Da due settimane 18 cittadini italiani, 18 pescatori sono detenuti in Libia dalle forze fedeli al generale Khalifa Haftar. La notizia sembra non destare particolare clamore nonostante i nostri concittadini siano prigionieri in un paese in guerra e nelle mani di milizie fino ad ora hanno dimostrato totale disprezzo dei diritti umani.
Il primo settembre le milizie di Haftar intercettano e sequestrano due pescherecci partiti da Mazara del Vallo: l’Antartide e il Medinea e ne arrestano l’equipaggio con l’accusa di violazione delle acque di competenza libiche, acque che dal 2005 la Libia ha rivendicato in accordo alla convenzione dei Montego Bay che permette agli stati di dichiarare la competenza su una zona di massimo 200 miglia.
La questione va avanti dal 2005: negli ultimi 15 anni sono state sequestrate dai libici 50 imbarcazioni e circa 30 percatori sono stati arrestati e molti feriti dalle autorità libiche.
Il problema oggi è che a differenza di quanto accadeva qualche anno fa non c’è un interlocutore istituzionale unico con cui parlare. Caduto Muhammar Gheddafi in Libia si è scatenata una guerra civile che ha di fatto diviso in due il paese con due fronti che si combattono supportati da diverse potenze regionali: il governo di Tripoli unico soggetto riconosciuto dalle Nazioni Unite può contare sul supporto di Turchia e Qatar e di quello un po’ confuso del nostro paese mentre il generale Haftar vine finanziato e armato prevalentemente da Emirati, Egitto, Francia e Russia.
La questione dei nostri pescatori si inserisce quindi in un contesto molto difficile sia sul piano interno libico, dovuto al caos nel paese nordafricano, sia sul piano delle relazioni internazionali, visto che l’Italia dopo un periodo di dannosi tentennamenti ha deciso di sostenere con maggiore forza il governo guidato da Fayez al Sarraj. La Libia risulta divisa in due anche geograficamente con la parte occidentale sotto il controllo di Tripoli e quella orientale sotto quello di Haftar e le sue milizie, i nostri concittadini sono stati intercettati a largo della costa orientale e quindi in mano a forze con cui l’interlocuzione in questo momento si rivela più difficile o quantomeno avanzano richieste più onerose.
Secondo la stampa libica vicina ad Haftar, appunto in cambio della liberazione dei pescatori siciliani sarebbe stata chiesta la scarcerazione ed il rimpatrio di quattro cittadini libici condannati dalla Corte D’Appello di Catania per la “Strage di Ferragosto” del 2015 in cui persero la vita 49 migranti che viaggiavano su un barcone.
I quattro scafisti secondo la giustizia italiana hanno sprangato la stiva in cui erano rinchiusi i migranti provocandone la morte per asfissia e per questo sono stati condannati a 30 anni di carcere in Italia. Si tratta di Alaa Faraj al-Maghribi, Abdel-Rahman Abdel-Monsef , Tariq Jumaa al-Amami e Mohamed Essid, quattro giovani che secondo i familiari riunitisi in una manifestazione a Bengasi per chiederne la liberazione sarebbero del tutto innocenti e invece di scafisti sarebbero calciatori del Ahli Benghazi club e del Libyan Tahadi club anch’essi migranti diretti in Germania per cercare ingaggi con squadre tedesche.
Il Procuratore della Repubblica di Catania Carmelo Zuccaro interpellato dal Corriere ha risposto in maniera sdegnata alla richiesta di scambio: “Altro che giovani calciatori. Non furono condannati solo perché al comando dell’imbarcazione, ma anche per omicidio. Avendo causato la morte di quanti trasportavano, 49 migranti tenuti in stiva. Lasciati morire in maniera spietata. Sprangando il boccaporto per non trovarseli in coperta. Un episodio fra i più brutali mai registrati”.
La richiesta di uno scambio di prgionieri, così come inteso da Haftar contribuisce a configurare la detenzione dei nostri pescatori come un vero e proprio atto di pirateria contro l’Italia in quanto non solo il generale della Cirenaica controlla abusivamente quella porzione di territorio grazie a fiumi di soldi, tonnellate di armi e mercenari provenienti da Emirati, Francia, Russia, Egitto e Sudan ma si pone nei confronti dell’Italia come farebbe un nemico in guerra aperta o meglio ancora un pirata in totale spregio del diritto e dei rapporti diplomatici che dovrebbero intercorrere tra due paesi come l’Italia e la Libia.
Haftar, considerato un impostore a Tripoli, ha dovuto ridimensionare molto le sue ambizioni dopo la discesa in campo della Turchia, il sostegno militare di Ankara al governo di Al Sarraj ha ribaltato gli equilibri sul campo costringendo le forze di Haftar e i suoi sponsor internazionali ad una precipitosa ritirata verso Est. Ora questa mossa vorrebbe ricattare Roma, non è ancora chiaro come, visto che la liberazione degli scafisti è una richiesta irricevibile. Certo è che il governo italiano da questa vicenda deve trarre conferma della totale ostilità e inaffibabilità del generale di Bengasi.