Ieri era la Giornata Europea contro l’Islamofobia che si celebra il 21 settembre di ogni anno anche per ricordare ed evitare che accadano di nuovo tragedie come quella che ha colpito Marwa El Sherbini e la sua famiglia.
Erano le 11.07 di un mite primo luglio, nella pittoresca città tedesca di Dresda, quando nel tribunale veniva barbaramente uccisa con 18 coltellate la farmacista egiziana Marwa El Sherbini, sotto gli occhi attoniti del giudice e del figlio di 3 anni.
Tutto iniziò qualche settimana prima, quando la giovane mamma era al parco con il figlio ed ai piedi di una giostra incontrava il suo assassino Alex Wiens ,il quale dopo un diverbio iniziava ad insultarla pesantemente apostrofandola come islamista e terrorista, dinanzi alla scena intervengono altre persone che chiamano la polizia.
Il giorno dell’udienza il 1 luglio 2009 , dopo essere stato condannato al pagamento di una multa, Wiens si infuria e alzandosi tira fuori il coltello, con estrema violenza colpisce Marwa, in tutto 18 coltellate che oltre ad ucciderla uccidono anche il bimbo che portava in grembo. Mentre il figlio di 3 anni assiste al bagno di sangue interviene il marito che nel tentativo di salvare la moglie viene colpito a sua volta ricevendo oltre 16 coltellate.
Il terribile episodio viene aggravato dal fatto che le guardie, avvisate dal giudice irrompono nell’aula e sparano al marito scambiandolo per l’aggressore.
La storia di Marwa e l’islamofobia come male reale
La storia di Marwa non è altro che l’ennesima dimostrazione di quanto le parole, che spesso pensiamo come insieme di lettere fluttuanti per aria, siano potenti veicoli non solo di emozioni ma di azioni.
Da 5 anni l’Unione Europea ha iniziato a muovere i suoi passi, riconoscendo l’islamofobia come un male reale che sta sempre più contaminando il vecchio continente.
Un primo passo di questa consapevolezza è l’istituzione della Giornata Europea contro l’Islamofobia che si celebrerà il 21 settembre di ogni anno, al contempo la Commissione Europea ha iniziato a produrre report annuali sul fenomeno e a finanziare progetti come il progetto Yes- YES -Youth Empowerment Support for Muslim communities a cui partecipa il Progetto Aisha.
L’ultimo report, quello relativo all’anno 2019, nonostante la scarsità del lavoro di monitoraggio, segna cifre preoccupanti, basti pensare che nella sola Italia il 65% delle persone di fede musulmana soffre o ha sofferto di episodi di islamofobia, cifra che sale al 70% per le donne.
Le donne come Marwa, e tante ragazzine che spesso incrociamo per strada o tra i banchi di scuola, sono le prime vittime di questo male. In una società dove vogliamo educarle o addirittura pretendiamo di liberarle finiscono spesso per essere discriminate o limitate. A volte da sguardi, da commenti altre volte da datori di lavoro che impongono come requisito fondamentale quello di togliersi il velo.
Altre volte. addirittura da pazienti come è successo a dottoresse musulmane in alcune regioni italiane, le quali si sono viste rifiutate dai pazienti per il loro hijab o come nel caso del recente polverone sulla nostra Aisha Silvia Romano, che dopo l’iniziale sospiro di sollievo per la sua liberazione, si è trovata travolta da un’ondata di violenza mediatica che ne ha fatto il capro espiatorio per tutti i disagi e gli squilibri post Covid.
A distanza di 25 anni dal massacro di Srebernica (oltre 8000 bosniaci musulmani uccisi) e a 11 anni dall’assassinio di Marwa el Sherbini, ci si domanda se l’Europa sia pronta ad una politica nuova, inclusiva, che veda nell’Islam e nei musulmani una parte integrante del proprio tessuto sociale e culturale e che ponga fine all’utilizzo spregiudicato di un linguaggio di odio xenofobo, antisemita e islamofobo come strumento di consenso a fronte dell’instabilità politico-economica sempre più dilagante.
Intanto alla memoria della Dottoressa Marwa è stata dedicata una via e ieri nella Giornata Europea per la lotta contro l’islamofobia, nella secolare e ultra laica Francia un’altra via veniva dedicata ad una donna musulmana l’avvocato e attivista Nadiya Lazzouni.