Fin dal primo momento della conquista di Costantinopoli “Istanbul” nel 1453 d.C. / 857 AH, il giovane Sultano Mehmed II “Al-Fatih” prese a realizzare la sua visione della sua nuova capitale ottomana. Non desiderava semplicemente una città turca o islamica, desiderava piuttosto che la città riflettesse la grande diversità etnica e culturale del suo impero in espansione.
Lo stesso conquistatore era di origini miste, ed era imparentato con la moglie di suo padre, la principessa serba Mara Despina Brankovic Khatun, che in seguito governò il suo paese e si alleò con lui; alcuni storici sostengono che la madre del conquistatore, Khadija Huma Khatun, fosse pure lei di origine serba e convertita all’Islam, giacché il suo nome “Khatun figlia di Abdullah” contiene il patronimico “figlio di Abdullah” tipicamente usato per indicare i nuovi musulmani.
Conoscendo le lingue latina e greca, la cultura ortodossa e la religione cristiana, al Sultano piaceva contemplare la diversità del suo regno, per questo non solo incoraggiò i Greci e gli Armeni a stabilirsi a Costantinopoli dopo la sua conquista, ma a volte li costrinse addirittura a farlo, secondo le affermazioni dello storico britannico Philip Mansell: “Constantinople: City of the World’s Desire, 1453–1924 (New York, St. Martin’s, 1995).
Mansell, docente presso molte università britanniche ed autore di opere sulla storia degli Ottomani e della Francia, afferma che il successore del conquistatore, Bayezid II non fece che proseguire il cammino di suo padre, mantenendo la diversità religiosa e giungendo fino ad inviare delle navi per trasportare gli ebrei verso la sua capitale dall’Andalusia da cui furono espulsi alla fine del XV secolo; in tal modo assicurò loro la sua protezione dagli attacchi cristiani contro di loro. Per questo motivo, riporta lo storico britannico, a Costantinopoli non circolarono parole come massacro, ghetto e inquisizione.
Invece di imporre il monoteismo a tutti, gli Ottomani erano orgogliosi del fatto che il loro impero offrisse rifugio a dozzine di popoli, razze ed etnie e seppero piuttosto trarre vantaggio dai loro diversi talenti.
Lo storico britannico cita il caso di Mimar Sinan, l’architetto di origine cristiana che costruì i più grandi capolavori architettonici degli Ottomani.
La conquista secondo un’ottica diversa
La storia della Costantinopoli ottomana non può essere separata dalla lunga lotta imperiale che subì l’antica città: l’emergente impero ottomano, fra l’impero bizantino e il sultanato di Seljuk, qui spostò la sua capitale da Konya nell’Anatolia occidentale dove si furono stabiliti all’inizio del XIV secolo, prima di trasferirsi a Bursa, ai confini dell’Impero bizantino e dalla parte opposta a Costantinopoli sul Mar di Marmara.
Nel 1366, la capitale ottomana si trasferì da Bursa in Asia a Edirne in Europa, a ovest di Costantinopoli, “Istanbul”, diventando così l’ultima “isola greca nel mare ottomano”. Nei successivi trent’anni gli Ottomani sconfissero i due grandi regni ortodossi in Bulgaria e Serbia, i due regni che aspiravano a conquistare Costantinopoli, secondo lo storico britannico.
L’inizio del 13° secolo testimoniò la proclamazione della Quarta Crociata, con l’obiettivo di strappare Gerusalemme dalle mani dei musulmani durante il periodo delle Crociate, ma i combattenti crociati rivolsero le loro brame verso la capitale bizantina.
I soldati crociati saccheggiarono la città, uccidendo molti dei suoi abitanti, il che aggravò il “grande scisma” tra la Chiesa ortodossa orientale (con sua capitale Costantinopoli) e la Chiesa cattolica romana con sede nel Vaticano.
La “Quarta Crociata” contro Costantinopoli (allora ortodossa) contribuì all’indebolimento della prospera capitale bizantina, che poi soffrì un forte isolamento, bancarotta economica e la sua popolazione diminuì a meno di 40 mila persone appena, parti dell’antica città si svuotarono, il che finì per facilitare la successiva conquista per mano degli Ottomani.
Dopo la conquista, Al-Fateh volle riportare la sua nuova capitale al suo antico splendore, per questo mantenne per ogni quartiere la propria denominazione, architettura, lingua, tradizioni, luoghi di culto, sistema di edifici commerciali, fontane e guardie notturne.
Mentre Al-Fateh faceva affluire nuovi residenti greci per ricostruire la città, alcune delle sue antiche regioni non persero i loro abitanti greci originali, come il quartiere Samatia (l’attuale Koca Mustafa Pasha) nel sud-ovest della città vicino alle mura. Questo quartiere si arrese separatamente al Sultano, evitando così i combattimenti, il che spiega il gran numero delle antiche chiese presenti ancor oggi.
L’Ortodossia a Costantinopoli
Mehmet al-Fatih fece anche più di questo. A causa delle inveterate differenze tra sostenitori e oppositori della riconciliazione con il papa cattolico, non vi era alcun patriarca ortodosso a Costantinopoli nel 1453, quando il sultano conquistò la città. Il sultano avrebbe potuto lasciare vacante la posizione, ma Al-Fatih era il sovrano più tollerante della sua epoca; si adoperò per far rivivere il Patriarcato ecumenico, che aveva guidato la Chiesa ortodossa a Costantinopoli dal IV secolo, secondo lo storico britannico.
Il monaco Giorgio Gennadio detto Scolaro, nato a Costantinopoli, era uno dei leader ortodossi che si opponevano all’unione con Roma; catturato presso Edirne, fu trattato generosamente, e, dopo la conquista, il Sultano lo fece patriarca e sommo sacerdote per i cristiani, concedendogli molti diritti e privilegi sotto il dominio della chiesa. Rese la sua autorità ecclesiastica non inferiore a quella concessa alla chiesa in precedenza, nell’era degli imperatori bizantini.
Lo storico britannico afferma che fu concluso un “accordo” tra il Sultano ed il patriarca, in cui Al-Fatih promise di proteggere il capo della Chiesa ortodossa di Costantinopoli tanto dalle Chiese ortodosse slave concorrenti quanto dai fanatici musulmani.
In cambio, il patriarca aiutò a riscuotere le tasse per il sultano, e così il conquistatore si assicurò la lealtà di molti Greci, evitando che questi si indirizzassero verso i suoi nemici cattolici a Venezia ed il papato, i quali miravano alla conquista di Costantinopoli.
Nella sua veste di capo degli ortodossi, il patriarca gestiva un sistema legale ortodosso indipendente, basato sulla legge dell’imperatore bizantino Giustiniano, con poteri che includevano l’imposizione di sanzioni, incarcerazione ed esilio.
Il Sultano manifestò il suo apprezzamento per la cultura greca, così come per la prosperità che i Greci avrebbero potuto recare nella sua capitale, che divenne così un ponte tra Islam e Cristianesimo.
Diversi anni dopo la conquista, il Sultano, accompagnato da sapienti musulmani, si recò presso la dimora del patriarca e chiese a Gennadio di scrivere un trattato sul cristianesimo, poi tradotto dal greco in turco per il sultano, intitolato: “Breve sintesi sulla fede cristiana”.
I Cattolici, gli Italiani e Galata
Gli armeni costituivano un altro gruppo cristiano che il Sultano portò a Costantinopoli, avendo vissuto almeno dal VI secolo a.C. nell’Anatolia orientale e nel Caucaso, conservando la propria dottrina nella natura di Cristo, nella loro lingua e nel loro alfabeto.
Sebbene l’ultimo regno armeno scomparve nell’Anatolia meridionale nel XIV secolo, gli Armeni si distinsero nel Mediterraneo orientale come gioiellieri, artigiani, costruttori e commercianti ed il Sultano considerò la loro presenza nella sua nuova capitale come un’aggiunta importante.
Un’iscrizione sulla facciata dell’attuale Patriarcato armeno nell’area di Kumkapi a Istanbul, “Costantinopoli” mostra che Mehmet II, il “Conquistatore”, nominò un patriarca armeno a Costantinopoli nel 1461, e gli Armeni consideravano il Sultano come un campione del mondo al pari di Alessandro Magno, in quanto diversi popoli potevano ricorrere alla sua protezione.
A nord del Corno d’oro, cioè fuori Costantinopoli – che comprendeva i quartieri all’interno delle mura – e a sud del Corno d’oro, era la regione di Galata, controllata dalla popolazione italiana di Genova; era una colonia semi-indipendente che controllava il commercio regionale del debole e morente impero bizantino.
Il distretto di Galata comprendeva chiese cattoliche e italiane e durante la conquista di Costantinopoli, Galata era più prospera e affollata rispetto alla città antica a sud del Corno d’oro, che da decenni viveva nel declino.
Genova e l’Impero ottomano furono alleati per lungo tempo. Il Sultano – dopo la conquista – concedesse un privilegio di protezione in lingua greca per “il popolo di Galata ed i loro nobili” in cambio del pagamento delle tasse. Tale documento – ancor oggi conservato presso la British Library – permise ai residenti di Galata di mantenere le loro proprietà e “di seguire le proprie usanze e riti particolari” tranne che per il suono delle campane dalle chiese.
Il modello di Galata dimostra, come afferma l’autore, che Oriente e Occidente possono coesistere, sottolineando che il sultanato ottomano non fu ostile verso l’Europa cristiana come sostenne lo storico francese Fernand Braudel, anzi esso fu “il rifugio del mondo” come lo descrive l’autore britannico: a differenza dell’Europa occidentale non c’erano restrizioni sulla libertà di commercio mentre c’erano poche restrizioni alla costruzione di diversi templi religiosi.
Tuttavia, non è possibile immaginare l’intero periodo ottomano libero da problemi e rivolte settarie e nazionali, poiché le politiche di tolleranza sono state influenzate negativamente dalla pressione delle sconfitte militari del Sultanato e dall’escalation dei movimenti nazionali nei Balcani nel primo quarto del diciannovesimo secolo.
Nel ventesimo secolo, si prevedeva che i Turchi alla fine avrebbero risposto ai movimenti nazionalisti che avevano lacerato il loro impero per sospingere il loro progetto nazionale, poiché Istanbul non era più il “rifugio del mondo” e il fondatore della moderna Turchia abbandonò questo spirito per costruire la capitale della nuova repubblica turca ad Ankara.
Articolo originale di Imran Abdullah