Ci sono i cripto-musulmani. quelli che “meglio non apparire”, quelli che spesso sono “ricollegati” a confraternite lontane e anch’esse inevidenti, quelli che non vanno in moschea e neppure alle preghiere delle due feste.
Certamente pregano, nessuno lo può mettere in dubbio, digiunano anche e comunque la loro pratica religiosa è affar loro così come la qualità della loro relazione spirituale con il Creatore.
Spesso sono persone di spessore, cattedratici, artisti, professionisti, esponenti della società civile, la cui ammissione ed esposizione, ritengono, potrebbe compromettere carriera, aspettative, posizione sociale e inoltre obbligarli ad una consuetudine con correligionari con i quali sentono di non poter condividere quasi nulla… e poiché quel “nulla” è addirittura la fede nell’Unico è lecito interrogarsi sul valore che gli attribuiscono.
Si favoleggia di intere famiglie italiane musulmane da generazioni senza che ne abbiano (quasi) mai dato segno.
La nostra è una tradizione interetnica e interclassista. Così la costruì l’Inviato di Dio, in essa c’erano grandi ricchi come Uthman Ibn Affan e Abdurrahman Ibn Awf e quelli di ahl al suffa, poveri che non possedevano nulla e vivevano sotto una tettoia adiacente alla moschea, c’era l’abissino Bilal, il persiano Salman, nessuno dei grandi compilatori di ahadith era arabo e in seguito le componenti turcofone e berbere acquisirono grande dignità e rilevanza culturale e politica.
In questi anni durissimi per noi musulmani in Occidente, parlo degli ultimi trenta, abbiamo cercato di costruire una comunità dalle fondamenta, mettendo tutto lo sforzo di cui siano stati capaci perchè fossero solide e ben orientate. Abbiamo scavato praticamente a mani nude mentre altri, i media, la politica, gli interessi di Paesi stranieri, rigettavano con le ruspe la terra nello scavo che cercavamo di realizzare.
Dagli anni ’90 con le “imprese” di Al Qaida, e poi l’11/9 e fino all’Isis, i riflessi dello scontro geopolitico si scaricavano su di noi senza che le comunità in Europa ne avessero la minima responsabilità oltre alla devianza, spesso coltivata e pilotata di pochissimi individui squilibrati e irresponsabili.
In tutti questi anni i cripoto-musulmani hanno continuato a stare coperti, mentre l’islamofobia cresceva a dismisura, contro i più esposti di noi, le nostre sorelle che portavano sul capo la testimonianza palese della loro appartenenza, i quadri e i referenti della comunità, a livello locale e nazionale e una quantità di scriteriati chiaccheroni che si sono visti notificare provvedimenti di espulsione amministrativa spesso solo per desiderio di protagonismo, loro, e di inquirenti in carriera.
La comunità dei musulmani “è un corpo unico – ebbe a dire il Profeta (pbsl) – quando una parte soffre tutto il corpo risponde con la febbre e con l’insonnia”. Una visione olistica dove non ci sono eccellenze altre che il timor di Dio, in essa solidarietà ed empatia devono condurre i credenti a raccomandarsi vicendevolmente la generosità e la perseveranza. ( Corano, Sura Al Asr).
Quali di questi atteggiamenti possono assumere quei cripto-musulmani rinchiusi nelle loro conventicole, sordi e talvolta perfino spocchiosi nei confronti dei loro fratelli e delle loro sorelle meno dotati di mezzi economici e risorse culturali?
L’unità della comunità passa necessariamente per il riconoscimento dei suoi membri, per l’assunzione di responsabilità di coloro ai quali sono state date capacità, risorse e pubblica visibilità.