Sono passati oramai quasi trent’anni dal Luglio 1991, quando 21 esperti si riunirono per discutere l’impatto dei prodotti chimici agricoli e industriali sulla salute dell’uomo. L’incontro, oggi noto come Wingspread, ebbe luogo nel Wingspread Conference Center in Racine, Wisconsin. In questa occasione venne per la prima volta coniato il termine di “endocrine-disrupting chemicals” (EDCs).
EDCs descrive quelle sostanze chimiche capaci di interferire nella normale fisiologia del sistema endocrino degli essere viventi, mimando, bloccando o interferendo in vario modo con gli ormoni naturali. Gli EDCs sono sempre di più e sempre più presenti nell’ambiente e nei prodotti di consumo, in particolare nei cibi, e le evidenze riguardo alla correlazione tra la loro presenza e le cosiddette malattie non trasmissibili come obesità, diabete, problemi tiroidei, neurologici, comportamentali e dello sviluppo sono sempre più chiare e schiaccianti.
Nel 2010 la Food and Drugs Administration ha identificato almeno 1800 sostanze che disturbano almeno un equilibrio ormonale di tre analizzati: estrogenico, androgenico, tiroideo.
Risultò per di più evidente, che il danno provocato da queste sostanze spesso non sia correlato alla dose dell’esposizione, in altre parole ci può essere danno anche per dosi minime.
Nel 2015 una commissione di esperti promossa dalla “Endocrine Society” identificò almeno 15 di queste sostanze e descrisse la loro probabilità di correlazione con condizioni patologiche. Risultò evidente la correlazione tra l’esposizione prenatale a pesticidi organofosforici, di cui attualmente si fa ancora largo utilizzo, a ritardo mentale, deficit d’attenzione, disturbi dello spettro autistico.
LA SCIENZA UNA VOCE INASCOLTATA
In questi giorni un interessantissimo lavoro di aggiornamento e sintesi degli studi sull’argomento pubblicato su Lancet, mostra come non ci siano pressoché dubbi sulla correlazione tra perfluoroalcali (PFAS) e una quantità di condizioni patologiche come l’obesità anche quella infantile, il diabete anche quello gestazionale, ridotto peso alla nascita, riduzione delle qualità dello sperma, endometriosi, sindrome dell’ovaio policistico e cancro al seno.
Lo stesso dicasi anche per altre sostanze come bifosfenoli e diversi tipologie di pesticidi. Ci sono sempre più evidenze riguardo alla correlazione tra l’esposizione a queste sostanze e problemi di sviluppo cognitivo nei giovanissimi.
Chiaramente il problema è molto complesso, infatti i PFAS rappresentano un gruppo di diverse molecole di sintesi il cui numero è maggiore a 4000, e sono presenti in un grande quantità di manufatti di uso quotidiano, come ad esempio nei prodotti per rendere le pentole da cucina antiaderenti. Gli PFAS hanno inoltre la caratteristica di essere scarsamente degradabili dall’ambiente e quindi la loro diffusione in aria, acqua e terreni coltivati è stata ed è inevitabile.
Secondo un report del 2018 del CDC, PFAS sono stati trovati nel sangue del 97% della popolazione statunitense. All’inizio del 2000 la produzione di PFAS è stata interrotta e secondo un più recente report, sempre del CDC, i livelli nel sangue della popolazione sono diminuiti.
Ma il diavolo fa le pentole ma non in coperchi, perché nonostante il bando della produzione dei PFAS incriminati, altri di nuova generazione, come il GenX sono apparsi sul mercato, e di essi non si conosce quasi nulla, nè gli effetti tossici per gli essere viventi, né la capacità di degradazione nell’ambiente, nè la capacità di accumularsi negli organismi.
Dato lo spaventoso aumento di queste malattie croniche nelle ultime decadi, cosa che per inciso esclude fattori genetici come possibili cause, il grave danno provocato per la salute collettiva da queste sostanze è quindi fuori di dubbio.
POLITICHE SANITARIE INSUFFICIENTI
Gli obiettivi di sviluppo sostenibile 2030, rappresentano l’attività programmatica sul tema proposta dalle Nazioni Unite per il periodo 2015-2030, gli autori fanno notare come, nonostante la sempre più consistente mole di dati che mostrano l’importanza del contributo di questo tipo di inquinanti ambientali nello sviluppo di malattie croniche, gli EDCs sono stati praticamente ignorati anche in quest’ambito
Un secondo lavoro sullo stesso tema, pubblicato sempre recentemente da Lancet, discute gli aspetti economici e politici legati ai danni ambientali e sanitari di queste sostanze.
Si crede che la valutazione di un danno di 163 bilioni di euro in Europa e 340 bilioni di dollari in USA annualmente sia in realtà una sottostima.
PRETESTI SCIENTIFICI
Questi dati ci dovrebbero far riflettere specie alla luce della recente emergenza COVID, infatti sia in termini di impatto sulla salute globale sia in termini economici i costi di questo tipo di inquinamento ambientale rappresenta una emergenza di scala esponenzialmente maggiore della prima ma a differenza di questa, molto più facilmente affrontabile in termini politico legislativi.
Sebbene l’approccio europeo basato su criteri di precauzione sia nettamente migliore rispetto a quello statunitense basato sul rischio dimostrabile, in via generale gli sforzi a tal proposito rimangono ovunque e globalmente largamente insufficienti quanto non del tutto assenti.
Tra le tantissime considerazioni che si potrebbero fare, la cosa che risalta in modo più evidente da questa analisi, è come la Scienza evocata sempre più spesso come inappellabile guida delle politiche globali, venga ascoltata non sempre ma a seconda delle convenienze, lasciando trasparire come il suo uso sia evidentemente strumentale e le politiche ad essa inspirate non possono quindi che essere sospettate di pretestuosità.