Mai come in questa epoca siamo bombardati da numeri e cifre intorno alle notizie che riguardano la salute. Bollettini più o meno ufficiali riguardo all’epidemia in corso sono quotidiani e ricercati.
Non mancano inoltre cifre variamente correlate o analisi statistiche del fenomeno, sarebbero ad esempio 2000 i morti per tumore dovuti ai ritardi diagnostici legati al lockdown, 35.000 invece le morti per Covid in Italia dall’inizio dell’epidemia. Ma ancora prima del Coronavirus già eravamo genericamente avvezzi ai numeri in campo.
Da anni si sa che nel nostro paese sarebbero circa 10.000 i morti imputabili ogni anno al fenomeno dell’antibiotico resistenza.
Al netto delle possibili manipolazioni che possono essere fatte di numeri e cifre riguardo alla loro produzione, alla loro analisi e al contesto comunicativo in cui vengono inserite, mai come adesso le nostre giornate passano ascoltando e leggendo numeri, assoluti oppure in forma di frazioni e percentuali, che dovrebbero aiutarci a decifrare la realtà della nostra salute. Cosa c’è d’altronde di più obiettivo del numero, di più solido e rassicurante della cifra?
Spesso sentiamo dire che certi effetti collaterali sono presenti solo nello 0,1% dei casi, o che la sopravvivenza a cinque anni dopo la chemioterapia ad un determinato tumore è ben del 90%.
Ma siamo sicuri di capire adeguatamente questi numeri? Anche non volendo prendere in considerazione il sostanziale analfabetismo funzionale di buona parte della popolazione, la capacità di contestualizzare e quindi valutare alcune cifre, specie quando si tratta di numeri con più zeri, richiede uno sforzo di attenzione e di analisi che non sono né scontati né immediati per la maggior parte delle persone.
Riusciamo veramente a valutare quanti siano 10.000 morti? O forse questo è un numero troppo grande per essere compreso veramente specie all’interno di una comunicazione cosi veloce come quella odierna?
Abituati alle cifre astronomiche utilizzate quando si parla secondo una dimensione globale, si rischia di non essere più capaci di dare il giusto peso a tutte queste cifre.
Sento informazioni del tipo, “Oggi in Italia ci sono 100 ricoverati in terapia intensiva più di ieri ed i malati di Covid nel mondo sono passati da 250mila e 270 mila”: quanto riusciamo a capire e cosa ci comunica veramente una notizia del genere?
Non rischiamo che queste cifre ci svelino un qualche aspetto della realtà a discapito di qualcos’altro? Sono tutte domande che dobbiamo porci, tanto più che oggi giorno siamo sempre più bersagliati da un continuo snocciolarsi di cifre.
I numeri ci dicono innegabilmente qualcosa e la loro utilità e fuori discussione, ma forse essi nel contempo ci nascondono qualcos’altro di altrettanto importante.
Credo sia esperienza di tutti quanto a volte la triste vicenda di un singolo ci abbia commosso, mentre la quotidiana tragedia di milioni ci lascia presso a poco indifferenti.
Cosi ad esempio, siamo stati tutti toccati e giustamente partecipi dell’inumano assassino di G. Floyd negli USA, però sentire dei campi di concentramento in cui sono rinchiusi milioni di uiguri in Cina non ci tocca spesso poi cosi tanto.
Come mai?
Siamo tutti partecipi e indignati e pronti a contribuire e a dare una mano per aiutare la disabilità di qualcuno colpito da un qualsiasi danno iatrogenico, ovvero causato da farmaci e interventi medici, però il novello mecenate del mondo Bill Gates che parla di 700.000 persone danneggiate da un possibile vaccino anti COVID, come di un effetto collaterale tutto sommato accettabile, non ci suscita troppa indignazione ne fa veramente notizia.
Questo scollamento tra dimensione del numero e percezione del suo peso ha qualcosa di strano, sproporzionato, che sembra negare quella razionalità che si vorrebbe trionfante grazie all’esattezza matematica dell’informazione. I fatti rappresentati come numeri sembrano andare incontro ad una sorta di processo di disumanizzazione nella loro stessa percezione, tanto esatta quanto fredda, non empatica, cinica.
Ma questo effetto quasi ipnotico dei numeri non finisce qui, esso si manifesta anche nella falsa sicurezza o dall’allarme che ci destano i valori delle analisi che sforano o meno gli intervalli di normalità o nelle percentuali di efficacia o di danno delle cure a cui ci sottoponiamo.
Tutto ciò sarà forse comprensibile e anche razionale per qualcuno, ma è così poco umano e soprattutto nel fondo così poco reale.
Dietro all’1% di effetti collaterali c’è più di un calcolo di probabilità, che potrebbe essere giustamente oggetto di valutazione da parte di epidemiologi o da parte di coloro che si occupano della salute pubblica.
Dietro quell’1% ci sono delle vite e delle sofferenze che vengono minimizzate e poi svilite dalla forza del numero, c’è un’umanità a cui non dà sollievo alcuno sapere di essere una piccola parte o un effetto collaterale calcolato e tutto sommato accettabile.
Parlare di numeri quando si tratta di salute, della nostra o di quella degli altri, è un affare tutto sommano pericoloso e disumanizzante a cui dovremmo prestare un poco più di attenzione, affinché la nostra valutazione possa rimanere empatica, umana ed il più possibile legata al reale.