Come era da aspettarsi le reazioni all’intervista che Silvia Aisha ha rilasciato al nostro giornale sono state numerose e praticamente mai positive; insomma che le dichiarazioni di una persona che per così tanto tempo è stata prigioniera di un gruppo armato considerato terroristico, che è stata a lungo al centro dell’attenzione dei media e che poi, una volta liberata, si è presentata allo stupore dell’universo mondo come musulmana e che in più abbia manifestato questa sua scelta abbigliandosi come usano abbigliarsi molte donne musulmane, specie in Somalia, abbia potuto provocare reazioni più o meno forti era nelle cose.
In modo trasversale a destra come a sinistra le reazioni a questa vicenda sono state praticamente sempre di segno negativo. C’è stata stizza, a volte palese a volte malcelata, per il ritorno in patria di Silvia vestita con l’hijab, segno palpabile della sua nuova fede, e stizza c’è stata più o meno ovunque quando questa giovane donna, che nel frattempo era stata quasi dimenticata, si è ripresentata raccontando qualcosa di quanto accadutole, soprattutto in senso spirituale, ad un giornale che non appartiene al grande mondo dell’informazione ufficiale.
La destra italiana è una destra sradicata, spuria, da tempo immemorabile completamente scollegata dal tronco nobile del pensiero tradizionalista; è una destra che non è più neppure lontana parente di pensatori come furono Giovanni Gentile, Réné Guénon e Julius Evola; è una destra che ha perso memoria di sé e che è riuscita a produrre negli ultimi decenni personaggi dello spessore umano e politico di un Fini, di un Salvini, di un Alfano, e l’elenco triste e sciapo potrebbe continuare. Questa destra oggi parla attraverso testate come Il Giornale, Libero, La Verità; fa sentire la sua voce nei Talk Show ospitati nelle reti televisive di Mediaset, e da questa destra nulla di diverso ci si sarebbe potuto aspettare se non la riproposizione dei soliti cliché, dei soliti stereotipi anti-islamici ed islamofobici e frasi edificanti del tipo di quella prodotta dal direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, secondo il quale la giovane cooperante sarebbe come la prigioniera di Auschwitz che torna vestita da SS. Come direbbe Antonio Conte: agghiacciante.
Con tempi e modalità diverse anche la Sinistra italiana ha gestito la vicenda Silvia Romano in un sostanziale imbarazzo e dando spesso giudizi negativi, forse meno brutali, più insinuanti ma non per questo meno diretti a quella che gli anglosassoni chiamano Character Assassination, anzi.
Notevole sotto questo punto di vista l’articolo di Monica Lanfranco, apparso sull’edizione online della rivista Micromega, organo di un’autoproclamata Sinistra Illuminista. L’autrice dell’articolo si chiede:
Cosa c’è che non va nel corpo delle donne? Davvero per mostrare la bellezza di ciò che in modo vago chiamiamo ‘anima’ (che non sempre allude alla fede religiosa, quanto piuttosto all’essenza di chi siamo) le femmine della specie umana devono nascondere le fattezze fisiche, magari anche il volto e il sorriso?
Come si evince dalla domanda, quello che sfugge completamente alla Lanfranco è proprio il fatto che per l’Islam sono la perfezione, la bellezza, in una parola la santità del corpo femminile, che richiedono pudore e rispetto.
Pudore e rispetto per i corpi, e non solo purtroppo, che la modernità occidentale e specificamente una certa visione rivoluzionaria, e il progetto di decostruzione dell’essere umano che l’accompagna, odia e che vorrebbe cancellare totalmente dalle relazioni sociali. Il pudore è proprio quel sentimento così connaturato alla natura umana e ancor di più alla natura femminile, che l’Islam e la sua tradizione millenaria rispetta ed esalta in massima misura.
Che società è, quale progetto di relazione tra gli esseri umani indica, quali valori propone quella dove oltre metà della popolazione, per ‘sentirsi a sua agio’, ‘protetta’ ‘elevata’, degna’ e infine, persino ‘libera’ si adatta a muoversi nello spazio pubblico completamente coperta, occultando comunque sempre i capelli perché l’altra metà potrebbe turbarsi, e quindi in virtù di questo turbamento, sentirsi legittimata all’importunare, attaccare, violentare? Di che uomini stiamo parlando?
Aisha Silvia Romano si racconta per la prima volta: mi son chiesta perché a me e ho trovato Dio
Da questa domanda traspare la visione assolutamente distorta che l’autrice dell’articolo ha dell’Islam. Proviamo a scombinare e a rovesciare il quesito: che società è, quali valori propone una società, quella evidentemente auspicata dalla Lanfranco, che usa il corpo femminile come arma per esaltare lussuria e mercificazione? Che società è, e quali valori propone una società in cui i corpi femminili vengono esibiti, in modo aggressivo e volgare, ovunque nei programmi televisivi, nei cartelloni pubblicitari, nelle strade, nelle spiagge? Thomas Stearn Eliot, in una delle sue poesie a ragione scriveva che il mondo altro non è che Potere, Lussuria e Usura. Lussuria e Usura, appunto; il Potere se ne nutre.
No, signora Lanfranco, per l’Islam, quello vero, il pudore è un sentimento molto umano, un sentimento che viene richiesto a tutti: alle donne, e agli uomini, anche e soprattutto nelle loro relazioni con l’altro sesso; proprio perché domina la società musulmana una visione trascendentale, spirituale della vita e del suo significato; proprio perché si vuole sottrarre la vita delle persone all’insignificanza di un mondo confinato nella sola dimensione materiale, il corpo femminile ha tanto valore e per questo viene protetto in modo assoluto.
La giornalista di Micromega e del Fatto, dopo aver attribuito a La Luce, anche lei tra gli altri, chiare tendenze filo-fratelli musulmani, affermazione che denota in chi la profferisce una sostanziale superficialità, e dopo aver fatto seguire questa affermazione da altre frasi abbastanza anodine sul rispetto della privacy della neo-convertita sulle quali si può agevolmente sorvolare, continua l’articolo con un’altra frecciatina intinta nel veleno:
Non si può evitare di considerare come l’immagine di Silvia Romano avvolta nell’hijab abbia significato una enorme pubblicità per gli islamisti di al-Shabaab.
Già, perché portare l’hijab, vestirsi secondo i canoni islamici sarebbe, non si capisce bene il perché, una enorme pubblicità per gli islamisti di al-Shabaab. E ancora Monica Lanfranco prosegue benevola:
Avevamo negli occhi le foto di una giovane donna, del suo volto, dei suoi capelli e del suo corpo, gli orecchini, le collane e gli abiti colorati: a distanza di 18 mesi dal rapimento da parte di uno dei gruppi più feroci del fondamentalismo islamico Silvia Romano si è presentata come Aisha, celata dall’hijab.
Traduzione: prima Silvia era una giovane donna libera di vestirsi come le pareva, poteva mostrare il suo corpo e il suo volto, adornarsi festosamente con abiti colorati e pure gli orecchini. Ci è ritornato un cupo fantasma che si fa chiamare Aisha, avvolto nell’odiato e aborrito hijab.
E ancora:
Nell’intervista la cooperante narra del suo incontro con la religione islamica e, per chiarezza, voglio dire che di fronte alla rivelazione dell’esperienza di conversione non c’è altro da fare che ascoltare, perché l’incontro con la divinità è un fatto intimo e individuale che tocca il proprio senso dell’esistenza.
L’incontro con la divinità è dunque un fatto intimo e individuale, quindi da rispettare, poi però viene chiarito che è da rispettare, certo, ma solo alla condizione che non se ne parli con nessuno, che si celi in una dimensione unicamente privata, dove la religione dovrebbe abitare, perché non della nudità e del libertinaggio bisognerebbe aver pudore, no, della religione bisogna aver pudore, come qualcosa che non è bene rendere pubblico, e qui il rispetto finisce e la stizza monta.
Racconta Silvia Aisha Romano nell’intervista a La Luce che prima della conversione, quando vedeva le donne col velo, aveva quel tipico pregiudizio che esiste nella nostra società e all’affermazione dell’intervistatore secondo cui Silvia Romano avrebbe potuto essere una fra i tanti islamofobi, la Lanfranco ne deduce che parlare di islamofobia, non significa evidenziare un atteggiamento pregiudiziale, malevolo e sostanzialmente nocivo, come può risultare ad esempio nel pensare arbitrariamente che una donna col velo non sia una donna libera, ma invece, significa mettere nero su bianco l’impossibilità di criticare i dettami dell’Islam e nei fatti parlare di un autoproclamato dogma che può sfuggire all’analisi, al biasimo, alla valutazione, altrimenti si passa in automatico alla “fobia?
Ma il meglio però deve ancora arrivare:
Gli sforzi delle religioni patriarcali per diffondere un’immagine erronea della donna, sostiene in Anatomia dell’oppressione Inna Shevchenko, hanno dato vita al sessismo globale, responsabile dei più grandi massacri dell’umanità.
La nostra autrice cita nientepopodimeno che, Inna Shevchenko, – poi andiamo su Wikipedia a vedere chi è questo portento -, secondo la quale il sessismo globale – che vorrà dire poi? – sarebbe responsabile dei più grandi massacri dell’umanità. Ah sì? Non si capisce cosa si intenda per sessismo globale, ma sicuramente fino ad oggi i più grandi massacri dell’umanità e pensiamo alle due guerre mondiali, ad Auschwitz e alla Kolima, a Dresda e a Hiroshima sono stati perpetrati non dal sessismo globale, ma da ideologie o anti-religiose, o completamente indifferenti alla religione come il nazionalismo in tutte le sue versioni, il nazi-fascismo, il comunismo e, last but not least, la tanto esaltata democrazia. C’entrano le religioni in tutto questo? C’entra l’Islam?
Lo sproloquio prosegue:
Profondamente ancorato in ogni cultura, comprese le società occidentali laiche, il sessismo ogni anno costa la vita a migliaia di donne. Per controllare tutto intero il loro essere le religioni ne annettono il corpo: organo dopo organo, pezzo dopo pezzo, con regole assurde e infondate, impongono la loro autorità. Capelli, cervello, occhi, bocca, cuore, seno, ventre, mani, sesso, piedi, sono diventate le loro zone strategiche di guerra.
No, qui è davvero difficile seguire questa prosa: sono affermazioni non false, perché come insegnano filosofia e logica, e l’autrice laureata in filosofia dovrebbe averne sentito parlare, un’affermazione anche falsa può avere un senso, ma sono affermazioni che semplicemente non hanno senso, assolutamente impermeabili al principio di verificazione. In altre parole, pura aria fritta.
Non paga, l’autrice prosegue:
Silvia Romano risponde così alla domanda su come sia possibile che una ragazza libera scelga una condizione in cui lo è di meno, è sottomessa, è considerata inferiore rispetto all’uomo: “Il concetto di libertà è soggettivo e per questo è relativo. Per molti la libertà per la donna è sinonimo di mostrare le forme che ha; nemmeno di vestirsi come vuole, ma come qualcuno desidera. Io pensavo di essere libera prima, ma subivo un’imposizione da parte della società e questo si è rivelato nel momento in cui sono apparsa vestita diversamente e sono stata fatta oggetto di attacchi ed offese molto pesanti. C’è qualcosa di molto sbagliato se l’unico ambito di libertà della donna sta nello scoprire il proprio corpo. Per me il mio velo è un simbolo di libertà, perché sento dentro che Dio mi chiede di indossare il velo per elevare la mia dignità e il mio onore, perché coprendo il mio corpo so che una persona potrà vedere la mia anima. Per me la libertà è non venire mercificata, non venire considerata un oggetto sessuale”.
Le parole di Silvia Aisha Romano sono piuttosto chiare e conseguenti: c’è chi si crede libera perché può magari indossare la minigonna, lei pensa invece che la libertà vera consista nel poter scegliere di sfuggire ai dettami che il nostro mondo, la società in cui viviamo e i suoi idoli impongono. In questo senso Silvia parla di libertà relativa, si tenga anche presente del tono colloquiale dell’intervista. Che c’è da obbiettare a queste parole? Nulla.
Invece la Lanfranco ne prende spunto per lanciarsi in una concione devastante, molto femminista nel senso più deteriore del termine, in cui di nuovo: il corpo delle donne è sempre il campo di battaglia sul quale si misura il livello di civiltà della collettività e vi risparmiamo il resto del discorso dove qua e là emergono in un’esplosione verbosa parole come patriarcato, mercificazione, assimilazione del corpo delle donne, di nuovo la Shevchenko, e poi dulcis in fundo la citazione di una musulmana e lesbica così tanto lesbica e così poco musulmana da dire che: il Corano è contraddittorio e umano. Perfetto.