E uscito in libreria ed è disponibile da oggi su Amazon “Non amo chi tramonta” di Francesca Bocca-Aldaqre (CAPIRE Edizioni 2020), un libro di poesia scritto come automedicamento per l’anima.
Nel prato della poesia mistica è spuntato il fiore dell’ultima pubblicazione di Francesca Bocca-Aldaqre: Non amo chi tramonta (Carta Canta Edizioni 2020). Si tratta di un’opera insolita, di poesia islamica in lingua italiana. L’autrice da anni si occupa dell’influsso che la spiritualità islamica ha avuto e può avere sulla cultura occidentale come nel caso indagato in una sua precedente pubblicazione su Goethe e l’Islam.
A lei è capitato poi (ma sha Allah, così ha voluto il Signore) di essere calamo nelle mani di questa dimensione e di scrivere versi in lingua italiana ricchi di riferimenti espliciti alla spiritualità islamica. Quest’opera introspettiva nasce dal bisogno di raccontare due esperienze che lei stessa definisce come le “più aconfessionali di tutte”: un amore ed una malattia. Esperienze che racconta da musulmana. Il sentimento dominante è il dolore per il distacco, per la perdita, la sensazione più raccontata è quella della fatica, la fatica che si prova a sorreggere il corpo quando gli viene staccata la spina dell’amore. Faticoso è addentrarsi in questo racconto in versi che inizialmente trasmette una sensazione di smarrimento, di stordimento. Nel libro la fatica è nominata 7 volte su 10 nella prima metà.
Io non amo chi tramonta, non amo chi abbandona il suo tesoro, la sua cura, a questa fatica spezzata
L’apice lirico arriva nella terza sezione quando il nodo in gola si scioglie e chiede: “torna, amore, torna e del tuo abbraccio bagnami gli occhi… mio il cumulo di ossa che neppure è capace del favore del cibo. Nostra è rimasta una minuscola gioia che attende, lontano”. La risoluzione inaspettata è nella quarta ed ultima parte, nella capacità di orientarsi comunque alla gioia: “nessuno può scrivere versi se non ha incontrato la gioia”. La gioia è citata in tutto il doppio delle volte rispetto alla fatica e questa dimensione positiva della tristezza è un tema ricorrente nella mistica islamica. Per il credente musulmano prevale su tutto l’accettazione della Volontà Divina, anche nel sentimento di tristezza (huzn) come quello che il mistico vive per la distanza da Dio e nell’attesa di ricongiungersi alla sua fonte originaria.
Per Rumi è il canto del Ney (flauto di canna) dalla cui voce si avverte lo strazio per la separazione dal canneto e il desiderio di ritorno ad esso. E sempre per Rumi è il girovagare di Majnun (il folle d’amore) per la sua amata Layla, essendo l’amore terreno capace di suscitare quanto di più prossimo all’afflato mistico. Per Francesca Bocca-Aldaqre è “l’amante che mai incontra l’amato” in una ricerca senza fine.
La sua richiesta a Dio è quella di essere liberata dalla cecità del dolore che può farti perdere di vista la Presenza Divina in ogni cosa: “Non è il fuoco che brucia il cotone, ascolta, è sua l’unica fiamma. Lui è fuoco e cotone, e tu Dio portami un dono che brucia, liberami da cause ed effetti”.
Si diceva della cultura occidentale illuminata (anche) dalla spiritualità islamica, come nel caso di Goethe. E’ una cosa molto diversa dalle varie osmosi o filiazioni tra culture. La spiritualità è una luce che genera fotosintesi in piante diversissime tra loro ed allo stesso tempo riesce a tenerle insieme, anche a distanza, come fossero tutte in uno stesso giardino sapientemente curato.
L’autrice ha cercato con la poesia di ricongiungersi subito al giardino dal quale gli eventi l’hanno strappata, nella disperata ricerca di mollare la zavorra della materia. Si tratta di un percorso che può durare anche anni, a volte una vita, ma che la poesia può rendere un istante: “quando lasci la presa un sentiero di gioia discende dal monte”.