Per trent’anni abbiamo avuto una classe dirigente composta principalmente da rifugiati politici o da immigrati che hanno dovuto fare buon viso a cattivo gioco ed accettare una posizione di subalternità di fronte a realtà potenti come la Chiesa cattolica che riveste un importante ruolo culturale in Italia e che ha cercato in ogni modo di coinvolgere i musulmani nelle sue iniziative, principalmente per infeudarli culturalmente costruendo una relazione in cui i musulmani abbiano sempre un ruolo subordinato: una situazione oggettiva che lasciava poco spazio al volontarismo.
Questi uomini e queste donne ricche di abnegazione e fedeli ad Allah, che hanno abbandonato i loro Peasi per portare qui la Parola di Dio, sono quelli che ci hanno formato islamicamente come hanno potuto, nelle prime moschee improvvisate o nelle case dove si riunivano i primi gruppi di preghiera e di studio, subendo il caldo estivo ed il gelo invernale nelle moschee ancora non riscaldate per mancanza di fondi e organizzando i primi corsi sull’ ABC della fede in un italiano non sempre accademico.
Loro, come noi, subivano e subiscono non solo il razzismo istituzionale e la pressione degli Stati esteri, spesso dittatoriali, che hanno la loro longa manus in Italia come il Marocco, l’Egitto o l’Arabia Saudita, ma anche la pressione delle potenti istituzioni ecclesiali e persino della massoneria e dei sostenitori di Israele.
Noi, mandati allo sbaraglio in tv, quando non c’era veramente nessuno in grado di mettere in difficoltà i politici islamofobi, ci siamo difesi con la nostra ingenuità ed ignoranza.
Negli anni in cui la Comunità era paradossalmente iper mediatizzata per motivi geopolitici (colpita in pieno dallo shock dell’11/9) ha sofferto in diversi modi questa oggettiva debolezza ed emarginazione, ha subito per anni una feroce persecuzione mediatica e politica con importanti risvolti giudiziari documentati dall’opera dell’avvocato Carlo Corbucci “Terrorismo islamico, realtà e mistificazione” in cui dimostra ampiamente il fatto che i diritti umani sono applicati a geometria variabile e con doppio standard tra autoctoni e musulmani. Basta chiamarsi Mohammed ed essere indigente per essere schedato come sospetto, mentre vengono letteralmente inventati presunti jihadisti.
Parallelamente veniva creata dagli orientalisti una lettura dell’islam prevalentemente esteriorista, tesa a sviscerare i risvolti culturali e di costume, i fasti artistici del passato e anche a denunciare, in un ottica di doppio standard islamofobo, le cattive azioni di certi credenti di nome sui quali non abbiamo alcuna responsabilità tranne quella di invitarli al bene.
Volevano evitare la crescita della nostra consapevolezza ed i loro fini erano gli stessi di coloro che dal mondo arabo sostenevano che noi musulmani occidentali eravamo un nonsenso e che ci saremmo assimilati in pochi anni lasciando la religione.
Invece non solo ciò non è avvenuto, ma è nata una metodologia adeguata per la lettura delle fonti basata sui maqasid ( obiettivi) della Sharia che ci ha permesso di formare una generazione di musulmani autoctoni fedeli alla Sunna (la tradizione profetica) e radicati nei territori.
Fatto ciò, questi orientalisti con i loro giornalisti e blogger al seguito, sono invece assolutamente muti per malafede ed incompetenza totale quando si sposta l’attenzione alla realtà intima, teologica o spirituale dell’islam, qualcosa che loro probabilmente non possono comprendere.
Nemmeno nelle università si porta avanti uno studio profondo della teologia musulmana, come descrive il saggio della ricercatrice Francesca Bocca Aldaqre, certamente più titolata di me per descrivere questa situazione, in questo contributo scientifico dal titolo: L’insegnamento della teologia islamica nelle Università europee: modelli, possibilità, suggerimenti per il contesto italiano.
La ricerca fatta dalla teologa musulmana dimostra l’arretratezza del contesto italiano di fronte ad altre nazioni pioniere degli studi teologici sull’islam, prima tra tutti la Germania. La comunità stessa non è riuscita nemmeno a valorizzare appieno i suoi talenti: in primis i Sapienti presenti sul territorio italiano regolarmente provvisti di ijaza (licenza) per insegnare, o di laurea in studi islamici presso le migliori Università arabe, europee o americane.
L’islam appare così, agli occhi della maggior parte degli italiani, ancora una religione straniera piena di riti incomprensibili ed assurdi, con i fedeli tesi all’adorazione cieca di un Dio spietato e familista, quasi tribale, che avrebbe fatto degli arabi un nuovo popolo eletto e che avrebbe imposto violenza, schiavitù tirannide, arretratezza e povertà.
In questo contesto l’aumento delle conversioni dovute alla fede è certo un avvenimento miracoloso che testimonia, se mai ce ne fosse necessità, della grandezza dell’islam in ogni luogo ed in ogni tempo.
Siamo un universo in fondo in fondo da normalizzare con le buone o con le cattive, mai comprensibile totalmente per chi vuole il controllo totale della popolazione.
I sinceri democratici e sostenitori di tutte le differenze possibili (a parte l’indossare il hijab da parte delle credenti) che hanno reagito in maniera scomposta alla vicenda di Silvia Aisha Romano e per la questione di Aya Sofia, ci testimoniano del fatto che la cultura occidentale dominante, che sia di matrice laica o cristiana, semplicemente ci considera un corpo estraneo.
Per anni e anni si è discusso nelle moschee principalmente di fermare la radicalizzazione ( come se ci fosse uno tsunami di jihadisti fuori dalla porta ) e di dialogo interreligiosi ad alto livello, facendoci trascinare dall’agenda geopolitica altrui, mentre altri temi più profondi che potevano aiutare i nostri giovani a costruire una personalità islamica ( dall’Aqueeda alla storia dell’ islam ) sono rimasti sullo sfondo.
Il dialogo interreligioso ha sicuramente contribuito a normalizzare l’idea che si ha della comunità musulmana da parte di un settore popolare e non, quando si è riuscito a portarlo avanti a partire dal basso e con interlocutori sinceri.
Per lo meno hanno capito che non siamo talebani e che non vogliamo tagliare né teste né mani come ci rimproverano quelli che ancora sognano Lepanto e che ultimamente hanno alzato la testa dimenticando che rischiano di essere annientati dall’ateismo incipiente, come dimostrano gli incendi alle cattedrali francesi.
Ma quando si è dato credito ad attori istituzionali per lo più massoni e cristiani con ruoli importanti a livello di insegnamento universitario o con incarichi curiali, è accaduto che per anni ci incontrassimo nella stessa stanza, ma che dovessimo entrare a capo chino dalla porta di servizio, cercando disperatamente di accreditarci come musulmani buoni piuttosto che come buoni musulmani, e lì abbiamo commesso un grave errore.
Negli ultimi mesi ci sono stati dei passi avanti su alcune questioni come la personalità giuridica o i cimiteri, mentre sono stati vinti diversi ricorsi al Tar da parte di associazioni islamiche sulla questione della destinazione d’uso.
Ultimamente è emerso, grazie ad alcune sorelle specialiste di conferenze, di corsi sugli aspetti psicologici dell’educazione musulmana e di corsi sulla costruzione ed il potenziamento personale (e con l’aiuto del lavoro già svolto da psicologi ed imam musulmani nei paesi anglosassoni), che i nostri giovani spesso si perdono e rinunciano ad intraprendere promettenti carriere a causa degli ostacoli istituzionali che trovano.
Ed invece penso che dobbiamo far tesoro delle difficoltà che Dio ci ha posto davanti per costruire invece opportunità, sia sul piano comunitario che personale.
Nonostante tutto la fede rappresenta la nostra risorsa principale, quella che ci fa mettere in gioco quando ci costruiamo una famiglia o realizziamo un’impresa, superando ostacoli che sembrano insormontabili.
Ci vogliono muti o vittime al punto che ogni volta che puntiamo i piedi i nostri amici cristiani ( tranne pochi ) leggono questo atteggiamento come volontà di scontro di civiltà.
Dietro le loro analisi c’è l’eurocentrismo e la loro pretesa di essere il metro del bene e dal male.
Cercare di avere un ruolo indipendente non è scegliere lo scontro di civiltà, è scegliere una strategia vincente senza sottomettersi ad altri che a Dio.
Siamo forse condannati a nascondere la nostra fierezza di essere musulmani? Per quale ragione ?
Difendere noi stessi dall’opera di assimilazione costante portata avanti da questa società, da destra e da sinistra, è forse l’unico peccato riconosciuto da chi ha dimenticato in un cassetto il timor di Dio?
Si compiacciono di noi quando i nostri giovani partecipano alle loro iniziative contro la violenza domestica o per la sostenibilità ambientale, ma poi quando siamo noi ad essere in difficoltà solo una piccola parte di loro viene in nostra difesa e solo su alcune questioni geopolitiche .
Nel nostro Bel Paese nessuno o pochissimi hanno difeso Tariq Ramadan o Jamal Kashoggi partecipando ad iniziative in loro sostegno, né tanto meno hanno sollevato il caso dei detenuti musulmani negli USA come è accaduto nei paesi anglosassoni.
In Italia tranne un pugno di noi nessuno ha fiatato. Dovremmo essere in primo piano contro ogni violazione dei diritto umani che fa comodo alla loro agenda geopolitica? No grazie, non difendiamo i diritti umani a corrente alternata: o tutti o nessuno.
Nessuno dei moderni re del mondo ( o presunti tali ) si è levato in difesa del popolo siriano, massacrato a causa della decisione delle grandi potenze che hanno cercato di reprimere la loro rivoluzione ed alimentare una guerra senza vinti né vincitori in cui noi siamo stati carne da macello.
Nessuno difese la Bosnia ieri, e lo Yemen oggi, costretti all’autodifesa quando il popolo non ha mai voluto uno scontro armato. E la lista è lunga.
Non c’è oggi alcun motivo per attribuire una superiorità etica a chi trae le sue ricchezze dallo sfruttamento dei deboli.
Chi crede che l’Occidente sia il paradiso in terra solo a causa dell’abbondanza di mezzi materiali si chieda questa abbondanza da dove viene e cosa comporta nei paesi poveri.
Nessuno ci toglierà mai il diritto datoci da Dio di difendere questi popoli e questi Paesi, né tantomeno di difendere noi stessi ed i nostri giovani da chi ci vuole assimilare a forza, promettendo ai nostri figli un lavoro da camerieri ( con tutto il rispetto per chi lo fa).
La maggior parte dei musulmani oggi non è schierata ed un migliaio di credenti si sono riuniti nel gruppo fb StrongBeliever (un gruppo in crescita di 1200 fratelli e sorelle qualificati ) per discutere finalmente di queste nuove priorità della Umma (la comunità islamica) di cui il passaggio più importante è relativo alla volontà di formare credenti che abbiano una mentalità attiva e positiva che si riflette sia nella qualità del cammino spirituale interiore sia nella partecipazione attiva alla vita sociale a beneficio della Umma e di tutta l’umanità.
Non c’è alcuna volontà di scontro di civiltà, ma la critica alla mentalità dei musulmani da oratorio, che per debolezza intellettuale e carenze metodologiche si piegano a strategie esterne.
Nel gruppo si analizzano le priorità tra cui innanzitutto la formazione di quadri giovani preparati e l’implementazione del lavoro di Dawa (trasmissione del messaggio) dentro e fuori la comunità.
In questo contesto la nascita e lo sviluppo de La Luce costituisce un altro passo importante: abbiamo finalmente una voce non mainstream, non schierata con gli Stati e plurale, dove queste istanze possono liberamente circolare.
Certamente questa comunità sta crescendo in conoscenza e consapevolezza, anche se siamo ancora lontani dal poter fare un lavoro di lobbying in ambito sociale o politico. Siamo certamente cresciuti qualitativamente: la migliore dimostrazione di ciò è l’interesse che molti fratelli e sorelle stanno avendo per un cambio di strategia, cerchiamo di strutturarci superando vecchie inutili divisioni, più o meno dottrinali, per sopperire alle nostre debolezze e sfruttare al massimo i nostri punti di forza.