A tutta prima, chiedersi cosa debba essere curato nel malato, può sembrare una domanda superflua. La risposta a questa domanda non sarà univoca, dipende su cosa si focalizza l’attenzione, ma non tutte le risposte saranno buone in ugual misura. Di fronte ad una persona c’è chi guarda il vestito, chi dà più peso alle parole, chi invece scruta il profondo dello sguardo. Parimenti il medico poggerà la sua attenzione su ciò che crede debba essere curato.
L’idea di normalità
I più ritengono che sia da curare tutto ciò che risulti fuori dal normale ovvero dalla norma. Questa, per quanto diffusa, è un’idea ingenua e foriera di tanti trattamenti non necessari. In seguito a questa concezione ad esempio, viene artificiosamente disturbato l’amorevole rapporto di allattamento degli infanti con le loro madri quando i percentili di crescita non rispettano un qualche generico e in fondo folle calcolo, folle se non nella sua geometria, sicuramente nella sua interpretazione.
Una simile concezione nasce dall’osservazione che la distribuzione della maggior parte dei valori biologici misurabili di una popolazione si distribuiscono secondo una curva a campana, detta curva normale, dove quelli più frequentemente registrati saranno nel mezzo della stessa e andranno a rappresentare per conseguenza la norma.
Ora, in mancanza di una visione che non sia solo statistica di questi valori, che solo una comprensione dei diversi principi di declinazione specifici di ciascuno essere umano può correttamente interpretare, si è finito per considerare come “da curare” i valori che più saranno lontani dal centro di simmetria della curva. Come dire che siccome la maggioranza dei maschi italiani sono alti 1,75, quelli alti 2 mt sono da considerarsi malati o nel peggiore dei casi sarà considerata malattia tutto ciò che semplicemente è peculiare, unico, singolare.
Le scienze chirurgiche
Alcuni ritengono che da curare sia tutto ciò che non sia funzionante a dovere. Questa idea nutrita dai grandi progressi tecnologici del nostro tempo, trova la sua massima espressione nel trapianto di organi, ma tutto sommato è l’idea di fondo della gran parte della chirurgia moderna, per cui si disostruiscono arterie chiuse, valvole non funzionanti, si sostituiscono ossa rotte.
Innegabile il valore di una simile arte, per altro inedita nella storia dell’uomo, ma sempre più stiamo parlando di un ambito che attiene più alle capacità tecniche che al progresso del pensiero, ed è questo un modo di intendere l’uomo in modo statico o meccanico, come fosse un robot al quale sostituire di volta in volta i pezzi rotti.
Tale approccio è incapace di giungere alle cause profonde, dinamiche, le uniche sulle quali si possa agire realmente per riportare lo stato di salute, e trova il suo successo nell’insuccesso della medicina che sà sempre più e solo palliare e sempre meno curare, cronicizzando ogni malattia con infiniti farmaci che mai ristabiliscono veramente la salute.
Non può essere considerata cura la rimozione chirurgica di un singolo organo perché questo non significa curare, cioè ristabilire l’armonia dell’organismo malato, cosi come non si può considerare guarito in senso stretto dalla gangrena un amputato. Non c’è cura finché l’armonia non venga ristabilita nell’intera persona. Quanti interventi chirurgici, seppur spesso necessari, potrebbero essere evitati se le circostanze dei fastidi e le attitudini individuali venissero capite.
La psicosomatica
La medicina psicosomatica ha cercato di rispondere al vuoto sempre più ampio lasciato dalla concezione materialistica dell’uomo, ma ha mancato il suo obbiettivo perché non ha capito che il paziente non ha un’ulcera o l’asma in seguito ad uno sconvolgimento psico-emotivo, ha invece un disturbo della sua forza vitale che si esprime organicamente con dei sintomi fisici e psicologicamente con dei conflitti morali. La correlazione che si intravede tra i sintomi mentali e fisici da un tale punto di vista diventa subito evidente, il corpo ha una sua armonia come fosse un singolo organo teso ad un’unica funzione. L’essere umano non è un organismo ma ha un organismo al fine di servire i fini più alti della persona.
Quello che c’è da curare nell’uomo è il suo principio dinamico quando alterato, cosa che non può essere capita se si focalizza il proprio sguardo sul singolo organo o tessuto invece che sulla intera persona, perché esso investirà l’economia dell’intera persona sia fisicamente che psico-emotivamente. La discrasia dell’armonia profonda dell’uomo potrà spiegare i vari aspetti della sindrome, la causa prima della disfunzione e l’alterazione anatomopatologica dell’organo o del tessuto.
Tre tipi di medico
Lo specialista cercherà i segni e i sintomi nell’organo di competenza, per cui sarà di volta in volta la pelle o il fegato o il cuore l’oggetto della sua indagine e l’oggetto della sua terapia.
Questa è la forma più bassa di medicina perché la sua azione risulterà sempre in una palliazione ovvero una soppressione dei sintomi che troveranno i loro equivalenti in altri organi o funzioni fisiche e psichiche, ma che ovviamente dato l’estremo restringimento del campo di indagine, non saranno messe in correlazione con l’azione soppressiva che le ha generate.
Ci sarà poi il medico che cercherà di raccogliere tutti i sintomi fisici del paziente cercando di disegnare un quadro morboso coerente, questo medico sarà soddisfatto quando riuscirà sintetizzare il caso all’interno di una sindrome.
Questo tipo di medicina è sempre più rara, perché più difficile, ma non di meno non saprà vedere l’uomo, perché tutta tesa alla ricerca di quella “materia peccans” da estirpare come cosa estranea e accidentale al normale trascorrere dell’esistenza.
C’è poi chi, come gli antichi filosofi greci, cerca l’uomo, e non solo non abbisogna, ma evita di esaurire le sofferenze della persona che ha di fronte all’interno di una più o meno pomposa diagnosi. Quest’ultimo è il medico migliore, il solo che possa comprendere cosa c’è da curare nel paziente che ha di fronte.