L’attualità è densa di segni riconducibili a uno scontro sempre più presente tra l’impero del passato, gli Stati Uniti e quello del futuro, la Cina. Viene allora da domandarsi: una terza guerra mondiale resta semplice astrazione o diventa concreta possibilità?
Di certo si tratta di una definizione che da alcuni decenni viene impiegata per provare a mettere ordine nel caotico intreccio di frammenti conflittuali, sparsi nelle sfere sociali, economiche e politiche dell’intero globo.
Se con guerra mondiale si intende però un conflitto armato tra le principali potenze, volto alla sconfitta totale del nemico e alla sua resa definitiva, questa è destinata a restare una categoria concettuale. Colti da un improvviso ottimismo, si potrebbe pensare che allora viviamo in un tempo più morale, retto da governanti illuminati, restii a dichiararsi guerra, in difesa della salvaguardia del benessere collettivo.
Meglio andare oltre il bicchiere mezzo pieno per evitare di ubriacarsi d’ingenuità e vedere come la concezione della guerra sia stata stravolta nel momento in cui sono state concepite le armi nucleari. L’enorme potenziale distruttivo di tali armi rischia infatti di tramutare l’asservimento del nemico sconfitto nel suo annientamento. Cosa inaccettabile non solo per i potenziali perdenti, ma anche per i vincitori. Infatti che senso avrebbe vincere una guerra senza poter sottomettere gli sconfitti e neanche poterne occupare il territorio, ormai contaminato? È allora logico che le potenze in grado di possedere armi nucleari non possano combattersi apertamente, ma lo facciano strategicamente su terreni terzi, privi di potenziale atomico.
La società di massa
Finché sono state in vita le ideologie, il mondo si è disteso ordinatamente intorno all’ossimoro della guerra fredda. Ne è scaturita un’epoca di pace (molto relativa…) fondata sulla tensione dissuasiva delle armi di distruzione di massa, intorno alle quali è esplosa la società di massa; ovvero un sistema sociale capace di svilupparsi incondizionatamente, anche perché protetto dal suo potenziale annientamento.
Molti intellettuali per anni hanno paventato una possibile Apocalisse causata dalla bomba atomica, che invece ha avuto l’effetto opposto di lasciare il mondo perennemente in bilico. Il filo sospeso è stato teso e in equilibrio finché ad una delle estremità è rimasto in piedi il comunismo, poi l’equilibrio si è spostato al centro, dove destra e sinistra hanno finito con l’incontrarsi, inseguendo lo stesso fine.
Infatti le forze politiche di sinistra hanno visto una graduale convergenza, di matrice statunitense, verso il progressismo, ma col fine sottostante di conservare. Ovvero si procede in avanti, a colpi graduali di libertà e diritti concessi ai cittadini, con il fine implicito però di conservare lo status quo, di stampo economico, quindi capitalistico. Per questo motivo Sinistra e Destra si sono trovate sempre di più a braccetto, rivolte ad ammirare di fronte a loro lo stesso identico fine: il paradigma socio-economico del benessere. La sostanziale differenza risiede nei mezzi adoperati: l’una prova a farlo estendendo i diritti civili, mentre l’altra ogni tanto si volta indietro ripescando le poche briciole di valori ormai in via di disparizione.
Il paradosso storico è che oggi le concezioni davvero alternative al sistema, almeno nella forma, provengono dall’estrema destra e non più dall’altro versante, i cui ultimi ambigui alfieri sono stati Castro e Chavez.
Guardando in casa nostra il PD rappresenta alla perfezione questa parabola; perciò sarebbe più adeguato chiamarlo DP (Democrazia Progressista), essenza di una finta sinistra, orfana del comunismo e del socialismo. Risulta chiaramente allora che anche lo scontro politico si è ridotto a una finta guerra al nemico, perché in fondo consiste in un sistema di salubre alternanza, propedeutico al mantenimento dello status quo economico.
Questo è accaduto nell’impero, figlio della guerra fredda, plasmato e controllato dagli Stati Uniti, che però non è riuscito a ridurre ogni aspetto esistente in un suo tassello coloniale. Volgendo infatti lo sguardo al di là dell’orizzonte occidentale, un’altra potenza si è nel frattempo ingigantita, riuscendo nell’assurda impresa di unire la defunta ideologia comunista con un incalzante spirito capitalistico: la Cina.
Grazie a questo incesto culturale, unito al fattore demografico e ad un’etica molto diversa da quella occidentale, la Cina ha accresciuto in maniera esponenziale la sua influenza economica e di conseguenza politica sullo scenario globale.
Così la guerra da fredda si è man mano trasformata in invisibile, perché giocata sul filo delle informazioni, dei virus e della finanza.
Le armi non vengono più mostrate per dissuadere, ma si sono fatte discrete, nascoste ai sensi dell’opinione pubblica; per questo stesso motivo sono forse ancora più pericolose. In sintesi non è solo il potenziale atomico a raffreddare la possibilità di un conflitto aperto, ma anche la logica stessa del capitalismo, su cui, pur partendo da strade diverse, si sono incontrate sia Cina che Stati Uniti.
In un tale sistema economico, ogni singola parte per sopravvivere e illudersi di prosperare, ha bisogno che le altre parti restino in piedi, ragion per cui sarebbe sconveniente l’annientamento del nemico.
Infatti conquistare un pezzo del territorio altrui non avrebbe più alcun senso: non è lo spazio fisico da colonizzare, in cui abitano cittadini da sottomettere, ma lo spazio commerciale, abitato da consumatori da annettere. Che senso avrebbe allora attaccare materialmente il nemico, decimarlo e indebolirlo? Il nemico è in fondo la domanda del mio potenziale di offerta economica. Una guerra mondiale è perciò impossibile, anche se per assurdo potrebbe esser necessaria…