Il colpo di Stato militare in Mali, che ha rovesciato il governo del presidente Ibrahim Boubacar Keïta, si presenta con alcune specificità che sembrano voler far credere che non si tratti del solito putsch organizzato dall’esterno o per ragioni tribali, Ne abbiamo intervistato Aminata Dramane Traoré.
Il presidente IBK, secondo molti osservatori, aveva ormai perso ogni legittimità popolare, specie dopo che nel mese di luglio undici persone avevano perso la vita negli scontri con le forze dell’ordine durante le proteste contro il suo governo.
L’iniziativa dei militari sembra essersi svolta con il consenso della popolazione esasperata dall’incapacità del governo di Ibrahim Boubacar Keita che alcuni polemisti definiscono con feroce ironia il “sottoprefetto del Quai d’Orsay”, nel senso che la sua politica consisteva fondamentalmente nel tutelare gli interessi francesi.
La Francia infatti, con la motivazione di combattere i movimenti “jihadisti” (che molti sostengono essere finanziati dall’Arabia Saudita, il principale alleato dell’Eliseo in Medio Oriente) ha schierato molte migliaia dei suoi soldati in Mali. Tuttavia le violenze di questi gruppi non sono cessate e, anzi, sono aumentate e ormai si segnalano movimenti e azioni di questi mercenari fino all’Africa australe.
Aminata Dramane Traoré è un’intellettuale, politica e artista maliana. Ricercatrice in scienze sociali, insegna all’Università di Abidjan in Costa d’Avorio. Fondatrice del Forum Sociale Africano ed ex Ministro della Cultura del Mali, vive a Bamako. Da anni denuncia le storture del liberismo e l’impatto sulle popolazioni dell’Africa, considerato come responsabile del mantenimento della povertà in Mali ed in Africa.
Il putch in Mali sembra essersi svolto con modalità e intenti diversi da quelli a cui siamo purtroppo abituati quando i militari assumono i pieni poteri in un Paese destituendo un governo, che era comunque arrivato al potere con il consenso di oltre il 77% dei voti espressi. Cosa sta succedendo veramente?
L’attuale situazione del Mali dipende dal sommarsi di diverse crisi ad una condizione economica disastrosa (PIL pro capite 630$ ndr) e ad una grave insicurezza provocata dai continui attacchi di gruppi “jihaddisti” che insanguinano e destabilizzano il Paese. Migliaia di civili e militari sono stati uccisi e centinaia di migliaia di persone sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni sfollando sia all’interno che all’estero.
Io dico sempre che questa guerra è un flagello in più. Il nostro Paese non aveva i mezzi per sostenerla. Contrariamente a quanto sostiene la Francia, il Mali non ha chiesto di inviare truppe sul terreno, ma solo un appoggio aereo per fermare l’avanzata “jihadista” verso Konna. L’ex potenza coloniale aveva promesso una guerra rapida, invece è al suo ottavo anno dopo aver trasformato unilateralmente l’operazione Servall, nel contingente Barkhane che opera in altri quattro paesi in cui si è diffuso il jihadismo.
Il concorso delle forze armate di questi Paesi e la presenza dei Caschi Blu dell’ONU, non hanno impedito che la situazione degenerasse.
Alla fine del 2019 sono scoppiate manfestazioni contro la presenza militare francese in Mali, Burkina Faso e Niger. Il presidente francese non ha affatto apprezzato e ha convocato i Capi di Stato del G5 Sahel (i Paesi di cui sopra più Ciad e Mauritania ndr) a Pau per concordare un aumento della presenza.
Intanto la situazione economica e sociopolitica, che non smetteva di peggiorare, ha fatto si che si creasse nel giugno 2020 un movimento eterogeneo di scontenti e oppositori che ha chiesto le dimissioni del presidente Ibrhaim Boubacar Keita e del suo governo. Alla fine è stato l’esercito, che aveva rimostranze contro la sua stessa gerarchia e il regime ad aver ragione del regime.
I militari hanno annunciato, come sempre accade in questi casi, che rientreranno nella caserme appena si potranno avere elezioni trasparenti che portino al governo persone capaci e leali. Credi che questo sia vero?
Si. Ma non si tratta solo di far svolgere correttamente le elezioni, ma di pensare seriamente ad un modello di sviluppo che liberi i nostri Paesi dai diktat della “comunità internazionale”.
La colpa maggiore del presidente deposto è stata quella di aver ceduto alle pressioni di una parte dei maliani e iniziato un dialogo con i capi “jihaddisti” Iyad Agaly e Amadou Kouffa. Questa prospettiva ostacolava la volontà di potenza dello Stato francese di mantenere il controllo dei suoi interessi territoriali più lontani.
Hai accennato al problema finanziario, negli ultimi tempi si sviluppata una forte contestazione nei confronti del sistema monetario rappresentato dal Franco CFA. Reagendo a queste critiche la Francia ha deciso di archiviarlo e sostituirlo con l’ECO che avrà parità fissa con l’EURO.
La Banca centrale degli Stati dell’Africa occidentale (Bceao) non dovrà più depositare la metà delle sue riserve di cambio presso la Banca di Francia e Parigi inoltre, non farà più parte degli organismi di governance finanziaria in cui era presente rimanendo “un semplice garante”. Credi che questo sia un cambiamento reale o si tratta del solito maquillage formale per mantenere il controllo?
Questo è tutt’altro che sufficiente. È probabile che la decisione tagli l’erba sotto i piedi della CEDEAO (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) che aveva progettato di creare l’ECO.