Nel primo giovedì di agosto, Hosni Zaloum si stava occupando di sua nipote, Haneen di 4 anni, nella casa di famiglia nel quartiere Silwan a Gerusalemme Est. Alla fine della preghiera islamica della sera ha sentito colpi di arma da fuoco vicino a casa. Quando si è girato ha visto sua nipote giacere a terra in una pozza di sangue.
Ha raccontato che, “È riuscita a dire ‘ahi’, nient’altro. Ho pensato che fosse caduta, ma ho visto che c’era sangue ovunque. Ha raccolto Haneen ed è corso con lei in braccio al posto di pronto soccorso vicino. È stata chiamata un’ambulanza, ma la bimba durante il percorso è stata trasferita su un’altra ambulanza attrezzata per cure intensive. Poco dopo essere arrivata al Shaare Zedek Medical Center di Gerusalemme, ne è stato constatato il decesso. Era stata colpita alla testa da una pallottola vagante: restano ignoti sia il luogo da dove il colpo è partito, sia il perché è partito.
Due mesi e mezzo prima, un altro bambino di 4 anni, Rafif Mohammad Karain, abitante in un altro quartiere palestinese di Gerusalemme Est, Isawiyah, è stato ucciso da una pallottola vagante sparata da ignoti. Nel periodo intercorso fra questi due episodi, un ragazzino di 9 anni, Jihad Jaber del quartiere Ras al-Amud a Gerusalemme est è stato colpito alla testa. Fortunatamente per lui, i medici del Hadassah University Hospital a Ein Karem sono riusciti ad estrarre il proiettile senza ulteriori danni. In seguito è stato trasferito all’ospedale per la riabilitazione pediatrica Alyn per la convalescenza.
Haneen Zaloum, Gerusalemme est, 11 agosto, 2020. È riuscita a dire ‘ahi’ prima di cadere a terra.
Nessuno a Gerusalemme Est può spiegare la scioccante coincidenza di tre bambini colpiti alla testa da pallottole vaganti nel giro di 10 settimane. Gli incidenti hanno generato accuse alla polizia di Gerusalemme Est, ma anche ai palestinesi di Gerusalemme per il possesso e l’uso di armi da fuoco. Fonti della polizia israeliana hanno detto di credere che almeno in due dei tre casi le pallottole provenissero dall’altro lato della barriera di sicurezza, forse dal territorio controllato dall’Autorità Palestinese. La barriera separa Gerusalemme dalla Cisgiordania, ma corre lungo una strada che ha lasciato qualche quartiere palestinese nel lato cisgiordano. Fonti di polizia israeliana affermano che le forze di sicurezza palestinesi sono state negligenti nel controllo dell’uso delle armi da fuoco.
Una pallottola dall’alto
Il 21 maggio, durante il mese islamico di Ramadan, la famiglia Karain di Isawiyah si è riunita verso sera sulla terrazza. Rafif siedeva fra sua nonna e suo nonno, intorno ai quali stavano altri dieci famigliari. Nessuno di loro ha sentito colpi d’arma da fuoco. Il nonno, Mohammed Abu Ghali, ha sentito un colpo non forte, che ha descritto in seguito “come quello di una pietra”. Rafif è caduta al suolo. Suo padre, Mohammed Karain l’ha portata più in fretta che ha potuto all’ospedale Hadassah sul monte Scopus a Gerusalemme.
“Piangeva, ma il suo era un pianto debole,” ha raccontato. “Pensavo che fosse stata colpita da una pietra. All’ospedale le hanno fatto i raggi. Ricordo di aver incontrato un amico che mi disse che forse era stata una pallottola. Non capivo di cosa stesse parlando, fino a quando non è comparso il dottore. Gli ho chiesto cosa fosse successo e lui è rimasto in silenzio. L’ho afferrato ad un braccio e gli ho chiesto se fosse stata una pallottola e lui ha risposto sì.
Rafif è stata 15 giorni all’ospedale in condizioni critiche fino a che non è morta a causa delle sue ferite. In base a quanto è emerso, la pallottola che l’ha colpita alla testa era stata sparata in aria da una distanza notevole ed è penetrata cadendo dall’alto. Abu Ghali, suo nonno, ora ha chiaro cosa aveva udito. “Ho udito un ‘thik’ Era il suono prodotto dalla frattura della testa della bambina. Sua nonna ed io l’abbiamo udita.” Parla della sua nipotina “come di un fiore.”
Jihad Jaber, Gerusalemme est, 8 agosto 2020. La pallottola gli ha provocato un taglio di 12 cm nel cranio, ma non è penetrate nel cervello.
Anche se la polizia non ha un sospettato, la sparatoria ha generato voci a Isawiyah secondo cui Rafif sarebbe stata colpita per una lite famigliare, iniziata sette anni prima fra le due fazioni della famiglia Karain a Silwan a causa di una scala nella casa di famiglia.
“Mio padre aveva detto che avrebbe tolto la scala per evitare problemi, anche se io e i miei fratelli non eravamo d’accordo. Abbiamo concordato che l’avremmo tolta entro una decina di giorni,” ha ricordato Mohammed Karain, il padre di Rafif. “Sette giorni dopo, papà ha ricevuto sette coltellate mortali al cuore.”
Lui e altri a Silwan sostengono che l’omicidio è stata l’opera di un cugino, che è stato arrestato e poi rilasciato per mancanza di prove 18 giorni dopo. “Dopo il suo rilascio, gli è stato detto di andarsene dal quartiere,” ha detto Mohammed Karain. “Non ha voluto farlo. Alla fine mio fratello ha comprato un’arma e gli ha scaricato addosso 21 pallottole. Ha aspettato in mezzo alla strada e ha detto di averlo fatto per vendicare mio padre. Gli hanno dato l’ergastolo.”
“Non siamo una famiglia criminale,” ha insistito Mohammed Karain. “Non ci è mai successo niente di simile, neppure una rissa. Se la polizia avesse fatto il suo lavoro e l’assassino fosse stato in prigione, tutto questo non sarebbe successo.”
In seguito all’uccisione del nonno e del cugino, la famiglia si è spostata con il nonno materno a Isawiyah. Nonostante il sanguinoso passato, Karain ha detto di essere convinto che non ci sono legami fra la vecchia faida famigliare e la morte di Rafif.
L’angolo di impatto del proiettile, il fatto che la lite famigliare stesse per essere risolta e il contesto ambientale in cui Rafif è stata uccisa, confermano la convinzione che la morte della bambina non avesse legami con la faida. “Nessuno può sparare una pallottola dal cielo senza nemmeno essere sentito, e poi non sparerebbero quando sei seduto così con la famiglia,” Ha affermato Mohammed Karain.
Rafif Mohammad Karain, East Jerusalem. Suo nonno, Mohammed Abu Ghali, ha sentito un colpo non particolarmente forte, ‘come una pietra’.
Anche la polizia crede che sia stata una pallottola vagante. Pensa che sia stata sparata in aria dall’altro lato della barriera di sicurezza, nei pressi del campo profughi di Shoafat con un fucile mitragliatore M-16- nonostante che la barriera si trovi a circa 1200 mt dalla casa della famiglia. Che poi nessuno della famiglia abbia sentito uno sparo è un elemento in più di sostegno all’ipotesi che il colpo sia stato sparato da una distanza considerevole e che, per colmo di sfortuna, abbia colpito Rafif nella sua caduta verso terra.
Un esperto di balistica ha convenuto che ci sia una ragionevole possibilità che il colpo sia partito dall’altro lato della barriera, ma ha detto che più probabilmente è stato sparato da una distanza minore.
“Divento matto a pensare che diversi anni fa, tutti i momenti c’erano colpi d’arma da fuoco, ma nell’ultimo anno c’è stato a Isawiyah un controllo eccezionale. La polizia è al corrente di tutto quello che succede, e nessuno oserebbe tirar fuori un’arma,” ha detto Karain.
Recentemente, dopo la morte di Haneen Zaloum di 4 anni, gli investigatori della polizia sono ritornati sul terrazzo della casa di Karain, questa volta equipaggiati con un drone, facendo un altro tentativo per stabilire da dove fosse arrivato il proiettile che ha ucciso Rafif. Ma la famiglia non crede più che sia possibile che lo sparatore venga catturato.
“Se fosse successo a Ramat Eshkol o in un altro quartiere ebraico, avrebbero preso chiunque fosse stato responsabile?” Karain si è chiesto. “Avrebbero messo tutto sottosopra per prenderlo,” il nonno Abu Ghali ha aggiunto.
Una sparatoria
Jihad Jaber, nove anni d’età, il ragazzino che è sopravvissuto ad un colpo in testa, stava giocando con i suoi cugini nel cortile di casa sua a fine luglio durante la festa islamica del Eid al-Adha. Si può vedere Jihad, nelle riprese di una telecamera di sicurezza, mentre si piega per un attimo e poi mentre cade a terra. Anche in questo caso, non si è udito alcun colpo, ed il colpo, partito da un fucile M-16, ha colpito al capo il bambino. Suo nonno, che porta lo stesso nome, lo ha portato al posto medico della comunità, da dove è stato poi trasferito all’ospedale.
“Ho pensato che fosse caduto e che avesse battuto la testa, e all’ospedale gli hanno fatto subito i raggi,” ha detto il nonno, raccontando poi di aver detto al personale ospedaliero che il ragazzo poteva essere svenuto per troppo sole e per non aver mangiato. Il nonno ha detto ancora che gli sono state mostrate le lastre dei raggi x, dove ha potuto vedere che suo nipote aveva un proiettile nella testa. “Ho detto che non era possibile, e che forse quella era la testa di qualcun altro.”
Poco prima dell’operazione, è stato detto al nonno che il nipote avrebbe potuto non sopravvivere all’intervento o che avrebbe potuto perdere la vista o anche l’uso di gambe e braccia. “Ma appena il medico è uscito dalla camera operatoria, mi ha detto che potevo tirare un respiro di sollievo e ringraziare Dio,” ha detto. Il chirurgo lo ha informato che quella era la prima volta che eseguiva un intervento del genere ma tutto era andato bene e non ci sarebbero stati ulteriori danni al cervello del nipote.
Per i possibili effetti a lungo termine delle lesioni cerebrali, il ragazzo era stato trasferito all’ospedale di Alyn per capire di quale tipo di trattamento di riabilitazione avrebbe potuto aver bisogno. “Ma è stato dimesso pienamente cosciente, in buone condizioni fisiche e in grado di camminare con le sue gambe,” ha detto il dottor Guy Elor, il neurologo che è intervenuto su Jihad Jaber.
Haneen Zaloum, la bimba di quattro anni, non ha avuto la stessa fortuna quando il 6 agosto è stata colpita sulla terrazza di casa sua. Dopo la sua morte su quella terrazza è stata posta una tenda per accogliere le persone in lutto. La domenica successiva una folla di visitatori ha presentato le condoglianze. Il padre della bambina, Yassin, si è seduto con loro ma faceva fatica a parlare. Quando chi scrive gli ha chiesto di sua figlia, semplicemente non ha retto e se ne è andato. “Cosa si può dire di una bimbetta?” ha chiesto suo zio Hosni, che, dopo che era stata colpita, aveva portato sua nipote ferita al vicino pronto soccorso. Anche nel suo caso nessuno sa da dove sia partito il colpo.
“Qui sparano sempre,” ha detto Mustafa, un vicino. “Senti un rumore. Non sai da dove provenga, ma c’è un dipartimento di polizia nel paese. Loro lo sanno.”
Il nonno di Haneen, Sufian Natsheh, stava in piedi di fronte a una folla di persone accorsa a presentare le condoglianze. “Chiunque abbia un’arma deve averne cura,” ha detto, aggiungendo poi che i dignitari del quartiere dovrebbero occuparsi della questione. Chi trae vantaggio da tutto ciò è l’occupazione,” ha detto riferendosi alle autorità israeliane. “Una bambina di 4 anni è morta per nulla.”
Il commento rispecchia I sentimenti di molti palestinesi di Gerusalemme est, che danno la colpa per la morte delle due bambine a Israele e alla polizia israeliana, ma anche ai mali della società palestinese della città.
“L’impotenza è della polizia e dei dignitari del villaggio,” ha affermato Daoud Siam, riferendosi al quartiere di Silwan, dove vive l’attivista sociale. “Non puoi lamentarti che il tuo vicino ha un’arma perché lui dirà che sei un collaboratore. La gente non si sente spalleggiata dalla polizia. Vorrebbero che la polizia fosse più coinvolta.”
Chiunque con 5.000 shekels (1.470 dollari) “compra un’arma per mostrare la sua forza,” ha detto Jihad Jaber, il nonno del bambino di nove anni. “Dov’è la polizia? Non vedono quello che succede? Ho chiesto molte volte alla polizia di ripulire l’area.”
Ma il sovrintendente capo Eli Cohen, che è un ufficiale che si occupa di indagini e di intelligence nel distretto di polizia di Kedem, che include gran parte di Gerusalemme Est, ha detto che c’è stato in realtà un declino nell’uso di armi illegali negli ultimi anni in quella parte della città. Gli spari che hanno colpito i tre bambini, ha detto, sono una tragica coincidenza.
“Questa questione assorbe molta attenzione e molte risorse, e c’è stato un significativo calo di sparatorie e di feriti da sparatoria,” ha sostenuto. La polizia considera diverse situazioni nelle tre diverse aree di Gerusalemme Est.
Una è l’area nel lato israeliano della barriera di sicurezza, che comprende la maggior parte dei quartieri palestinesi, dove dice di avere un buon servizio di intelligence e un buon controllo della situazione sul terreno, e l’uso di armi da fuoco è diminuito.
Poi c’è il campo profughi di Shoafat, che è all’interno dei limiti cittadini di Gerusalemme ma nel lato cisgiordano della Barriera. Ci sono stati negli ultimi anni un gran numero di casi relativi ad armi da fuoco, ma la polizia dice che la situazione è migliorata, facendo notare che ultimamente 12 trafficanti di armi sono stati arrestati e incriminati. Sono stati detenuti fino alla fine dei procedimenti legali a loro carico. Nonostante ciò, i residenti di Shoafat dicono che ci sono incidenti quotidiani per l’uso di armi da fuoco.
La terza e più problematica area per la polizia è Kafr Aqab, un altro quartiere sull’altro lato della barriera, dove l’esercito e la polizia sono incaricati di provvedere alla sicurezza ma hanno difficoltà ad operare coerentemente.
Fonti di polizia affermano che almeno due dei casi riguardanti i tre bambini- quello di Rafif Karain a Isawiyah e quello di Jihad Jaber a Ras al-Amud- i colpi sono partiti da oltre la barriera di sicurezza, a quanto sembra dal territorio adiacente la Cisgiordania sotto il controllo dell’Autorità Palestinese. Funzionari di polizia dicono che la situazione in quel luogo si è deteriorata negli ultimi mesi, a causa di quella che descrivono come la debolezza delle forze di sicurezza palestinesi e della migliorata capacità delle officine nel territorio in mano all’Autorità Palestinese di produrre armi illegali.
“Stiamo conducendo una campagna di pubblica informazione, e forse questi tre incidenti faranno capire ai residenti che le armi non sono un gioco, e che i loro bambini potrebbero farsi male,” ha dichiarato Cohen. “Quando spari in aria, infine, colpirai qualcuno in testa. Prometto che faremo del nostro meglio per proteggere ogni residente che ci aiuterà.”
“Stiamo effettivamente assistendo a un miglioramento da quando i residenti aiutano la polizia,” ha fatto notare, anche in casi in cui una volta la polizia pensava fosse ovvio non ricevere la cooperazione dei residenti. “I residenti vogliono che noi entriamo,” ha aggiunto Cohen.
Tornando a casa Karain, i fratelli di Rafif fanno fatica ad accettare la sua assenza. Racconta suo padre: “Il più grande chiede sempre dove sia Rafif adesso. È un uccello? È con Dio? Non molto tempo fa, gli ho dato un pezzo di un panino e lui mi ha chiesto se Rafif aveva fame. Il piccolo, che ha tre anni, versa acqua e dice che ora Rafif può venire e può bere.”
Articolo pubblicato dal quotidiano israeliano Haaretz, Traduzione a cura di Carlo Delnevo