La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo prenderà in esame un ricorso contro lo Stato italiano presentato da Abu Hanif Patwery, un musulmano bengalese residente in Italia, condannato in quanto presidente di un’associazione che ospita la preghiera islamica a Milano.
Il ricorso potrebbe finalmente sollevare l’urgenza di una legge sul diritto al culto che colmi il vuoto normativo vigente, soprattutto per ciò che riguarda l’edilizia di culto.
Il caso
Un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è stato presentato dall’avv. Pier Francesco Poli per conto del sig. Abu Hanif Patwery, cittadino bengalese residente a Milano, che era stato condannato a 6 mesi di carcere e 9 mila euro di multa in quanto presidente dell’associazione di via Cavalcanti a Milano che ospitava la preghiera islamica. La Corte Europea ha ritenuto ammissibile il ricorso.
La destinazione per culto sovente non viene concessa e pregare laddove c’è diversa destinazione urbanistica costituisce un abuso edilizio, punito penalmente, quindi pregare diventa un reato. Tra gli abusi edilizi spesso contestati vi è la realizzazione di spazi per le abluzioni, fattispecie che riguarda il caso di via Cavalcanti.
La responsabilità penale della violazione urbanistica ricade sul presidente dell’associazione dentro i cui locali viene consentita la preghiera e per questo il sig. Patwery è stato condannato.
Sia la Corte d’Appello che la Corte di Cassazione hanno respinto il ricorso contro la sentenza del Tribunale di Milano. Il ricorso alla Corte Europea ha superato invece il 1° vaglio di ammissibilità, uno step che circa il 90% dei ricorsi non supera. Nel merito il ricorso presentato cita anche un precedente pronunciamento della Corte Europea su un ricorso analogo presentato dai Testimoni di Geova contro la Turchia, quindi le probabilità sembrano essere a favore del sig. Patwery.
La tesi sostenuta in questo caso è che con il vuoto normativo italiano in materia di libertà di culto e con le forti limitazioni nell’edilizia di culto poste in essere dalla legge anti-moschee della Lombardia è praticamente impossibile realizzare un edificio adibito alla preghiera, negando di fatto un diritto fondamentale.
L’aggravante per l’Italia sarebbe che si può arrivare alla condanna penale di chi mette in pratica soluzioni per sopperire alla grave privazione di una libertà fondamentale, commettendo illeciti di gran lunga meno gravi della violazione da parte dello Stato rispetto alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo sottoscritta dall’Italia.
La norma in Italia
Dalla nascita della Repubblica la libertà di culto in Italia è teoricamente garantita dall’art.19 della Costituzione che parla esplicitamente di libertà sia individuale che collettiva, che può essere esercitata in forma privata cosi come con visibilità pubblica. Nella pratica però non esiste una norma che materializzi questo diritto fondamentale e di conseguenza nel nostro paese non esiste una risposta alla domanda: cosa bisogna fare per realizzare una moschea? Il problema riguarda anche altre minoranze ma numericamente la questione si manifesta soprattutto per i musulmani.
Parallelamente all’art.19 della Costituzione esiste anche il meccanismo concordatario ma le Intese (cioè i concordatini delle confessioni non cattoliche di cui al comma 3 art. 8 della Costituzione) non sono lo strumento per l’esercizio di questa libertà fondamentale (cosa ribadita tra l’altro da molte sentenze).
Questo per il semplice fatto che la logica concordataria prevede la forma pattizia, le parti non sono obbligate a scendere a patti (il concordatino non è un diritto!), e in uno Stato di diritto quelli fondamentali sono diritti non negoziabili. Per il credente di qualsiasi confessione pregare è come respirare e l’aria dovrebbe essere liberamente accessibile, non solo sulla carta.
Il problema concreto
Ovunque sul territorio nazionale, per sopperire alla concreta impossibilità di realizzare luoghi di culto i musulmani compiono le loro preghiere in locali associativi. Che questa attività sia accessoria o meno rispetto alle altre attività associative, le autorità municipali spesso contestano l’utilizzo dei locali per attività difforme dalla destinazione d’uso urbanistica (a Roma c’è stata una vera e propria stagione persecutoria dei centri islamici).
La contestazione riguardante gli spazi per le abluzioni verrebbe meno una volta ottenuta la destinazione d’uso appropriata che aprirebbe alla possibilità di realizzare quanto necessario al culto, ma non vi è alcuna norma esplicita che, una volta rispettata, garantisca che si possa ottenere questa benedetta destinazione d’uso che per lo più viene negata.
Il Viminale ha censito oltre 1200 “strutture islamiche” che sopperiscono alla mancanza di spazi adeguati per i 2 milioni e mezzo di musulmani in Italia (tra cui circa un milione di cittadini italiani). Si fa finta che i musulmani non ci siano, o che non consentire di edificare moschee faccia loro abbandonare il proprio culto. Ma i musulmani ci sono, pregano, e possono in ogni momento essere per questo perseguitati.