Il 13 Agosto 2020 è morto nel carcere di Tora una delle figure di maggiore spicco dei Fratelli Musulmani egiziani, ‘Essam El ‘Erian, che negli ultimi anni aveva ricoperto ruoli molto importanti, vicepresidente del Partito Libertà e Giustizia (Hurriya wa ‘Adala), il partito politico della Fratellanza e membro della Maktab al Irshad, l’Ufficio della Guida dei Fratelli Musulmani, l’organo dirigenziale della Confraternita.
Era stato eletto nel Majlis al Sha’ab, la Camera dei Deputati egiziana nelle uniche elezioni libere svoltesi in Egitto nel 2012. Fu anche nominato consigliere del primo presidente egiziano democraticamente eletto, Muhammad Morsi, dal 27 agosto 2012. El Erian era una figura molto amata dalla gioventù rivoluzionaria, apparteneva alla cosiddetta “seconda generazione” (al jiil al thani), quel gruppo di giovani leader universitari (tra cui il noto leader riformista ‘Abdel Moneym Abu Al Futtuh) che entrarono nella Fratellanza negli anni ‘70, dopo una militanza nelle prime “Jama’at Islamiyya” (gruppi islamici).
I membri di questa generazione si caratterizzavano per realismo e pragmatismo e si dedicarono alla politica con un alto grado di professionalità e competenza, cercando di integrare la Fratellanza nella vita politica della nazione. Il rappresentante più noto e rappresentativo di questa generazione, che principalmente in nome suo si è guadagnata l’appellativo di “riformista” fu, appunto, il Dr. Abd al-Moneym Abu al-Futtuh, per lungo tempo membro dell’Ufficio di Guida (di presidenza e di orientamento) e leader dei giovani del movimento, gradito e apprezzato molto anche fuori dai Fratelli Musulmani. Molti appartenenti ai Fratelli Musulmani di questa generazione e che erano molto vicini ad Abu al Futtuh uscirono dal movimento nel 1996 tentando il primo esperimento di partito politico di ispirazione islamica e fondando il partito “Al Wasat”, che fu il primo partito riconosciuto ufficialmente dopo la rivoluzione del 25 Gennaio. Altri appartenenti di rilievo a questa generazione, erano poi Essam al-Erian, il capo dell’uffico politico della Confraternita, e Mohammed Saad al-Katatni.
El Arian era stato a capo della “jama’a” dell’Università del Cairo, e assieme ad altri volti noti della politica egiziana in ambito islamico, come Abu ‘Alaa al Maadi, fondatore successivamente del partito islamista “Hizb al Wasat” (Partito del Centro) e lo stesso Al Futtuh entrarono nei Fratelli Musulmani nel 1974, portando nuova linfa alla Confraternita, che vide in quegli anni una sorta di rifondazione, per mano della Guida Generale Omar al Tilmisani.
El Erian si distinse durante il periodo della rivoluzione del 2011 per la sua adesione alla “Associazione Nazionale per il Cambiamento” (al Jama’ya al Wataniyya lil-Taghiir) il primo nucleo organizzato rivoluzionario guidato dal premio Nobel Muhammad al Barade’i, che giocò un ruolo fondamentale nella caduta di Mubarak.
El Erian fu uno degli esponenti dei Fratelli che mantenne maggiormente il legame con la piazza sin dagli inizi, si guadagnò la fiducia della gioventù di Piazza Tahrir e funse da ponte tra i vertici della Fratellanza, i giovani che popolavano le piazze e le altre forze politiche laiche protagoniste delle giornate che dal 25 Gennaio 2011 portarono dalla destituzione del presidente Hosni Mubarak.
Dopo il Golpe con cui l’Esercito estromise il presidente Morsi nel luglio 2013, al-‘Erian attaccò con veemenza i leader golpisti e fu tra i protagonisti del sit-in di Raba’a Al-Adawiya e tra gli oratori sulla palco del sit-in. Dopo il violentissimo sgombero dei sit-in di Piazza Raba’a Al-Adawiya e di Piazza Al-Nahda, al-‘Erian dovette darsi alla clandestinità mentre le forze di sicurezza emisero un provvedimento in cui che gli fu vietato di lasciare il paese mentre lo cercavano per arrestarlo.
La mattina di mercoledì 30 ottobre 2013 fu arrestato nel sobborgo di Nuova Cairo. Venne condannato all’ergastolo con altre 10 persone per il processo noto come “l’assalto ai confini orientali”, fu poi condannato a morte per lo sgombero del sit-in di Raba’a, (il processo relativo era ancora in attesa dell’appello), ed è stato infine condannato a 20 anni di reclusione per gli eventi di Al-Ittihadiya, il Palazzo Presidenziale che preso d’assalto da una folla di manifestanti anti-Morsi, vide feroci scontri svolgersi tra gli assalitori e i sostenitori del Presidente accorsi in difesa davanti ad una Polizia che si rifiutava di intervenire.
Il caso di El Erian è sintomatico di un atteggiamento che il regime di Al Sisi ha assunto di fronte ai più importanti prigionieri politici. Come infatti accaduto già con il Presidente Morsi (condannato a morte e defunto poi in carcere) e altri leader dei Fratelli e dell’opposizione in generale.
Di fronte a sentenze all’ergastolo e condanne morte derivanti da processi farsa, si preferisce far morire di stenti in prigione i condannati invece che eseguire le pene di morte, che rischierebbero di rendere eroi popolari i condannati e di provocare troppe proteste internazionali.
E’ fin troppo ovvio cosa accade se si prendono delle persone di età avanzata, le si lascia in carcere in condizioni disumane (in particolare il carcere di Tora è tristemente famoso per la ferocia delle condizioni detentive) e le si priva di ogni sorta di cure mediche. Nel caso di El Erian, egli aveva chiesto più volte di ricevere delle cure per l’epatite C che lo affliggeva da quando era entrato in carcere, senza avere alcuna risposta. Molto significativo è l’ultimo discorso pubblico che abbiamo a disposizione di ‘Essam El Erian, davanti alla corte militare che lo processava e che meglio di qualsiasi trattato riassume la condizione delle decine di migliaia di prigionieri politici in Egitto:
“Non c’è niente di peggio che sentire l’ingiustizia della reclusione, tranne la sensazione di mancanza di giustizia davanti al giudice naturale che può dichiarare l’innocenza senza supervisione o responsabilità [delle sue azioni]. Non c’è ingiustizia più grande del processo davanti a un tribunale militare eccezionale che manca delle più semplici e importanti garanzie di giustizia, se non la sensazione del crimine del silenzio applicato a questa ingiustizia e il silenzio di tutti sulla condanna dell’oppressore e l’affievolirsi della voce che richiede che l’ingiustizia sia sollevata dagli onesti e dagli innocenti.
Solo poche voci onorevoli hanno interrotto il terribile silenzio, esprimendo la condanna totale di questo dubbio processo, che si svolge al buio, lontano dall’opinione pubblica e nelle caserme militari; dove gli osservatori dei diritti umani sono banditi, come tutte le telecamere dei media, siano esse televisive o giornalistiche, e persino i giornalisti dei giornali non sono autorizzati a partecipare, come se fossimo di fronte a un crimine organizzato di omicidio per tutti i diritti umani.
Questo blackout estremo ha spinto 12 organizzazioni per i diritti umani a rilasciare una dichiarazione di condanna verso questo metodo, che viola un principio giuridico costituzionale, che è quello del processo pubblico.
Poiché le sentenze vengono emesse in nome del popolo, come possono essere processate persone oneste, uomini d’affari e professori universitari senza la supervisione del popolo, nel nome del quale sono emesse le sentenze, mentre [il popolo] è estromesso da tutto ciò? Perché esso ha sempre dato la propria fiducia e il proprio sostegno a queste persone onorevoli in tutte le occasioni! Queste persone innocenti, il cui rilascio è stato più volte autorizzato dai normali tribunali, hanno trascorso un anno intero (al momento del discorso di El ‘Erian, che al momento della sua morte aveva passato ormai quasi 7 anni di carcere ndr) dietro le mura cui passano un giorno dopo l‘altro e un mese dopo l’altro, in una sofferenza che può conoscere solo chi ha vissuto e sofferto le sue pene, lontano dalle proprie famiglie e dai propri cari, lontano dalle proprie mogli e dai propri figli, lontano dal lavoro e dalle responsabilità … La madre muore e non trova suo figlio accanto a lei nei suoi ultimi istanti, e la moglie o i figli si ammalano, e non sentono la tenerezza del marito o del padre che li accompagna dal medico e dà loro le medicine, e veglia per il loro conforto, e le istituzioni e le aziende crollano e falliscono per l’assenza del supervisore e del fondatore, lasciando decine e centinaia di impiegati e operai senzatetto, e decine di famiglie.
Nulla allevia l’orrore di questa sofferenza se non la fede in Dio, il Benefico, il Forte e l’Eterno, il Potente Vendicatore, gloria a Lui. Non abbiamo trovato sui giornali quei miliardi immaginari che i servizi di sicurezza attribuivano a queste persone oneste, e non abbiamo trovato quei finanziamenti stranieri per cui si sono affrettate le penne avvelenate con il sangue di persone oneste a promuovere una campagna contro di loro, e non abbiamo riscontrato alcun sospetto di guadagni illegali, evasione fiscale o mancato pagamento di tasse, ma anzi sono stati onesti nel loro lavoro commerciale e nel loro tentativo di far progredire il loro paese e patria e di aprire le porte del sostentamento a centinaia di lavoratori che sono andati in rovina a causa di questo caso immaginario.
Nella lista delle accuse non c’era più nulla se non l’appartenenza ai Fratelli Musulmani e il possesso di pubblicazioni che invitano al pensiero dei Fratelli Musulmani, nella misura in cui il Comitato dell’Accademia di Ricerca Islamica ha pubblicato il suo rapporto pochi giorni fa su alcune di queste pubblicazioni per dire a gran voce che esprimono un pensiero islamico moderato e illuminato, che evidente ingiustizia quando vengono processati per un qualcosa che non è un crimine, o alcuni vengono puniti più volte per una ingiusta accusa, come l’ingegnere Khairat Al-Shater e Muhammad Bishr che hanno trascorso lunghi anni dietro le mura con la stessa accusa, e davanti allo stesso tribunale militare, il che non è coerente con le più basilari regole di giustizia.
Il silenzio su questo processo militare è un crimine, e il silenzio su questa evidente ingiustizia è un crimine, quindi che le persone oneste da tutte le direzioni alzino la voce, condannando questa ingiustizia e quindi il blackout intenzionale di un crimine commesso nell’oscurità e alle spalle del popolo”. (Traduzione dall’originale in arabo a cura dell’autore)”