno del recinto del tempio. Ancora oggi vestigia di questo tipo di approccio alla malattia si trovano ad esempio in quello che rimane dello sciamanesimo tibetano. Per inciso la Storia ci insegna che mai come adesso la medicina è divenuta una questione di superficie.
La parola nella relazione medico-paziente
A causa del rapporto particolare che si crea nella relazione medico-paziente, la parola del medico infatti ha facile accesso all’animo del suo interlocutore in cerca di cura, da qui il suo potere. Nella quasi totalità dei casi, il paziente di fronte al medico è un po’ come il figlio di fronte al padre, sollecito, pronto, indifeso, in ogni caso ne subisce il carisma, quanto meno per l’asimmetria della posizione.
Nella relazione medico-paziente si crea al contempo grande opportunità di cura e un grande rischio di danno. È esperienza comune come malattie prima asintomatiche si manifestino in tutta la loro veemenza sui tratti delle persone al momento della diagnosi, patologie quasi risvegliate da un sonno profondo dalla parola del medico imprudente o inconsapevole del proprio potere. Il tanto vituperato dottor Hamer ben spiega, in termini circostanziati, nella sua “Nuova medicina germanica”, l’effetto del trauma della diagnosi sulla malattia.
Altrettanto benefica può essere la medesima parola pronunciata dal medico saggio. Anche il prof. Aldo Carotenuto, in ambito psicologico, parlava della “sentenza che si autodetermina”, come una sorta condizionamento negativo inconscio che hanno gli avvertimenti degli ansiosi su coloro a cui tengono.
La parola del medico ieri ed oggi
La medicina moderna si illude di aver superato la parola come parte della cura, rendendo in tal modo la comunicazione pericolosa, per lo più nociva. A ciò si aggiunge la medicina difensiva, o in altre parole, la paura degli operatori sanitari di essere denunciati, cosa questa che persuade il medico che dire tutto al paziente sia suo dovere e che quindi sempre e comunque rappresenti la cosa più saggia da fare, a prescindere dalla capacità di ricezione di chi si ha di fronte.
Certi medici di una volta sapevano bene come fosse non necessario o addirittura nocivo appioppare una diagnosi, preferendo procedere con la terapia senza dare necessariamente un nome ai malesseri del malato.
Oggi sarebbe impensabile, il paziente pretende di sapere quello che ha, come se dovesse essere qualcun altro ad informarlo del proprio malessere al di fuori di se stesso, e la capacità del medico sembra potersi riassumere in quell’esercizio intellettuale che è la diagnosi piuttosto che nel successo terapeutico. I medici pensano di fare molto per i loro pazienti dando un nome alle loro malattie (cit. E Kant)
Dal punto di vista del medico
La parola è quel ponte tra pensiero ed azione, che mette in comunicazione la profondità degli individui coinvolti, ragione per cui mai può essere realmente mistificante. Con la parola si mostra inevitabilmente quello che si è. Il medico che intenda coltivare la propria parola non ha altra strada che arare il campo della propria umanità. Lo spessore umano non è solo proporzionale alla capacità di comprensione dell’altro, ma anche presupposto indispensabile per imparare a modulare la parola a seconda delle qualità di dialogo del proprio assistito.
Dal punto di vista del paziente
Per contro il paziente che va dal medico, dovrebbe imparare a distinguere la malaparola che affossa, dalla parola benefica che cura. Come fare? Il primo passo indispensabile è riappropriarsi della consapevolezza, oramai persa dai più, che la parola del medico fa parte della terapia, e quindi se da una parte occorre ricercarla, dall’altra meglio non lasciarsi toccare indiscriminatamente da tutto.
È ora insomma, che il paziente di fronte al medico inconsapevole del sottile potere sua parola, perda la propria innocenza e stia bene in guardia a non subire i danni di un parola mal posta a salvaguardia della propria incolumità.