Sulla spinta del piano chiamato “accordo del secolo”, patrocinato dal presidente americano Donald Trump, sta procedendo il progetto di Netanhyahu di annessione di oltre il 30% del territorio palestinese della Cisgiordania.
Il piano di annessione della Palestina
“La Cisgiordania è l’area dove vive la grande maggioranza della popolazione palestinese e dunque nell’ipotesi «due Stati per due popoli» – al centro finora di tutte le ipotesi di accordi di pace tra israeliani e palestinesi – dovrebbe divenire il cuore dello Stato della Palestina. Solo che in questi cinquant’anni – sia negli anni del processo di pace sia negli anni del gelo tra le leadership israeliane e palestinese – gli insediamenti israeliani sono continuati a crescere.
Con il risultato che oggi circa 500 mila coloni israeliani vivono negli insediamenti, costituendo di fatto intorno al 15% della popolazione totale a fronte di un 85% di palestinesi.
Si tratta di due comunità che vivono rigidamente separate: ogni insediamento è infatti un’enclave recintata e protetta dall’esercito israeliano e spesso collegata alle città che si trovano al di là della Linea Verde (il confine internazionalmente riconosciuto di Israele, che è quello precedente alla guerra del 1967) dalle “by-pass road”, ossia delle strade speciali che solo le auto con targa israeliana possono percorrere”.
A questo piano, rifiutato nettamente da tutta la leadership palestinese, questa volta mettendo d’accordo tutti, da Abu Mazen a Hamas a tutte le altre formazioni, hanno opposto una condanna anche molti leader arabi. Ma le condanne al piano statunitense e israeliano non hanno portato ad alcuna azione concreta da parte dei paesi arabi, in buona parte a causa dei sempre maggiori legami economici e interessi geopolitici condivisi con Israele.
Un segno di questi legami e dell’influenza israeliana sui paesi del Golfo è il continuo blocco aereo, marittimo e terrestre contro il Qatar attuato dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti, che hanno accusato Doha di sostenere il terrorismo attraverso collegamenti con l’Iran, il principale rivale di Israele nella regione.
L’ostilità verso l’Iran
Proprio l’ostilità verso l’Iran è uno degli elementi di maggiore connessione tra il Regno saudita e lo Stato israeliano. Un ulteriore forte segnale delle ottime relazioni tra Israele e l’Arabia Saudita è che quest’ultima ha iniziato a consentire voli limitati per Israele sul suo territorio a partire dal 2018, mentre il commercio tra Israele e gli stati del Golfo è in continua crescita e viene ora stimato attorno ad 1 miliardo di dollari all’anno, oltre alla crescente intensa cooperazione dal punto di vista dell’intelligence e della sicurezza nazionale.
Recentemente l’Arabia Saudita ha anche mostrato l’intenzione di comprare del gas da Israele. Sulla via della normalizzazione dei rapporti rientrano anche i due recenti voli degli Emirati Arabi Uniti con aiuti umanitari giunti in Israele nel quadro dell’emergenza Covid 19. Il primo volo è avvenuto il 20 maggio e non è stato coordinato con l’Autorità Palestinese, bypassando lo spazio aereo giordano violando la sovranità del regno hashemita.
Il 9 giugno è giunto un secondo volo con il logo della compagnia nazionale e la bandiera degli Emirati Arabi Uniti. I due voli vanno a costituire un atto simbolico molto importante.
Nel complesso, le relazioni tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti appaiono in una continua espansione. A dicembre lo sceicco Abdullah bin Zayed Al-Nahyan, ministro degli Emirati per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale, aveva twittato ai suoi 4,6 milioni di follower un articolo di Ed Husain intitolato “Riforma dell’islam: sta prendendo forma in Medio Oriente un’alleanza arabo-israeliana”.
Soprattutto, le autorità dell’Arabia Saudita e quelle degli Emirati Arabi Uniti assieme a quelle dell’Oman e del Bahrain si erano unite nel dare il benestare dei loro paesi all’“accordo del secolo” di Trump quando hanno partecipato alla sua inaugurazione a gennaio.
Molti critici affermano che la strisciante normalizzazione dei rapporti fra gli stati del Golfo e Israele avvenuta negli ultimi anni potrebbe aver incoraggiato coloro che spingono per l’annessione a spese dei palestinesi. Un decennio di legami sempre crescenti ha rafforzato la destra israeliana sul territorio nazionale dimostrando che non deve fare concessioni ai palestinesi per ottenere il riconoscimento e l’accettazione da parte dei suoi vicini.
ll modo in cui paesi come la Giordania e gli Stati del Golfo potrebbero ancora agire in caso dell’annessione avrà comunque un impatto, infatti le loro reazioni potrebbero spingere l’Autorità Palestinese a sospendere completamente la cooperazione di sicurezza con Israele e perfino a sciogliersi, o incoraggiare Hamas nella Striscia di Gaza a passare all’offensiva, come effettivamente ha già minacciato – mosse che potrebbero costringere Israele a ri-occupare Gaza o addirittura a tentare di riprendere il pieno controllo della Cisgiordania. Se ciò dovesse accadere sarebbe impossibile, come ormai sta diventando convinzione comune, far risorgere le prospettive di un accordo per due popoli e due stati.
Il grande tema però in Israele è quello dell’inevitabile dilemma tra rinunciare alla sua identità ebraica concedendo ai palestinesi annessi pari diritti o rinunciare alla sua democrazia privandoli di quei diritti.
Se il progetto di annessione verrà realizzato chi rischia di subirne maggiormente le conseguenze è il re giordano Abdullah, che si ritroverà con numeri impressionanti di rifugiati palestinesi costretti ad attraversare il confine e diventare esuli in Giordania, costringendo il regno hashemita a una difficile situazione, con una popolazione che mantiene una forte solidarietà con la causa palestinese.
L’accordo di Trump che viola ogni norma del diritto internazionale
Quindi, nonostante le promesse e le minacce di Trump, la Giordania pagherebbe grosse conseguenze se il piano di annessione andrà in porto. Sebbene l’annessione programmata da Netanhyahu non sia ancora avvenuta, incontri crescenti difficoltà, e sia qualcosa di diverso dall’”accordo del secolo” proposto da Trump, non va sottovalutato il rischio: il progetto è comunque figlio dell’illegale proposta di Trump, nasce dal clima di crescente cooperazione e amicizia del blocco Usa, Arabia Saudita, Emirati Arabi, altri paesi arabi (tra cui l’Egitto di Al Sissi) e Israele ed è una palese violazione di ogni norma del diritto internazionale.
La filosofia che lo sottende è la medesima filosofia razzista che vede nella Palestina una terra da spogliare e inglobare in Israele e nel popolo palestinese un popolo da reprimere in bantustan in una nuova forma di apartheid. Fortunatamente non tutto è perduto, il popolo palestinese ha dimostrato una resilienza fuori dal comune e qualsiasi iniziativa venga intrapresa non sarà così facile da realizzare per Israele.
Inoltre l’arroganza con cui il progetto di annessione è stato portato avanti potrebbe costringere molti paesi arabi ad affrontare le proprie opinioni pubbliche, sempre molto legate sentimentalmente alla questione palestinese, mentre Trump rischia di non essere più eletto alla Casa Bianca con la possibilità che quindi gli equilibri mondiali possano subire radicali cambiamenti.